Che succede?

Il ragazzo con la lampada Ferdinand Georg Waldmuller
sbilanciamoci
L’Italia a tre teste, ovvero Mission: impossible
di Guglielmo Ragozzino

Sbilanciamoci, 3 Giugno 2019 | Sezione: Apertura, Politica
Quando cambierà l’assetto parlamentare in Italia? E soprattutto come cambierà? E in questo quadro semi-democratico probabilmente andremo al voto nel 2020, magari con un governo tecnico Cottarelli. Ipotesi di ricomposizioni possibili.

Quando cambierà l’assetto parlamentare in Italia? E soprattutto come cambierà? Sono queste le domande che ciascuno si ripete quando non riesce a dormire. Se poi il sonno torna, allora va bene tutto e si dimentica il problema. L’incubo però persiste. Per discutere un po’ dell’argomento, anche per tornare su quanto ha scritto (“Il blocco di destra”) di recente per Sbilanciamoci.info Mario Pianta, abbiamo ripreso l’argomento, pur senza pretendere di scrivere la soluzione, una volta per tutte, ma piuttosto per suggerire la necessità di intervenire e discutere in fretta di un tema decisivo. Decisivo per la nostra democrazia, per l’uguaglianza e la libertà.

In Italia sono attivi tre partiti, di forza divergente. Uno di essi per ora rifiuta di chiamarsi partito, il Movimento 5 stelle (M5S). Gli altri, destra e sinistra, li possiamo considerare alla testa di altrettante possibili coalizioni: naturalmente spetta a loro raggiungere il risultato di lanciare e tenere insieme il raggruppamento: quello di destra e quello di sinistra. Le difficoltà sono notevoli. A destra la Lega può scegliere la via, più facile, di fagocitare Forza Italia ma il risultato potrebbe essere insufficiente per raggiungere la maggioranza in Parlamento. Per contrasti, personali, politici, sociali è assai complicato procedere in altro modo, dando spazio e visibilità a Forza Italia, a Fratelli d’Italia, ai partitini, favorevoli all’euro, oppure familisti o fascisti dell’area, talvolta troppo democratici per accettare supinamente – solo per un eventuale seggio parlamentare – le sopraffazioni sovraniste e antidemocratiche di Salvini.

Sull’altro lato il Pd, che non ha buona fama, avendola immiserita nel corso degli anni successivi al meraviglioso voto europeo del 2014 (40,9 per cento), deve così stringere un rapporto affidabile e sincero con – tanto per fare un esempio – i verdi/ambientalisti, quale che sia il loro prossimo nome, in previsione di elezioni. M5S per il quale sono programmaticamente preclusi accordi, si sforzerà di dare corpo e spazio, in modo credibile, a ogni domanda popolare, del Sud e del Nord, della montagna e della città, delle pianure e dei fondi marini, nel tentativo di interpretare i bisogni di tutti gli scontenti del Paese, o almeno della maggior parte.

La scadenza elettorale naturale è prevista per l’inizio del 2023, alla fine del quinquennio iniziato al fatale 4 marzo 2018.

Semestre bianco La legislatura non durerà probabilmente cinque anni, considerando lo scarso accordo tra i partiti di governo. Occorre ricordare d’altro canto che il 3 agosto 2021 ha inizio il semestre bianco, durante il quale il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che scade appunto il 3 febbraio 2022 al termine del settennato, non può dimettere un governo e indire nuove elezioni. I tempi sono stretti: quello tra i partiti al governo che vuole stravincere, oppure l’altro che desidera salvare il salvabile della propria attuale maggioranza parlamentare, o del proprio buon nome, devono muoversi rapidamente. Saltando questo prossimo mese di giugno, le possibilità sono: crisi di governo nell’autunno 2019 per elezioni all’inizio del 2020, oppure nelle diverse stagioni di tale anno. Le forze in campo, oltre ai partiti (e relative alleanze), per organizzati o meno che siano, comprendono altri agenti rispettabili – rispettabili significa: da tenere in debito conto – industriali organizzati, compresi banchieri e gran commercio, e poi magistratura e infine “servizi”. Ciascuno di essi si muoverà per ottenere il governo desiderato. Dispiace dirlo, ma il sindacato attuale è troppo marginale, per contare davvero come quarta forza esterna. Le altre tre non sono democratiche poiché per avere successo si muovono, nella politica, in modo occulto.

Preparare le elezioni Per facilitare la scelta di elezioni anticipate, potrebbe anche servire un innesco, di quelli capaci di spostare milioni di voti: essendo privi di fantasia, non sappiamo che pensare alla ripetizione di vicende del passato: un atto di terrorismo con decine di vittime; oppure una strage di tipo francese, addossabile, più o meno ragionevolmente, a immigrati; o anche solo un delitto raccapricciante come quello di Pamela, la ragazza uccisa a Macerata. Le società italiane, quella bassa, quella media e quella alta, sono assai fragili di fronte agli eventi. Lo spread andrebbe a mille. Il rischio estremo, per i partiti maggiori, è che il presidente Mattarella, avendo in mano il pallino elettorale, non finisca per affidare l’incarico a qualche Carlo Cottarelli di passaggio. Tale governo del presidente, battuto secondo logica in Parlamento, resterebbe però in carica per dirigere le elezioni. In un passato meno pericoloso, alcuni predecessori dell’attuale presidente hanno fatto le proprie scelte e designato un leader del governo, rispondente alle loro convinzioni. Vogliono davvero i partiti di governo affrontare un simile pericolo?

Soluzione Rosatellum Il sistema elettorale che verrà utilizzato, con molta probabilità, sarà lo stesso del 4 marzo: il rosatellum, dal nome di un renziano, Ettore Rosato, che lo ha proposto e fatto approvare. Infatti, è difficile immaginare che le forze governative trovino modo di cucinare una nuova legge elettorale, in accordo tra loro. Senza accordo: rosatellum. Le caratteristiche vigenti (lo ricordiamo per gli elettori giovani e inesperti) sono che alla Camera dei deputati, composta di 630 eletti, circa 14 saranno indicati dagli italiani all’estero, 230 con un sistema maggioritario (vince uno e gli altri sono fuori) e gli ultimi 386 con un sistema proporzionale, però del tutto particolare. Sono prescelti, dai partiti, secondo i casi, da due a quattro candidati per collegio. Chi vota non può scegliere, neppure tra i quattro, ma tenerli (e votarli) per quello che sono. Al Senato un voto simile, per metà candidati (315). I senatori a vita sono a parte.

Al voto, al voto! In un quadro semidemocratico si voterà, dunque nel 2020, agli inizi, secondo una cauta previsione che richiama quanto avvenuto in passato. Il presidente Mattarella sceglierà il presidente incaricato e su proposta di quest’ultimo, il breve governo elettorale. Partiti e movimento si daranno da fare, approfittando di ogni occasione, di ogni fake news che si troveranno nel cammino, per evitare di inciampare e al tempo stesso servirsene contro gli avversari. Anche le forze esterne – capitalisti, magistrati, servizi – si daranno da fare. Così come avranno un ruolo, ma questo non si può dire, è antipatriottico, i Paesi stranieri, europei e di altri continenti. Anche questa è democrazia vivente, tutto considerato.

Sinistra nella nebbia Mentre si conoscono a menadito le intenzioni e le proposte della destra e del M5S, sono ancora nebbiose le scelte della sinistra. Le prime vertono su un solido nazionalismo, del tipo “prima gli italiani”, di soluzioni alle diffuse paure raccolte nei successivi “decreti sicurezza”, un po’ ammorbiditi dalla necessità capitalistica e sociale di importare badanti e forza lavoro, con i suggerimenti di certi padroni e certe famiglie al futuro governo – il governo auspicato della destra – di promuovere un nuovo “decreto flussi”. M5S, dal canto suo, riporterà, da un lato, in vita le proposte ambientali di venti anni fa: Ponte, acqua, Tav, trivelle ecc.; dall’altro darà fiato alla sua proposta spesso vincente del “tutti in galera”. Per la terza parte, quella della sinistra nebbiosa, le alleanze sono necessarie e tutt’altro che facili. Si tratta di cominciare, subito, a parlare con chi resiste, verso destra e verso sinistra. Parlare, dopo tutto, fa pensare, se le parole sono pietre, a “Parlamento”.

Zingaretti, il segretario Utilizzando magari i buoni uffici del facondo Calenda, il segretario Zingaretti potrebbe offrire spazio e associare all’impresa elettorale, radicali sparsi e l’intera Bonino. Difficile che in prima battuta, la sinistra – più sparsa ancora dei radicali – quella un po’ rappresentata dai due Bersani, Pierluigi o Marco – quello della lenzuolata privatistica e quello del referendum 2011 sull’acqua – accetti di buon grado Emma Bonino o addirittura il più noto dei suoi accoliti, Bruno Tabacci. Sarà compito del segretario parlare, spiegare senza requie che in Parlamento si va per parlare. “O preferite Salvini?” Dal canto suo Bonino vorrebbe aver poco a che fare con i comunisti. Costoro non sono soltanto quelli di Marco Rizzo, ma più ancora i tipi di Sinistra italiana, Rifondazione e peggio. Tutti loro si battono – è vero –per l’uguaglianza delle persone: maschi e femmine e altri ancora; bianchi, neri, gialli, con tutte le mezze tinte originate da un milione di anni e dai viaggi senza requie dell’homo sapiens. Tutto questo Bonino lo sa bene e apprezza, ma teme la mancanza di libertà dei comunisti che metterebbero tutti in riga, in uno Stato potentissimo, senza tener conto degli individui diversi e nati liberi. Di nuovo sarà compito del segretario parlare, spiegare di nuovo che parlare (e saper convincere) è dopotutto un compito primario del Parlamento. “Cominciamo subito e poi vediamo”. L’argomento risolutivo sarà quello di sempre: “meglio forse Salvini?”

Parlare, parlare Il tentativo per la sinistra è dunque quello delle prove generali, profonde e rapide, sempre che una tale contraddizione sia ammessa, di stare insieme. Non sarà solo una chiacchiera. Ben più difficile è il resto. Occorrerà mettersi d’accordo sui candidati da proporre ed eleggere. Candidati possibilmente vincenti, per cui nel partito democratico, senza tante storie, i socialisti voteranno per i renziani e viceversa. Fuori dal partito democratico, Bonino voterà per i comunisti e questi ultimi per Bonino e, fosse pure, per Tabacci. Si dovranno scegliere candidati vincenti e collocati nelle giuste circoscrizioni, quelle più favorevoli, a conti fatti. I candidati dovranno stare e lavorare sul collegio, per piccolo e disagiato che sia, per parlare e convincere gli elettori, della serietà dell’intento e e della ragionevolezza della scelta. “Nessuno abbia paura; se stiamo insieme, se ci aiutiamo, Salvini non vi serve per niente”. Fare i conti elettorali è come dire proprio questo. Serve pensare largo, darsi fiducia, reciprocamente, saper fare scelte e alleanze per competere con la maggiore possibilità di successo. Occorrerà studiare e poi parlare, per poi parlare ancora. Dopo tutto è un allenamento necessario, per futuri deputati e senatori che in Parlamento dovranno saperlo fare.

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