Luna e non solo
E ora, quando si torna? Dopo aver celebrato il cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna e rivisto, con la medesima emozione di allora, Neil Armostrong effettuare il primo piccolo passo per un uomo ma un grande passo per l’umanità, la domanda viene spontanea: quando rifaremo il viaggio? E di che nazionalità sarà il primo astronauta a tornare sulla Luna? Gli aspiranti sono molti. Hanno progetti che riguardano la Luna il Giappone, Israele, l’Europa con l’Esa, l’India. Quest’ultima il 16 luglio, a cinquant’anni dal lancio di quell’Apollo 11, che consentirà al Lem di toccare il suolo lunare il 20 luglio 1969, stava per lanciare una sonda con l’obiettivo di posare sul satellite naturale della Terra un robot con finalità di ricerca scientifica, ma ha dovuto rimandare la missione per problemi tecnici. A riprova che andare sulla Luna, anche cinquant’anni dopo la storica prima volta, non è una passeggiata. Persino quando la missione non prevede la presenza dell’uomo.
Usa e Cina principali candidati al gran ritorno
I candidati principali al gran ritorno restano tre: la Russia, gli Stati Uniti e la Cina. Ma per tornare sulla Luna occorrono molti soldi. Almeno 150 miliardi di dollari o forse più. E questo vincolo induce a scartare subito la Russia, malgrado la grande tradizione spaziale che ha ereditato dall’Unione Sovietica e che, tutto sommato, è riuscita a rinnovare. I russi sono gli unici, per fare un esempio, che hanno navicelle che regolarmente frequentano la Stazione Spaziale Internazionale e in questo «servizio navetta» ospitano astronauti di tutti gli altri paesi, americani compresi. Mosca avrebbe le possibilità tecniche per raggiungere la Luna in un ragionevole lasso di tempo. Ma non ha i quattrini. E, dunque, scartiamo anche lei.
I candidati possibili restano due. Gli Stati Uniti d’America e la Cina. In uno scenario che, come vedremo, non è troppo diverso da quello che, nel 1961, spinse John Kennedy a lanciare il cuore oltre l’ostacolo e ad affermare, con un certo azzardo: gli americani pianteranno la bandiera a stelle e strisce sulla Luna prima che il decennio finisca.
La Nasa, l’agenzia che fu protagonista del progetto vincente cinquant’anni fa, non ne ha in questo momento uno nuovo. Tuttavia il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, cercando di imitare John Kennedy, si è dato e ha dato all’agenzia spaziale del suo paese un obiettivo a brevissimo tempo: un altro americano deve sbarcare sulla Luna entro il 2024. La data non è stata scelta a caso. Se Trump verrà eletto di nuovo alla presidenza Usa, il suo secondo mandato scadrà proprio nel 2024. E lui vuole legare il suo nome alla nuova avventura. Ma se la data proposta riguarda l’immagine del presidente, la motivazione a tornare ha altre concause più profonde. E anche più allarmanti. Ma su questo ritorneremo tra poco. Chiediamoci, per ora, quante possibilità ha Artemis – così si chiama il progetto caldeggiato da Trump – di diventare realtà? I problemi da affrontare sono tre. Uno tecnico, uno economico e infine uno politico.
Da un punto di vista tecnico non c’è dubbio: gli americani hanno la possibilità di ritornare sulla Luna anche in tempi così brevi, pur ripartendo praticamente da zero perché non hanno un progetto operativo in atto. Le cose sarebbero più facili se gli Usa si ponessero alla testa di una collabo- razione internazionale. Ma non sembra essere questa la prospettiva di Donald Trump.
Quello economico è un ostacolo serio. Finanziare la nuova missione lunare non è uno scherzo. Prevederebbe, probabilmente, di decuplicare l’attuale budget della Nasa. Ma con una decisione politica forte, un simile investimento non sarebbe fuori dalla portata degli States.
Eccoci, dunque, allo scoglio politico. Il repubblicano Donald Trump ha poche possibilità che la sua proposta passi. Lo scorso 25 giugno, per esempio, la Camera dei Rappresentanti, dove la maggioranza è democratica, ha approvato una proposta di budget per la Nasa da «tempi normali» e non ha neppure preso in considerazione il progetto di Trump. Al Senato, dove la maggioranza è repubblicana, la discussione (nel momento in cui scriviamo) è ancora in corso, ma non pare che lì in Campidoglio ci sia grande entusiasmo per Artemis.
il programma Cina
Difficilmente, dunque, un americano tornerà entro il 2024 sulla Luna. A meno che…
Che il lettore pazienti. Parleremo fra poco dell’opzione alternativa. Conviene ora riferirsi alla Cina, che ha al momento un programma più lento ma più affidabile. La Cina è stata costretta a lavorare in proprio nello spazio, anche a causa del veto americano a farla entrare nella «casa comune» della Stazione Spaziale Internazionale. Questo ha finito per favorire più che rallentare i progetti di Pechino. La Cina avrà presto una sua stazione spaziale orbitante ed è molto attiva sulla Luna. Lo scorso dicembre ha fatto sbarcare per la prima volta sulla faccia nascosta del satellite naturale della Terra una sonda, la Chang’e-4, dimostrando di aver acquisito capacità tecnologiche molto raffinate. Il prossimo dicembre lancerà la sonda Chang’e-5, cui sono affidati due compiti: raccogliere e mandare a Terra rocce lunari e creare le premesse per una base cinese sulla Luna. Perché quando il primo cinese sbarcherà sulla Luna – non oltre la metà degli anni ’30 – lo farà per restarci. O meglio, per mettere il primo tassello di una vera e propria colonia stabile. Riassumendo: il progetto di Donald Trump è a breve termine, ma non particolarmente solido. Il progetto di Xi Jinping è a medio termine ed è (o almeno, sembra) molto più solido. Quindi possiamo essere relativamente certi che al massimo nel giro di 15 anni un umano (maschio, perché no?, femmina) sbarcherà sulla Luna.
perché tornare sulla Luna?
Ma perché tornarci? Ci sono interessi (scientifici e non) così stringenti da giustificare enormi investimenti per ritornare sulla Luna? Qualcuno sostiene che saranno i privati a battere tutti per interessi economici. Lo scorso mese di dicembre Elon Musk – l’imprenditore che ha fondato e dirige, tra l’altro, la Space Exploration Technologies Corporation – ha persino presentato il primo passeggero, il giapponese Yusaku Maezawa, e la data (entro il 2023), ma non ha indicato il prezzo, comunque elevatissimo, del biglietto. Ma, fino a prova contraria, né Musk né alcun altro privato hanno presentato finora progetti di «ritorno alla Luna» credibili.
Ci sono altri interessi, magari indiretti ma più solidi. Quelli militari e geopolitici. C’è una competizione in atto tra gli Stati Uniti e la Cina che somiglia abbastanza a quella degli anni ’60 tra Usa e Urss. Washington e Pechino si confrontano non tanto sul piano ideologico, ma su quello economico, tecnologico e sempre più militare. E in questo confronto lo spazio sta acquisendo, a torto o a ragione, un valore strategico. Tanto che Donald Trump ha deciso di creare una nuova forza armata – dopo Esercito, Marina e Aviazione – che dovrà presidiare lo spazio. Le ragioni sono molte e quelle strettamente militari esulano dagli scopi di questo articolo. Difficilmente questa scelta resterà senza risposta da parte di Pechino. Stiamo andando, dunque, verso una nuova corsa alla militarizzazione dello spazio. Non è una bella notizia. Anzi, è una pessima notizia.
Ma, proprio come successe negli anni ’60 del secolo scorso, questa pessima notizia può avere effetti tangibili sul rilancio dell’esplorazione dello spazio, compreso il ritorno dell’uomo sulla Luna. Se, infatti, lo spazio assume un valore strategico, allora la possibilità di trovare risorse per affermare la propria supremazia militare e/o la propria immagine muscolare diventerà estremamente concreta.
La Luna potrebbe rientrare nel gioco di questo scontro, speriamo freddo. Ritorneremo, dunque, a un passato, anche spaziale, già visto? E assisteremo a un’autentica guerra dei due mondi?
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