Europa e Lavoro
Economia e lavoro nei programmi dei partiti

di Andrea Gaiardoni su Rocca
Le analisi elettorali sono (quasi) al capolinea. Tra poco si passerà al voto, quello concreto, quello che determinerà la futura composizione della delegazione italiana al Parlamento europeo, quando bisognerà scegliere dove tracciare la fatidica X, su quale simbolo di partito, a sua volta collegato a quale gruppo europeo. A pochi giorni dall’apertura delle urne (in Italia si vota domenica 26 maggio) la partita è ancora aperta e si gioca tutta sui programmi, sugli argomenti chiave che stanno animando il dibattito politico. A partire dai due muri portanti: lavoro ed economia, entrambi in sofferenza, entrambi estremamente bisognosi di attenzione e cura. Naturalmente senza dimenticare gli altri temi che recitano da protagonisti in questa campagna elettorale, dalla gestione delle migrazioni alla tutela dell’ambiente. Partita ancora aperta non tanto per i sondaggi (più avanti vedremo l’ultima fotografia), ma perché è enorme la porzione di elettori ancora da convincere, i cosiddetti indecisi. Stando all’ultimo rapporto pubblicato pochi giorni fa dall’European Council on Foreign Relations (Ecfr), sono quasi cento milioni gli elettori europei che non hanno ancora scelto a chi accordare la propria preferenza.
previsioni di astensionismo
Analizzando i dati rilevati nei 14 Stati membri più grandi, che da soli costituiscono l’80% dei seggi del Parlamento europeo (la ripartizione dei seggi è stabilita dai trattati europei e tiene conto della popolazione di ciascun paese), soltanto il 43% degli aventi diritto intende votare mentre il 57% è ancora incerto se recarsi alle urne, o determinato a non farlo. E in quel 43% di sicuri votanti (sicuri per dire, si tratta sempre di sondaggi), il 70% non ha deciso a quale partito darà la preferenza. L’unica certezza è che in questa tornata, comunque e come sempre, trionferà l’astensionismo. Che, soprattutto quando si parla di elezioni europee, pesa come un macigno: segno di una disaffezione alle urne che nel corso degli anni (dal 1979 in poi) è andata sempre in crescendo. L’affluenza media delle ultime consultazioni (2014) si era attestata attorno al 43%, con punte di astensionismo clamorose soprattutto nell’Europa dell’Est (87% in Slovacchia, 80,5% in Repubblica Ceca, 75,9% in Polonia, 70% in Ungheria). In pratica, seggi elettorali quasi deserti. Ma con percentuali enormi anche altrove: 65,5% di astensioni in Portogallo, 63% in Olanda, 59,1% in Finlandia, 56,5% in Francia, 52,1% in Germania. Meglio in Italia (42,8%): un sondaggio di pochi giorni fa, realizzato da Demopolis, stima la non partecipazione in calo, al 38%. Sarebbe già un successo.
la formula del Ppe
Quindi ora servirebbe una bussola, per scegliere la direzione dove orientare la nostra attenzione e, in caso di perplessità, il nostro voto. E se molti si affidano alla certezza delle sigle di partito, senza andare troppo a comprenderne propositi, obiettivi e alleanze, c’è chi decide di andare un po’ più a fondo, di andare a scavare tra le pieghe dei programmi dei vari gruppi europei (ai quali, è bene ricordarlo, i partiti nazionali possono aderire soltanto a condizione che condividano esplicitamente la stessa affinità politica). Dunque i programmi. A partire da quello del PPE, il Partito Popolare Europeo, gruppo leader a Strasburgo, fieramente europeista, che raccoglie attorno a sé partiti conservatori, cristiano-democratici, di centro e di centro-destra. Il lavoro è un punto cardine del loro programma. Tanto che i due esponenti di maggior spicco dei Popolari (il tedesco Manfred Weber, presidente del gruppo del Ppe al Parlamento Ue e candidato alla successione di Jean Claude Juncker al vertice della Commissione Ue, e il presidente dell’Europarlamento, l’italiano Antonio Tajani, che punta alla riconferma) in un recente meeting che si è svolto ad Atene (febbraio scorso) hanno lanciato uno slogan che tanto ricorda il contratto con gli italiani di Berlusconi del 2001, a metà strada tra una promessa e una speranza: la creazione, nell’Eurozona, di 5 milioni di posti di lavoro. Con un settore specifico a far da traino nel futuro prossimo: il digitale. «L’innovazione è nel Dna dell’Europa» – ha puntualizzato Weber. «Ma bisogna avere la capacità di investire nei settori chiave della nostra economia. Dobbiamo assumere un ruolo guida nell’intelligenza artificiale, nella robotica, nella biomedicina, nei big data e nella mobilità ingegneristica».
Altra priorità nel programma dei Popolari è la lotta alla disoccupazione, che colpisce le fasce dei giovani e dei più prossimi alla pensione, i 50enni che hanno perso l’occupazione e non riescono a rientrare. «Non finanzieremo la disoccupazione» – ha dichiarato ancora Weber. «Noi vogliamo creare nuove opportunità di lavoro. Vogliamo aprire un nuovo capitolo per l’Europa, investendo in quattro maxi ambiti: commercio, infrastrutture, innovazione ed economia sociale di mercato». Senza dimenticare il capitolo infrastrutture: «Il potenziale europeo andrà perduto se non ci sarà un buon collegamento e una buona mobilità tra tutte le regioni d’Europa. È un motore cruciale per nuovi posti di lavoro. La connessione crea opportunità». Infine è Tajani a tracciare il solco politico nel quale collocare il Ppe: «Il nostro obiettivo è mettere al centro la persona, puntando su sussidiarietà ed economia sociale di mercato. Vogliamo costruire una forza autenticamente popolare, alternativa alle sinistre ma anche agli eccessi dei populisti». Nel programma del Ppe, la cui stesura risale al 2014 e che ha coperto il quinquennio fino all’attuale 2019, si legge: «È adesso il momento di riforme che consentano la creazione di nuovi posti di lavoro e la crescita sostenibile. Se tarderemo a fare le riforme anche la crescita subirà ritardi: se la crescita subirà ritardi, il sistema previdenziale, uno dei principali pilastri del modello europeo dell’Economia Sociale di Mercato, sarà compromesso. Tali riforme dovranno includere miglioramenti in materia di sanità pubblica, sistemi pensionistici, mercati del lavoro e istruzione».
In Italia, fanno parte del Ppe come membri Forza Italia, l’Unione di Centro e Alternativa Popolare, mentre hanno il ruolo di osservatori il Partito Autonomista Trentino Tirolese e la Südtiroler Volkspartei.
la risposta dei Socialisti
Naturalmente i temi del lavoro e dell’economia non sono proprietà esclusiva del Ppe. Prendiamo ad esempio l’incipit del programma di S&D, l’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento Europeo:
«La nostra priorità è creare benessere per molti, e non profitti solo per pochi avidi. Allo stesso tempo, dobbiamo rispettare i limiti del nostro Pianeta. La nostra lotta è per un’uguaglianza sostenibile in tutte le sue dimensioni: sociale, economica, politica e territoriale».
Più nel dettaglio, uno dei temi al centro del lavoro dei deputati Socialisti e Democratici è la transizione verso un’economia a emissioni zero, sulla base della proposta della Commissione Europea che prevede appunto di porre fine alle emissioni di gas serra entro il 2050. Ma con un’avvertenza, stampata sul sito del gruppo: «L’economia a emissioni zero dovrà avvantaggiare tutti i cittadini e non creare nuove disuguaglianze. Al contrario: dovrebbe contribuire a colmare il divario crescente tra ricchi e poveri e rafforzare la coesione sociale tra i cittadini e tra le regioni». Ancor più esplicito Udo Bullmann, presidente di S&D: «L’obiettivo dei nostri eurodeputati è ottenere norme ambiziose in materia di energia pulita ed efficienza energetica. Ma questo non è abbastanza. Dobbiamo smettere di pensare solo alla crescita economica e alle cifre macroeconomiche. Dobbiamo mettere le persone al primo posto. La trasformazione ecologica deve andare di pari passo con una riforma della governance economica e attuando politiche sociali radicali, per assicurare che questa sia una transizione equa per tutti».
Economia e ambiente, fusi in un’unica questione. E non solo. Perché gli argomenti chiave di questa campagna elettorale spesso si contaminano, si condizionano, si fondono. Sono argomenti liquidi. E ambiziosi. Chiarisce ancora Bullmann: «Siamo di fronte a profonde trasformazioni nel mondo moderno: cambiamenti climatici, economia digitale, una migrazione mondiale. E le persone rischiano di perdere il controllo delle proprie vite. E allora, riprendiamo il controllo delle nostre vite per lo sviluppo di una buona società. Ma questo non può essere fatto in un modo nazionalistico arretrato. Può essere fatto solo in un modo progressista europeo. Dobbiamo smettere di parlare di economia senza parlare di ambiente. Dobbiamo smetterla di parlare di ecologizzazione dell’economia senza parlare della dimensione sociale. Il nuovo futuro deve essere per tutti, non per i pochi più agiati. Uniamoci dietro un concetto di cambiamento radicale sostenibile verso un’Europa migliore, per sviluppare il commercio economico, le relazioni economiche e per essere partner in altri continenti».
In Italia S&D vuol dire principalmente Partito Democratico. Il cui segretario, Nicola Zingaretti, si presenta così agli elettori: «In questi anni ci siamo battuti per superare le politiche di austerità, che hanno frenato l’uscita dalla crisi del 2008 e hanno determinato una riduzione del potenziale produttivo dell’economia, ottenendo l’introduzione della flessibilità. Occorre ora dare vita a un vero governo economico europeo, capace di sostenere il lavoro e lo sviluppo e di correggere gli squilibri sociali e territoriali che minano la crescita e la coesione dell’Europa». Candidato di S&D è l’olandese Frans Timmermans.
il rinvio Brexit e la stampella dei Liberali
Il rinvio della Brexit ha in parte corretto le previsioni dei sondaggisti. Sui 751 seggi dispo- nibili in Parlamento (sarebbero stati 705 senza la partecipazione del Regno Unito) il Ppe è al momento accreditato di 180 deputati (37 in meno degli attuali 217). Mentre S&D dovrebbe ottenere 149 seggi (anche in questo caso 37 in meno rispetto ai 186 attuali), un passo avanti rispetto alle precedenti rilevazioni che stimavano un calo più consistente. Ma resta il tratto politico che, se le proiezioni di voto fossero confermate, Popolari e Socialisti non arriverebbero da soli alla maggioranza dei seggi (evento che non si verifica da 35 anni). Dunque per continuare a governare avrebbero bisogno di un appoggio ulteriore, di una stampella. Che potrebbe arrivare da Alde (il gruppo dei Liberali e Democratici per l’Europa), che dovrebbe passare da 68 a 76 deputati, senza contare gli eletti per En Marche di Emmanuel Macron, in Francia, che non ha ancora ufficializzato l’adesione al gruppo. Insieme Ppe, S&D e Alde (senza Macron) arriverebbero al 54% dei seggi (ma non è da escludere che per blindare la maggioranza si tenti un accordo anche con i Verdi, stimati in crescita).
Il programma dei Liberali su economia e lavoro è piuttosto articolato: si va dal «sostegno a una maggiore equità nel sistema tributario e nel mondo del lavoro» allo «sviluppo di un mercato di libera concorrenza europeo, con la privatizzazione di imprese nazionali che operano in mercati concorrenziali», per arrivare al «Superamento delle politiche di austerità, con un potenziamento degli investimenti europei nell’ambito dei servizi di istruzione e nuove tecnologie». Del gruppo Alde fanno parte, in Italia, il partito +Europa e i Radicali, che però difficilmente (sempre stando alle ultime stime di voto) riusciranno a superare la soglia di sbarramento, che in Italia è fissata al 4%.
l’opposizione
Dunque i partiti europeisti dovrebbero continuare a guidare l’Unione Europea, almeno per ora. Con i sovranisti, vale a dire i gruppi di destra come Ecr (Conservatori Riformisti), Enf (Europa delle Nazioni e della Libertà) e Efdd (Europa delle Libertà e Democrazia Diretta) all’opposizione (oggi avrebbero, tutti assieme, oltre il 20% dei consensi), a fare prove di forza, di resistenza e di coesistenza. Cinque anni per testare se l’euroscetticismo e il nazionalismo estremo troveranno ulteriore terreno di diffusione.
Andrea Gaiardoni
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EUROPA: economia e lavoro nei programmi dei partiti
ROCCA 15 MAGGIO 2019
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