Italiani verso l’estinzione

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MATERNITÀ
la rivoluzione silenziosa delle donne
di Ritanna Armeni, su Rocca

Non facciamo più figli, il paese – annuncia l’Istat – attraversa una fase di recessione demografica. E snocciola i dati. 140.000 bambini in meno rispetto a dieci anni fa. Nel 2050, la quota dei 15-64enni, cioè degli adulti in età di lavoro scenderà al 54,2% del totale, sei milioni di persone in meno, dieci punti percentuali, rispetto a oggi. Sempre l’Istat ci informa che ben il 49 per cento delle donne tra i diciotto e i quarantacinque anni non ha mai avuto un figlio, quasi la metà. Che i vecchi sono tanti e aumenteranno ancora. In Italia ci sono oltre due milioni di ultraottantancinquenni. E quindicimila ultracentenari. Le conseguenze sulla economia si prevedono disastrose. Con un numero così consistente di anziani sarà inevitabile aumentare le spese dello Stato. E allora dove si prenderanno i soldi se non ci sono i contributi dei giovani che lavorano? Chi acquisterà le case in vendita, chi comprerà le merci che si continuano a produrre? Come manterremo le scuole e gli ospedali?
Un bilancio disastroso, che la metà basterebbe. Meriterebbe perciò analisi approfondite oltre che lamenti. Meriterebbe una riflessione che tentasse di risalire alle cause. Ne tentiamo una.
All’origine della recessione demografica ci sono le donne. Sono loro al centro del calo della natalità. Sono loro che hanno deciso di fare meno figli o di non farne affatto.
La recessione demografica è il segno di una ribellione, forse di una rivoluzione.
Le rivoluzioni femminili sono silenziose. Spesso non contemplano slogan, manifestazioni, polemiche, dichiarazioni, gesti eclatanti, scontri diretti. I cambiamenti neppure si pronunciano o si teorizzano. Semplicemente si agiscono. Singolarmente e collettivamente. Quello sulla natalità, o meglio sulla maternità, è forse il più grande e il più radicale fra i tanti che le donne hanno attuato. Il fatto che nessuno (quasi nessuno) se ne accorga non ne limita né la portata né le conseguenze.
Le rivoluzioni anche se si fanno in modo diverso, hanno sempre la stessa origine. Chi si sente vittima di una situazione a un certo punto reagisce. Nella maggior parte dei casi lo fa con violenza, cercando di riprendersi ciò che gli è stato sottratto. Le donne l’hanno fatto rifiutando ciò che è contemplato dal loro destino biologico e dall’organizzazione sociale. Considerate «fattrici» sono state in modi e tempi diversi, private, proprio in nome della maternità di una libertà di vita alla quale gli uomini non hanno mai rinunciato. Per un certo periodo della storia è stato facile. Quella libertà neppure la conoscevano. Ora la conoscono e hanno costatato che è in conflitto con la maternità.
C’è chi ha pensato (ed io sono stata fra questi) che un’organizzazione sociale protettiva e dei servizi adeguati avrebbero potuto convincere le donne a ritornare a essere madri. È una posizione che ha del vero. Lo dimostrano paesi come la Francia in cui lo Stato, più rispettoso ed efficiente, promuove politiche adeguate e nascono più figli. Ora, però, ho l’impressione che non basti più. Nelle giovani donne pare prevalere la convinzione che, per quanto protetta e curata, la maternità priva di una libertà che oggi è ritenuta essenziale. Per lavorare, per vivere, per esprimersi, per essere pienamente se stesse. Che anche ciò che può dare il più efficiente e protettivo dei sistemi di sicurezza sociale non basta a salvaguardare dalle limitazioni che si pretendono da una madre e dalla contraddizione con un immaginario di affermazione e di vita. Il rapido, e non so quanto consapevole calcolo, di quel che la maternità dà e di quello che inevitabilmente toglie, è comunque negativo e non c’è welfare che possa modificare i risultati. Oggi essere pienamente una donna, cioè un essere umano che percorre la via della libertà in una società ancora organizzata dagli uomini, passa necessariamente dalla negazione del ruolo materno. Per questo non lo si prevede e lo si cancella. E l’organizzazione sociale, le leggi dello stato possono fare davvero poco. Persino uno stato autoritario di fronte alla decisione femminile di limitare fortemente la maternità è impotente. Durante il ventennio fascista la crescita demografica era, come si sa, tra gli obiettivi principali di Benito Mussolini che non badò a spese pur di aumentare il numero degli italiani. Furono tassati gli scapoli, si creò l’Onmi (Opera nazionale maternità e infanzia), si decisero gli assegni di maternità, si premiarono le madri prolifiche, s’istituirono premi e prestiti speciali per chi si sposava e faceva figli. In quegli anni la natalità non solo non crebbe ma diminuì. Anche in quel caso le donne attuarono una rivoluzione silenziosa che nessuno comprese e che non è compresa neppure oggi. Chi oggi rifiuta di far figli intende ricollocarsi nella società, rifiutare il ruolo finora assegnato, uscire da un simbolico che si ritiene privo di significato. Pensa che per essere veramente donne non si deve essere madri. Forse se i governi, gli stati l’organizzazione sociale avessero fatto qual- cosa di più non si sarebbe arrivati a questo punto. Ora comunque ci siamo. Del resto non avviene sempre così nelle rivoluzioni? Chi ha subìto, sopportato, quando sperimenta situazioni sia pur parzialmente migliori, rifiuta il peso che ha fino a quel momento portato e si ribella. Il fatto che le donne lo facciano in silenzio non rende meno radicale il cambiamento già avvenuto. Bisogna essere ciechi per non accorgersene e ho l’impressione che viviamo in un mondo di ciechi.
Ritanna Armeni
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Le foto e l’articolo sono tratti da Rocca n.14 del 15 luglio 2019
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popolazionerapporti1Istat: calo demografico record, rallentato dai cittadini stranieri
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Iscritti in anagrafe per nascita solo 439.747 bambini, il minimo storico dall’Unità d’Italia
(Regioni.it 3645 – 03/07/2019) “Continua il calo delle nascite in atto dal 2008. Già a partire dal 2015 il numero di nascite è sceso sotto il mezzo milione e nel 2018 si registra un nuovo record negativo: sono stati iscritti in anagrafe per nascita solo 439.747 bambini, il minimo storico dall’Unità d’Italia. La diminuzione delle nascite è di oltre 18 mila unità rispetto al 2017 (-4,0%). Il calo si registra in tutte le ripartizioni ma è più accentuato al Centro (-5,1% rispetto all’anno precedente)”.
L’Italia è in decrescita demografica. Lo rileva l’Istat spiegando come questo declino demografico avvenga per la prima volta negli ultimi 90 anni. Fenomeno che viene rallentato solo dalla crescita dei cittadini stranieri.
La popolazione italiana scende, al 31 dicembre 2018, a 55 milioni e 104mila, 235mila in meno rispetto al 2017.
La diminuzione delle nascite nel 2018 è di oltre 18mila unità rispetto pari al 4%. Diminuiscono i decessi (633mila), 15mila in meno del 2017. Rispetto al 2014 la perdita di italiani è come la scomparsa di una città come Palermo: 677mila persone, spiega sempre l’Istat.
Nel 2018 la distribuzione della popolazione residente per ripartizione geografica resta stabile rispetto agli anni precedenti.
La diminuzione della popolazione avviene ovunque, tranne che nella provincia autonoma di Bolzano. A livello nazionale il tasso di crescita naturale si attesta a -3,2 per mille e varia dal +1,7 per mille di Bolzano al -8,5 per mille della Liguria. Anche Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Molise presentano decrementi naturali particolarmente accentuati, superiori al 5 per mille.
Le aree più popolose del Paese sono il Nord-ovest (vi risiede il 26,7% della popolazione complessiva) e il Sud (23,1%), seguite dal Nord-est (19,3%), dal Centro (19,9%) e infine dalle Isole (11,0%).
Solo nel Nord-est si registra un lieve aumento di popolazione (+0,10% rispetto al 2017), mentre in tutte le altre ripartizioni risulta in calo; i maggiori decrementi, al di sopra della variazione media nazionale (-0,21%), si rilevano nelle Isole (-0,53%) e al Sud (-0,46%).
La popolazione straniera risiede prevalentemente nel Nord e nel Centro, dove si registra un’incidenza sul totale dei residenti superiore al 10%. Nel Mezzogiorno la presenza straniera resta più contenuta sebbene sia in crescita: 4,6 residenti stranieri per cento abitanti nel Sud e 3,9 nelle Isole.
Il primato di presenze, in termini assoluti, va alle regioni del Nord-ovest con 1.764.305 residenti di cittadinanza straniera, pari a oltre un terzo (33,6%) del totale degli stranieri. Circa un cittadino straniero su quattro risiede nelle regioni del Nord-est (23,9%), così come nelle regioni del Centro (25,4%). Più contenuta è la presenza di cittadini stranieri nel Sud (12,2%) e nelle Isole (4,9%).

BILANCIO DEMOGRAFICO NAZIONALE – PERIODO DI RIFERIMENTO: ANNO 2018 – DATA DI PUBBLICAZIONE: 03 LUGLIO 2019

One Response to Italiani verso l’estinzione

  1. admin scrive:

    In argomento
    Popolazione in calo: nuove politiche [di Antonietta Mazzette]
    By sardegnasoprattutto / 6 luglio 2019 / Società & Politica / http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/20598

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