Oggi domenica 5 maggio 2019

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2img_9827
—————————————————————————-
Sardegna universitaria_2costat-logo-stef-p-c_2-2universita_cultura_e_sapere2
——————————————————————————————
———————————-A Nuxis——————————-
cammino-nuxis-5-5-19Oggi domenica 5 maggio a Nuxis nei luoghi della latitanza dell’Avv. Cadeddu, capo di Palabanda. Partecipate!
Nell’ambito delle iniziative su “Sa die de Sa Sardinia” ci rechiamo, accompagnati dalla locale Associazione Le Sorgenti, in pellegrinaggio laico nelle campagne di Nuxis nella Grotta di Conch’è Cerbu, dove l’Avv. Salvatore Cadeddu, capo della rivolta di Palabanda, trascorse alcuni mesi della sua latitanza fra la fine del 1812 e i primi mesi del 1813, […]
————————————Alla Comunità di San Rocco – Cagliari ——————-
san-rocco2
———————————————————–
Disturbatori della quiete pubblica – II parte
Carlamaria Cannas – San Rocco – 5 maggio 2019
Il cristianesimo resiste o fallisce con la sua protesta rivoluzionaria contro l’arbitrio e la superbia del potente, con la sua difesa del povero. Credo che i cristiani facciano troppo poco, e non troppo, per rendere chiaro questo concetto. Si sono adattati troppo facilmente al culto del più forte. Dovrebbero dare molto più scandalo, scioccare molto più di quanto facciano ora.
(Bonhoefer da ‘La fragilità del male” inediti 2015)

La volta scorsa abbiamo visto alcuni aspetti del pensiero dei nostri cinque disturbatori, come tutti abbiano avuto come punto di riferimento il discorso della Montagna, come tutti abbiano fatto esperienza di deserto, di quell’impressione che Dio si sia allontanato; e come li abbia sempre incoraggiati a continuare la loro opera la certezza che Dio non abbandona mai nessuno, che è lui che ci cerca per primo, senza imporre la sua presenza, rispettoso di quel difficile dono che ci ha fatto, la libertà di coscienza, la libertà di accoglierlo o di rifiutarlo.
Questo ha permesso loro di riuscire a discernere nella vita da consacrati i segni delle difficoltà e degli errori nel modo di essere della loro chiesa, luterana tedesca per Bonhoefer, cattolica per gli altri quattro, e quindi di indicare quali cammini percorrere per affrontare i problemi, anticipando i tempi.
Sono passati molti anni, le loro parole le abbiamo ritrovate già nella lettera enciclica Laudato si’ e nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, contestate dai benpensanti incrollabilmente legati non al vangelo ma a vari codici scritti da uomini e soprattutto dai benpensanti appartenenti alle classi sociali più abbienti, magari legati alla lobby delle armi, allo sfruttamento delle risorse della terra e al mercato borsistico. In riferimento non esplicito ma chiaro a Francesco, uno dei fondatori di un ricco gruppo giornalistico della destra cattolica statunitense, che dichiara di avere come missione l’ortodossia nella fede e nell’insegnamento della chiesa, ha scritto che rispetta preti e vescovi solo se operano “con buon senso e corrette regole aziendali”: siamo quindi arrivati al punto di considerare la chiesa non sacramento ma azienda e sinceramente questo mi fa paura. Parole tra l’altro che a ritroso potrebbero essere state scritte contro i nostri profeti, che certamente non hanno rispettato ‘corrette regole aziendali’ e di sicuro non hanno avuto il buon senso di tacere e non disturbare la quiete pubblica. Se vi può interessare il gruppo si chiama EWTN, cioè rete televisiva della Parola eterna.
Gli uomini di cui parliamo, essendo persone che veramente vivevano a contatto con la gente senza porsi in posizione di separatezza autoritaria, non si sono limitati all’ambito ecclesiale ma si sono interessati dei grandi problemi dell’umanità, quelli ancora oggi ben vivi sul possesso e l’eventuale uso delle armi nucleari, e quindi sulla pace, temi cui sono legati strettamente quelli dell’accoglienza dei migranti e dei cambiamenti sociali del mondo contemporaneo.
E in tutti questi temi, come nelle parole di papa Francesco, la parola chiave, la più ricorrente, è misericordia, misericordia non di facciata e di discorsi politici, ma quella misericordia che Dio ha per noi e che noi dovremmo avere per tutti gli altri. Termine scomodo la misericordia, perché è più facile, meno controproducente verso la società, comportarsi come il sacerdote e il levita della parabola del buon Samaritano, anziché farsi prossimo. La misericordia però la esigiamo per noi se riteniamo di avere sì colpe ma di essere trattati ingiustamente: quanti strepiti su gli italiani o gli statunitensi prima di tutto e chi se ne importa degli altri, che muoiano pure di fame e di guerra. Però lo diciamo col Vangelo e il rosario in mano.
Cominciamo da come è stato affrontato il problema della guerra e quali sono state le intuizioni su come ottenere la pace, pace che, come dice anche Francesco, non vuol dire banalmente assenza di guerra, perché se non facciamo pace dentro di noi non ci sarà mai pace nel mondo; una soluzione è indicata nell’ecumenismo, nel rendersi conto che tutti gli uomini, qualunque sia la loro religione, qualunque sia il colore della loro pelle, dovunque vivano, sono immagine di Dio. Ecumenismo nel vedere nel volto dell’altro il volto di Cristo, come, partendo da Levinas, tante volte ci ha ripetuto Arturo Paoli.
E come l’altra volta iniziamo con l’ascolto di alcuni pensieri di cui non cito l’autore.
“Il prete, il religioso, il leader laico deve, che gli piaccia o no, adempiere nel mondo la funzione del profeta. Se egli non affronta l’angoscia di essere un vero profeta, dovrà godere della triste consolazione di essere accettato nella compagnia degli illusi, diventando un falso profeta e partecipando alle loro illusioni”. [Merton - Fede e violenza – 1965]
La civiltà del consumo è mortale. Lo vediamo già. Voi immaginate appena appena che questo modello si estenda a tutti gli uomini e avete la fine del mondo. Allora uno dice: «È catastrofe!». Certo che lo è, ma non potrebbe essere il segnale che dobbiamo inventare un altro stile di vita? È un germoglio. Ci sono molti che scelgono di vivere in un altro modo e allora anche forme di vita che prima venivano qualificate come barbare e disumane ci appaiono sapienti: una vita più accomodata con la natura, meno tesa verso l’accumulo del consumo. È un bivio. Chi ha ragione? [Mc, 24-32 – Balducci 1988]
Prendendo in considerazione il sentimento comune emergente dalla letteratura odierna sui neri, mi sembra che la questione razziale sia giunta ad un punto di svolta. Il tentativo di mantenere il conflitto sul piano religioso o etico cederà il passo a uno scontro politico violento. (Bonhoefer; 1930)
Io non so perché debbano esistere tanti confini tra popolo e popolo, vegliati in tal modo disumano e diffidente da impedire a volte perfino la circolazione del pensiero […] io non so perché debbo soffrire di più per città colpite da sventure che siano entro questi confini e di meno per altre città chiuse entro altri confini e forse più devastate da calamità e da guerre che continuano a infierire. (Turoldo – 1955 – ?)
A poco a poco l’uomo ha capito che ogni creatura è un essere autonomo e libero, che pensa, che ha il diritto di esprimere le proprie idee, che è responsabile dell’organizzazione della società […] Ma a poco a poco questa libertà, invece di essere usata per la felicità dell’uomo, ha prodotto seri problemi alla convivenza umana. (Paoli – 1977 – Camminando s’apre cammino)
Facciamo prima parlare i nostri di pace e di guerra
Bonhoefer, che, come abbiamo già visto, ha intuito che ben presto si sarebbe arrivati ad un conflitto, ha letto il problema dal punto di vista della coscienza di un cristiano; badate, di un cristiano, di qualunque confessione, quindi di tutti quelli che credono in Cristo. Dice infatti:
Chi è in grado di rivolgere un appello alla pace, in modo che il mondo lo ascolti, sia costretto ad ascoltarlo? In che modo i popoli debbono esserne lieti? Il singolo cristiano non lo può … solo il grande e unitario concilio ecumenico della santa chiesa di Cristo da tutto il mondo può dirlo in modo tale che il mondo, sia pure digrignando i denti, debba accorgersi della parola della pace … (Leggere B. p 71)
Bonhoefer sa che non ci sono le forze per opporsi alla guerra provocata dai nazisti. A marzo del 1939 Hitler invade la Boemia e la Moravia. Nel giugno del 1939 Bonhoefer, che sempre si pone il problema della responsabilità come uomo e come cristiano, si reca negli Stati Uniti su spinta di parenti e amici che vorrebbero tenerlo lontano dal regime, e da lì scrive all’amico teologo Reinhold Niebhur:
È stato un errore per me venire in America. Devo vivere in fondo questo periodo difficile della nostra storia nazionale con i cristiani in Germania. Non avrò alcun diritto a lavorare per il futuro della vita cristiana in Germania dopo la guerra se non condivido le prove del tempo con il mio popolo. […] I cristiani in Germania stanno di fronte alla spaventosa alternativa di assecondare la sconfitta della loro nazione affinché la civiltà cristiana possa sopravvivere, oppure di assecondarla nella vittoria distruggendo così la nostra civiltà. Io so che cosa devo scegliere in questa alternativa, ma non posso fare la scelta trovandomi al sicuro.
Vi consiglio di andare a cercare in Etica il ritratto che fa di Hitler. Sarete forse sorpresi dal ritrovare i tratti del tiranno in tanti uomini politici del mondo attuale. E subito dopo andate a leggere la descrizione di molti uomini che si dicono cristiani nel prologo di Resistenza e resa. Eppure, in tutte le lucide e apparentemente spietate analisi sull’essere umano e sul suo rapportarsi con gli altri, e anche nelle sue lettere dal carcere, in lui troveremo sempre la speranza. [‘Leggere Bonhoefer’ p. 101]
La guerra è stata vissuta dagli altri quattro in condizioni diverse; più che della guerra vissuta però vi voglio parlare dell’opposizione alla guerra in generale, in particolare dell’opposizione alla guerra nucleare e alla chiara previsione delle sue conseguenze, del fatto che per tutti l’opposizione a tutte le guerre deriva dalla consapevolezza che non esistono guerre giuste. Per Merton, da americano, c’è in più una dura presa di posizione contro la guerra in Vietnam. E qui potremmo aprire un dibattito senza fine, ma non è quello che in questo momento ci interessa. Riporto solo le parole di Papa Francesco: Ancora oggi dobbiamo pensare con attenzione al concetto di “guerra giusta”. Abbiamo imparato in filosofia politica che per difendersi si può fare la guerra e considerarla giusta. Ma si può parlare di “guerra giusta”? O di “guerra di difesa”? In realtà la sola cosa giusta è la pace.
Ricordiamoci anche che la guerra giusta è prevista dal catechismo della chiesa cattolica (n. 2309); e notate che le maggiori resistenze alle parole del papa sono venute, pensa che strano, da buona parte del mondo economico: come potrebbe sopravvivere l’industria delle armi se togliessimo la prospettiva della guerra giusta? Ma si rende conto il papa di quanti posti di lavoro si perderebbero? E poi, bisogna esportare la democrazia, imporre il pensiero cristiano. Sarebbe bene ricordare, su quest’ultimo argomento, che i buoni cristiani, evidentemente poco sicuri della loro fede, accusano i musulmani di volerci convertire all’Islam. Mi vien da dire: chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Ecco allora alcuni pensieri di Merton del 1962, tratti dal libro “La pace nell’era postcristiana” pubblicato postumo come raccolta di articoli scritti in vari momenti. Vi ho accennato nella biografia che l’abate generale e alcuni abati succedutisi nel monastero di Gethsemani avevano a più riprese vietato la divulgazione degli scritti di Merton. Però, con la complicità di un abate locale e poiché il ciclostile non è ritenuto stampa, Merton era ricorso allo stratagemma di ciclostilare i suoi articoli e di mandarli ad amici fidati, tra cui Giovanni XXIII e Montini. È stato quindi necessario andare a ricercare presso diverse persone gli articoli, che talvolta avevano la forma di bozze.
Poiché i testi che formano il libro sono stati scritti prima del o nel 1962, molti degli argomenti rispecchiano situazioni contingenti, ma se Merton avesse potuto rivedere gli articoli per la pubblicazione di sicuro moltissime parti sarebbero rimaste invariate. Magari se avesse conosciuto Trump avrebbe aggiunto qualche carico da novanta ai suoi giudizi, non certo elogiativi, sugli americani:
Messa davanti al difficile compito di “assumere la guida del mondo” in un mondo da cui è rimasta tradizionalmente e per scelta isolata, l’America sembra aver reagito con panico e ferocia adolescenziali. L’ostilità, l’impopolarità e le critiche per nulla solidali si sono dimostrate una seria prova per l’ideologia politica americana. […] Messi di fronte al disprezzo arrogante degli amici, così come dell’odio dei nostri nemici dichiarati e domandandoci che cosa ci sia in noi da odiare, ci siamo trovati gente assolutamente rispettabile, innocua e bonaria, che chiede solo di essere lasciata in pace a far soldi e a divertirsi. …
È perfino possibile che dei frustrati e potenti americani possano giocare una parte importante nel precipitare il mondo intero nella guerra nucleare semplicemente perché non riescono a sopportare le tensioni e la confusione generati dalle loro fondamentali incertezze, dalla loro malcelata vacuità e dai loro dubbi diffusi e universali. … Non abbiamo le ragioni che ci permetterebbero di costruire un mondo pacifico, perché non abbiamo una ragione sufficiente per frenare la nostra violenza. In un momento in cui è molto probabile che un altro Hitler o Stalin appaiano sulla scena, questa è davvero una deficienza fatale. (ivi p 89/91)
Nei primi anni sessanta, in piena guerra fredda, il problema della deterrenza nucleare era particolarmente sentito, c’era una corsa agli armamenti in un tragico gioco del farsi più forti degli altri, con la prospettiva di una guerra nucleare che avrebbe potuto annientare non solo il paese eventualmente nel mirino ma l’intero genere umano. Siamo negli anni della Baia dei porci a Cuba (1961) e della Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963), che definisce la guerra una follia. E Merton, che è sulla stessa linea di Giovanni XXIII, con cui, come abbiamo visto la volta scorsa, aveva avuto uno scambio di lettere sul tema della guerra, è giudicato troppo pacifista dai suoi superiori, americani convinti che la pace sia possibile solo se unicamente i più forti possono disporre di armi di distruzione di massa. Come il Trump di oggi dell’America first, dell’America prima di tutto, il Trump che il primo febbraio 2019 fa uscire gli Stati Uniti dal trattato nucleare con la Russia.
Il corrispettivo italiano attuale, per fortuna senza le armi atomiche, lo troviamo tra i leghisti effettivi e virtuali del prima gli italiani, poi se rimane qualche briciola si potrà pensare agli altri; se voglio essere più cattiva prima gli italiani del nord, che non sono brutti, sporchi e cattivi, e poi gli altri italiani e poi, se rimane qualcosa ….
Non sarebbe male ricordare che Einstein ebbe a dire che una guerra successiva a una guerra nucleare sarebbe combattuta da uomini con la clava. Sempre che fosse rimasto qualche uomo.
Dice ancora Merton:
Si dà per scontato che ora la guerra nucleare sia un’opzione razionale o, almeno, la deterrenza nucleare è accettata come un modo ragionevole e realizzabile per “difendere la pace” […] L’“equilibrio del terrore” è assolutamente inaccettabile. È immorale, disumano, assurdo. Non può condurre da nessun’altra parte che al suicidio di nazioni e culture e davvero alla distruzione della stessa società umana. …
Ma dobbiamo dire che, sia nella guerra, sia nel pacifismo, il cristiano è tenuto ad agire secondo la propria coscienza cristiana. Ci sono dei limiti molto severi posti al suo esercizio del diritto di difendere se stesso e la propria patria con la forza, e ci sono dei limiti severi alla propria sottomissione volontaria al male e alla violenza. …
Il nostro primissimo obbligo è quello di interpretare accuratamente la situazione, e ciò significa resistere alla tentazione di semplificare eccessivamente e di generalizzare. La lotta contro il totalitarismo è rivolta non solo contro un nemico esterno – il comunismo – ma anche contro le nostre stesse tendenze nascoste verso le aberrazioni del fascismo o del collettivismo. La lotta contro la guerra non è rivolta solo contro la bellicosità delle potenze comuniste, ma contro la nostra stessa violenza, il fanatismo e l’avidità.
Pensate che l’abbazia di Our Lady of Gethsemani dista in linea d’aria una cinquantina di Km da Fort Knox, sede della riserva aurea degli USA, ovviamente iperprotetta con le armi, ed è base dei bombardieri del comando aereo strategico (SAC) che disturbavano non poco la quiete dell’eremo!
Mettiamo vicino alla voce di Merton quella di Paoli, che ha più volte espresso concetti analoghi a quelli dei suoi fratelli di profezia; Arturo ci dà precise indicazioni su come si può arrivare alla pace:
“Credo che pensare al senso della venuta di Gesù unicamente in termini di salvezza dell’anima sia all’origine dell’individualismo così feroce che ci ha sempre diviso, che continua a dividerci e a essere di ostacolo alla pace, alla convivenza amorosa, impedendoci di sentirci fratelli. … L’unica strada per arrivare alla pace è quella che ha scelto lui, [Gesù]: contrapporre alla violenza la tranquillità, l’umiltà, il silenzio. Solo così potranno calmarsi i rumori di guerra, di violenza e di separazione che ci fanno tanto soffrire. Spesso preghiamo il Signore perché ci dia la pace, ma dobbiamo finalmente comprendere che la pace dobbiamo crearla noi, perché noi ne siamo i diretti responsabili. (Camminando s’apre cammino p 34/35; ivi p 42)
Questo è stato il programma di vita di Paoli, che durante la guerra si è speso, rischiando spesso la vita, per salvare suoi fratelli di umanità: le sue parole, importantissime per noi, non sono mai state semplici esercizi retorici, come spesso capita ad altri, ma sono sempre state attuate nell’impegno audace in aiuto di chi lo incontrava.
Anche Balducci ci indica nella non-violenza il cammino da seguire se si vuole arrivare alla pace:
Nell’immediato giustifichiamo le violenze, nell’immediato ci sembra che lo voglia la ragione e poi constatiamo che non è vero. Voi affermate un grande ideale con la violenza, passano settant’anni, cadono le strutture e non c’è rimasto niente perché abbiamo avuto fiducia nell’efficacia educativa della violenza.
Noi dobbiamo liberarci da questo. Ma liberarci da questo vuol dire liberarsi dalle strutture della violenza, non aver fiducia nelle armi, non pensare a fare nuovi eserciti con tecnologie nuove; vuol dire fare la giustizia nell’amore, nella nonviolenza, nella fraternità mirando con pazienza a mutare i cuori anche degli avversari; vuol dire far sì che spunti il germoglio della vergogna in coloro che tengono in mano – per ripetere le parole di Isaia – il bastone dell’aguzzino. È un lavoro paziente, però è la via che dobbiamo seguire sempre di più… [Commento a Luca, battesimo del Signore]
Quelle che seguono sono parole tratte da un articolo di Balducci del 1988 in cui paragona l’Europa a una immensa necropoli, nel ricordo dei morti nei campi di concentramento e dei morti di tutte le guerre: sono parole che analizzano, forse troppo brutalmente per coloro che si definiscono difensori del nostro benessere, ciò che sta alla base della ricchezza dei pochi e della povertà crescente in larghi strati della popolazione mondiale. E prevedono con sconcertante chiarezza non solo quali saranno i risultati di queste disparità sfacciatamente ostentate ma la prossima ribellione di coloro che l’Europa e in genere l’Occidente ritengono appartenere a razze inferiori:
L’Occidente pensa in universale e difatti ha già fondato i propri equilibri sugli strumenti del massacro universale. L’equilibrio del terrore è appunto l’equilibrio fondato, secondo una formula tecnica, sul Mad, sulla Mutua distruzione assicurata. …
Tutte le forze di cui l’Europa ha fissato i nomi e le tecniche sono all’opera nel mondo per dilatare gli spazi della Necropoli: l’odio razziale, il furore ideologico, l’imperialismo tracotante, il fanatismo religioso, lo scatenamento tecnologico che distrugge l’ambiente vitale, l’onnipotenza della legge del mercato che, da una parte, produce carestia e fame, dall’altra eccessi produttivi. …
L’alta marea delle razze inferiori è cominciata, e noi le stiamo addestrando all’uso delle armi di sterminio, con lauti profitti per i nostri apparati industriali i cui fasti allietano, cifre alla mano, i ragionieri della politica di casa nostra.
Penso che ogni commento sia superfluo, tra muri di cemento o di acciaio statunitensi e israeliani, (ma Trump ci rassicura che anche il Vaticano ha eretto un gran bel muro), tra respingimenti e porti chiusi, tra attentati di fanatici religiosi e politici e un nord del mondo in cui i ricchi, sempre più ricchi e avidi, sono insensibili ai problemi derivanti dai cambiamenti climatici che impoveriscono i più poveri e minacciano di distruggere l’habitat di moltissime specie animali e vegetali.
Vi confesso che non ho mai capito che differenza faccia fuggire dalla propria terra a causa della guerra o a causa della fame: è comunque cercare di sfuggire a una morte vicina, un cercare aiuto. Sentir dire che bisogna aiutarli nella loro terra mi fa solo pensare che, sotto sotto, chi dall’alto del proprio ruolo pronuncia queste parole stia forse ridendo, mentre pensa a come far soldi alle spalle dei diseredati. Il “nord ricco del mondo” è, come dichiara di essere, senza colpe? Quanti finanziamenti sono stati dati senza controllo a capi di stato, magari eletti con votazioni dubbie, che si sono arricchiti anziché operare in favore della popolazione, ad esempio facendo in modo che avesse acqua potabile?
È ovvio che sarebbe meglio per loro aiutarli a casa loro, ma con i fatti e non con parole al vento.
A questo riguardo, e riguardo alle parole che seguono, vi consiglio di andare a rileggere almeno l’Evangelii Gaudium e la Laudato si’.
Le parole di Balducci descrivono un mondo che sembrava, e purtroppo ancora sembra, senza speranza. Ma lo stesso Balducci, che nel 1985 si dice terrorizzato quando vede alla televisione i signori della politica “gioviali, facondi, sorridenti” (ricorda qualcuno?), afferma a sostegno della speranza nell’uomo:
La scienza ci dice che è sicuro che il mondo finirà – è già scritto in cifre nelle risorse energetiche che la biosfera ha a disposizione, che sono limitate – ma a noi questo non importa. A noi importa di rispondere agli appelli del momento. Quando sarà quel giorno lo sa solo il Padre, che è come dire: non è problema per noi. Eliminiamo ogni prospettiva apocalittica, intendendo per essa la tendenza a fissare in un calendario, come che sia, la scadenza. A noi interessa l’attimo, il momento in cui siamo. Qui dobbiamo rispondere, decidere di noi, accogliere la parola che ci viene detta e che è una parola di fiducia nel futuro, non una fiducia fondata su puri argomenti scientifici, ma una fiducia etica: questa grande fede che noi possiamo trasformare il mondo, possiamo creare un mondo fraterno, possiamo, rispondendo a ciò che i germogli chiedono, modificare la terra profondamente, vivere in un equilibrio diverso con la natura.
Lasciamo infine parlare Turoldo, di cui sentirete ciò che pensa su come e perché nasce la guerra. Traggo le sue parole dal libro “Pregare, forse il discorso più urgente”, preghiera nella festa di S. Ilario, il 29 gennaio 1953:
Non è assolutamente vero che l’uomo sia guidato dalla ragione. Difficile è discendere dal dorso della tigre. Dall’inizio della storia le armi sono sempre scoppiate in mano a chi si crede più forte. Ma ora nessuno è più forte delle armi che abbiamo inventate. Esse, come divinità mostruose, ci dominano ora e ci annienteranno domani, se non saranno subito distrutte, se pure si potranno distruggere mai. Così avremo fabbricato con le nostre stesse mani la rovina e la morte.
Noi alimentiamo la fine del mondo con il nostro intelletto e con la nostra paura. Paura uno dell’altro, paura di essere deboli. E invece questa è la somma debolezza, quella di cercare di essere più forti.
E sentiamo capi di stato che piangono sulle prospettive a breve scadenza di quanto potrebbe avvenire; e intanto stanziano capitali per creare altre armi. E ci diciamo scusati e prudenti. …
Un giorno ci sveglieremo nella notte e dovremo partire, partire tutti e non si saprà forse neppure per quale fronte; o comunque nessuno saprà per quale idea, perché tutti diranno di combattere per la pace e la libertà dei fratelli. Così, solamente perché un uomo l’ha voluto, l’ha deciso. Tutti dovremo andare, tutti in movimento, chissà verso quale meta, chissà per quale idea. …
E gli uomini della potenza e del denaro avranno un impercettibile sorriso e diranno in cuor loro: finalmente abbiamo escogitato la crisi, dobbiamo salvare le nostre zone d’influenza e di interesse vitale: la sicurezza delle nostre case, la vita delle donne e dei fanciulli. Ma non diranno mai dei loro interessi e degli orgogli e della loro assassina volontà di dominio e di potenza”.
Non vi vengono in mente le risate di imprenditori e politici vari, non all’interno del cuore ma ben esplicite, dopo il terremoto de L’Aquila? Riprendo per questo anche una delle frasi citate all’inizio:
Io non so perché debbano esistere tanti confini tra popolo e popolo vegliati in tal modo disumano e diffidente da impedire a volte perfino la circolazione del pensiero […] io non so perché debbo soffrire di più per città colpite da sventure che siano entro questi confini e di meno per altre città chiuse entro altri confini e forse più devastate da calamità e da guerre che continuano a infierire. (Turoldo 1955 ?)
Quante volte abbiamo letto di disastri fuori dall’Italia e poi la notizia dopo un paio di giorni è sparita da giornali e televisioni? Piccola cattiveria: per i mass media italiani anche la Sardegna e i suoi problemi meritano la stessa sorte. Quando ho letto la lucida e amara riflessione di Turoldo mi sono venuti i brividi, mi sono passate davanti agli occhi le foto di un buon numero di politici mondiali, che dalle loro comode posizioni predicano la chiusura dei confini e quella delle menti, tagliando anche i finanziamenti alla cultura, che come si sa è molto pericolosa, forse anche più dei migranti.
E per finire questa parte vi leggo le parole, che non hanno bisogno di commento ma che sono sparite dalla versione ufficiale dei media vaticani, pronunciate il 6 aprile scorso da Francesco davanti ai docenti e studenti del Collegio San Carlo di Milano: Noi facciamo le differenze. Sono sicuro che tutti voi volete la pace. “E perché, padre, ci sono tante guerre?” nello Yemen, pensiamo, o nella Siria, nell’Afghanistan, i Paesi di guerra… Perché? Se loro non avessero le armi, non farebbero la guerra. Ma perché fanno la guerra? Perché noi, la ricca Europa, l’America, vende le armi per ammazzare i bambini, per ammazzare la gente, siamo noi a fare le differenze! E questa cosa voi dovete dirla chiaramente, in faccia, senza paura. …
E ancora, parlando dei migranti ha detto tra altre considerazioni: “Non sono delinquenti…anche noi ne abbiamo tanti, la mafia non l’hanno inventata i nigeriani”. Anche queste parole censurate.
Abbiamo sicuramente un altro notevole disturbatore della quiete pubblica.
Aggiungo una mia cattiveria: avete notato che in caso di stupri, rapine ecc. se il fatto è compiuto da italiani nei titoli il termine ‘italiani’ non compare mentre in caso di pelle di altro colore o di nomadi la nazionalità è sbandierata in titoloni?

Ho lasciato come ultimo argomento quello che forse ci tocca più da vicino: la chiesa e i cristiani.
I problemi attuali della nostra chiesa, in primis quello della pedofilia, su cui non ho trovato scritti dei nostri profeti, sono usati dall’ala conservatrice della chiesa come arma contro papa Francesco, quasi che i problemi derivassero dal suo modo di condurre il pontificato; e i contestatori non hanno neanche l’accortezza (vedi, tanto per fare un nome, Sandro Magister, il vaticanista dell’Espresso) di stare attenti a non dire tutto e il suo contrario nel giro di poco tempo, magari nello stesso articolo, dimostrando di avere idee poche ma confuse. Provate a leggere siti americani e italiani dei sedicenti cattolici legati alla cosiddetta “vera tradizione” e vedrete quali acrobazie vi si fanno pur di accusare Francesco di eresia o almeno di condotta non conforme alla retta dottrina. Tra l’altro sembra quasi che la pedofilia in ambito clericale sia iniziata con Francesco, che viene anche accusato di condannare senza processo e quindi senza misericordia.
Sull’argomento condanne senza processo in ambito ecclesiale vorrei ricordare che per decenni non solo numerosi teologi della liberazione ma anche semplici preti, non allineati con i tentativi di sminuire la portata del Vaticano II, sono stati pesantemente sanzionati senza possibilità di difendersi. L’elenco dei sanzionati è lungo e questo non è il momento per farlo, ma basti pensare che al confronto le punizioni inflitte ai nostri quattro sono forse solo un po’ meno eclatanti. Giusto il 18 febbraio scorso papa Francesco ha tolto le sanzioni canoniche e riammesso quindi nel pieno delle sue prerogative sacerdotali il nicaraguense Ernesto Cardenal, voce dissonante, teologo della liberazione, umiliato e poi nel 1985 sospeso a divinis da Giovanni Paolo II. Tra le piccole informazioni: Cardenal è stato allievo di Merton nel monastero di Gethsemani.
Ma direi che un ulteriore motivo di riflessione per noi potrebbe essere l’articolo del papa emerito Benedetto XVI, pubblicato il 10 aprile 2019, riguardante le cause degli abusi sessuali nella chiesa, in cui si attribuiscono alla stagione della “rivoluzione” del 1968 tutte le colpe di quanto avvenuto. Articolo applaudito dai conservatori e stroncato di brutto ad esempio da numerosi teologi, soprattutto teologi morali tedeschi e statunitensi. Articolo in cui non si dice una parola sugli abusati.
Mettiamo da parte le polemiche e lasciamo che siano i nostri profeti a parlare dei problemi della loro chiesa; intesa come assemblea dei cristiani, quindi cattolica e no.
Nel 1940 Bonhoefer descrive così la condizione colpevole della sua chiesa con un atto di accusa durissimo:
“La chiesa … è rimasta muta dove avrebbe dovuto gridare, perché il sangue degli innocenti gridava al cielo … essa è rimasta a guardare quando sotto la copertura del nome di Cristo si sono compiute violenze e ingiustizie … La chiesa confessa di aver assistito all’uso arbitrario della forza brutale, alle sofferenze fisiche e spirituali di innumerevoli innocenti, all’oppressione, all’odio, all’assassinio senza levare la propria voce in loro favore, senza aver trovato vie per correre in loro aiuto. Essa si è resa colpevole della vita dei fratelli più deboli e indifesi di Gesù Cristo …
Bonhoefer parlava ovviamente del silenzio della chiesa luterana tedesca nei confronti degli ebrei. La chiesa che si assume la responsabilità di aver taciuto è la chiesa confessante di cui Bonhoefer fa parte, in opposizione alla chiesa dei Cristiani Tedeschi che aveva giurato fedeltà a Hitler.
Noi adesso abbiamo papa Francesco che tra i primi atti del suo pontificato va a Lampedusa, ma anche ai nostri giorni una parte della gerarchia della chiesa cattolica, ad alto e a basso livello, rimane muta e/o benedice chi usa il vangelo come arma contro chi è debole e bisognoso. Ovviamente questo continua ad avvenire anche nelle chiese non cattoliche. Ma torniamo a Bonhoefer.
Siamo nel 1944 e, nonostante la situazione di recluso, Bonhoefer, come ogni vero profeta, vede una luce di speranza: ecco infatti un altro breve pensiero tratto da Resistenza e resa:
La nostra chiesa, che in questi anni ha lottato solo per la propria sopravvivenza, come se fosse fine a se stessa, è incapace di essere portatrice per gli uomini e per il mondo della parola che riconcilia e redime. Perciò le parole di un tempo devono perdere la loro forza e ammutolire, e il nostro essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e nell’operare ciò che è giusto tra gli uomini … Non è nostro compito predire il giorno – ma quel giorno verrà – in cui degli uomini saranno chiamati nuovamente a pronunciare la parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà cambiato e rinnovato.
Il riferimento è ovviamente alla chiesa tedesca che rinuncia a gridare il vangelo per salvare qualche volta la pelle o più spesso proprietà e privilegi, ma quante volte anche la nostra chiesa nel corso dei secoli si è compromessa col potere? L’elenco sarebbe lungo, e purtroppo attuale, basti pensare che grossi capitalisti vogliono farci credere che i loro finanziamenti siano finalizzati non a sostenere interessi comuni ma a salvare la chiesa dalla corruzione derivante, secondo loro, da papa Francesco. Eppure dobbiamo ancora avere fiducia che verrà un giorno in cui degli uomini saranno chiamati nuovamente a pronunciare la parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà cambiato e rinnovato.
Ed ecco Merton che, quando gli viene imposto il silenzio, analizza la chiesa e il suo rapporto con il monachesimo, contesta che il monaco contemplativo debba essere, come lo vogliono i superiori del suo ordine monastico, fuori dal mondo (ricordate che è un trappista):
La vitalità della chiesa dipende precisamente dal rinnovamento spirituale, ininterrotto, continuo e profondo. Ovviamente questo rinnovamento va espresso nel contesto storico, e chiederà una vera comprensione spirituale delle crisi storiche, una loro valutazione nei termini del loro significato interiore e in termini di crescita dell’uomo e di progresso della verità nel mondo umano: in altre parole, lo stabilirsi del “regno di Dio”. Il monaco è colui che si suppone sia sintonizzato sull’interiore dimensione spirituale delle cose. … . [Ma il monaco] Invece di andare in avanscoperta, sta nelle retrovie con il bagaglio, dando la propria conferma a tutto quanto viene fatto dagli ufficiali. Egli deve essere un occhio che non vede nulla, se non quello che viene accuratamente selezionato perché lui lo veda. Un orecchio che non oda nulla, se non quello che è vantaggioso per i dirigenti che lui oda. Sappiamo ciò che Cristo ha detto di simili orecchi e occhi. {lettera del 1962}
Non diversa in quel periodo la situazione degli altri tre nostri profeti e quella dei laici. Ricordiamoci quanto è stato difficile nel Vaticano II far entrare nell’uso e oserei dire nella testa di certa gerarchia il concetto di ‘popolo di Dio’, non più suddito ma partecipe attivo della vita della chiesa; di sicuro tuttora ad alcuni prelati il solo sentir parlare di assemblea concelebrante fa venire le convulsioni. Meglio un laicato muto, sordo e cieco. Ricordate la polemica sull’essere cristiani adulti?
Arriviamo in Italia.
Scrive Balducci nel 1987:
Senza autosorveglianza critica, avviene che le parole più ricche di suggestione morale si riempiano di senso equivoco e diventino funzionali proprio a quel male che intendono condannare. Ad esempio la parola ‘conciliazione”. La conciliazione implica la rimozione dell’ostacolo dell’ingiustizia. Se l’ingiustizia strutturale resta, che senso ha predicare la conciliazione a coloro che di quell’ingiustizia portano il peso? In concreto: che senso ha annunciare alle moltitudini dei poveri vessati, emarginati, affamati il dovere della conciliazione nazionale senza almeno aver denunciato contestualmente i responsabili dell’ingiustizia? [Siate ragionevoli… - politica ed economia 1987]
L’occasione di queste osservazioni è stata la visita in America latina di Giovanni Paolo II e il suo affacciarsi al balcone del palazzo del La Moneda con Pinochet. Ma quasi vent’anni prima il nostro aveva scritto parole analoghe; il discorso valeva allora e vale ancora oggi in non poche diocesi:
Le curie, le grandi e le piccole, sono frequentate soprattutto dai potenti: il papa e i vescovi sono da secoli strutturalmente segregati dal mondo dei poveri, e poco serve che li vadano a trovare con periodicità e rapidità vincenziane. La Chiesa deve insediarsi fra i poveri, abitare nei luoghi dove la dinamica del mondo non giunge attraverso i filtraggi della diplomazia e degli interessi costituiti, ma nei suoi gemiti e nelle sue ansie di giustizia e di libertà. [ … ] Se la Chiesa si è definita itinerante, deve liberarsi dall’imbrigliamento delle strutture che la rendono omogenea a quei ceti sociali la cui ragione suprema è il mantenimento dello status quo, mentre la separano da quel popolo che non ha altro tesoro che la speranza e quindi conosce la necessità e l’urgenza del cammino. [Niente è finito pag 94; da Testimonianze 109-110, 1968]
È abbastanza facile verificare che, anche se scritte con stile diverso, queste parole sono le stesse che papa Francesco ha usato nell’Evangelii Gaudium, il programma del suo pontificato, quando ha parlato di una chiesa che si deve compromettere col povero e non con il ricco. Certo che per Francesco non è facile attuare un programma come questo, riuscendo a essere sereno nonostante i molti bastoni tra le ruote che continuamente gli mettono coloro che si autodefiniscono custodi dell’ortodossia. Io penso che papa Francesco sia uno degli uomini che pronunciano la parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà cambiato e rinnovato.
La chiesa che papa Francesco sogna mi sembra che coincida con l’idea di chiesa che ha Turoldo:
“O la chiesa è pentecoste vivente o non è chiesa. E la pentecoste è sotto il segno del vento, del fuoco, del terremoto. Niente è più libero del vento. [ … ]. La chiesa dunque non deve identificarsi con nessuna formula e con nessuna civiltà, ma deve tutto permeare e poi passare oltre. Il cristianesimo è la novità del mondo, sempre. … Perciò la chiesa, cioè l’umanità ‘mossa dallo Spirito’, cioè l’umanità credente, dovrebbe essere la perenne rivoluzione del mondo, appunto perché non si identifica con nessun’altra rivoluzione; perché questa chiesa sarebbe sempre la perpetua ‘invenzione’, la novità della creazione sempre in atto. È dunque la storia dell’uomo che deve irrompere nel mistero di Dio, ed è il mistero di Dio. [Mia chiesa pentecoste vivente pag 151].
Una chiesa che rischia di morire se l’umanità non sa vedere i segni dei tempi:
Anch’io sono stanco di tutto questo psicanalismo chiesastico, quasi di gente che non ha altro da contemplare se non il proprio ombelico. Chiesa, non chiesa, più chiesa, meno chiesa, scrivevo un giorno. Ma quando io intendo per chiesa quella realtà che nel disegno di Dio coinvolge tutti, anzi semplicemente tutto l’uomo, specialmente nella sua dimensione misteriosa, allora è un’altra cosa. … Dunque i segni sono per una sempre più evidente e disperata esigenza religiosa; perché non ci sarà altro nel mondo tra poco e il deserto fa paura a tutti. … Ma tuttavia la fede … mi porterà inevitabilmente a essere umanità; cioè la fede è antisolitudine, la fede è il principio della fraternità e della comunione. L’individualismo è la non umanità. Nella coerenza di questa visione io uso sempre dire che il momento più decisivo è la liturgia, il tempo della presa di coscienza di tutti insieme, tempo di conversione e di crescita in comune; anzi il momento rivoluzionario e salvatore. Ma certo per liturgia non si deve intendere una geometria di riti e di parole, invece si tratta di vita come servizio, di riscoperta delle dimensioni dell’uomo quali componenti della chiesa. [ivi da Lettere n 13 del 1971]
Concetti che sono efficacemente sintetizzati nella poesia Voglio chiederti:
Voglio chiederti una cosa;
per te, Signore.
Per me non è necessario che ti spieghi:
sono la tua gloria (e la tua
rabbia, il tuo sdegno)
oltre le infinite delusioni.
Tu non puoi non amarmi,
ti sono necessario.
Questo chiedo:
che ti liberi
dai devoti di ogni religione!

E ora per dirla con gli inglesi, visto che è di moda usare termini inglesi a proposito e a sproposito, last but not least, Arturo Paoli. L’ho lasciato per ultimo perché mi mette sempre in crisi, con le sue analisi così chiare, e perché ritrovo quasi un’eco continua tra le sue parole e quelle di Francesco e il vangelo, un passarsi la palla e rilanciare in termini calcistici o un fare come i grandi suonatori di jazz, suonare tante variazioni sempre sulla stessa base.
Sentiamo cosa scrive in Cent’anni di fraternità:
… bisogna domandarsi: in che consiste la credibilità del cristiano? Qualche tempo fa si parlava di credibilità della fede, oggi si parla – e questo è un passo avanti importante – della credibilità del cristiano; non è tanto la fede che è in gioco, ma il cristiano, e ci si domanda: il cristiano oggi è credibile, se non ha fatto del messaggio di fraternità e di comunione la sua ossessione, il suo pensiero dominante, la sua ragione di vivere, la forza unica della sua esistenza? È credibile il cristiano che non sia arrivato a questo? Io penso di no.
Arturo sembra parlare del singolo cristiano, ma l’insieme dei cristiani fa la chiesa e perciò potremmo, senza fargli torto, sostituire alla parola cristiano la parola chiesa. Proviamo a farlo:
… bisogna domandarsi: in che consiste la credibilità della chiesa? Qualche tempo fa si parlava di credibilità della fede, oggi si parla – e questo è un passo avanti importante – della credibilità della chiesa; non è tanto la fede che è in gioco, ma la chiesa, e ci si domanda: la chiesa oggi è credibile, se non ha fatto del messaggio di fraternità e di comunione la sua ossessione, il suo pensiero dominante, la sua ragione di vivere, la forza unica della sua esistenza? È credibile una chiesa che non sia arrivata a questo? Io penso di no.
È un gioco, ma mi sembra sia in sintesi il pensiero di Paoli, che ancora ci dice:
Bisogna che la Chiesa rinunci ai suoi privilegi, attraverso i quali la società civile ottiene la sua dipendenza. Bisogna che i veri cristiani, quelli che hanno raggiunto un’interiorità armoniosa e piena di luce, si moltiplichino e possano rifondare un cristianesimo nuovo.
Per questo ha letto così l’inizio del pontificato di papa Francesco:
Papa Francesco non è venuto per essere distratto o sollevato dal peso della sua alta carica, non è venuto solo per portare a salvezza le anime, è venuto per contrapporsi al vuoto dell’umanità con una proposta uguale per tutti: far sì che gli esseri umani vivano condividendo tutte le loro qualità, sulle quali domina l’amore.
Tanto per farvi un esempio della sintonia tra Arturo e Francesco, tra la sua predicazione e la Laudato si’ leggiamo da Gridare il vangelo con tutta la propria vita, anno C, a pag.68:
Finché gli uomini non saranno capaci di fermarsi lungamente a guardare le bellezze della natura, le cose che Dio ha messo nelle sue mani, ad apprezzarle, a goderle come dono, a riconoscere attraverso questo dono l’amore di Dio, a scoprirlo lì e non sui libri, non saranno capaci di cambiare, e continueranno a essere egoisti. L’uomo è spesso come un bambino, bisogna levargli di mano gli strumenti che ha perché li adopera male. Forse quando le risorse energetiche saranno finite, allora ci metteremo a sedere e ci accorgeremo che nel mondo ci sono tante bellezze, ci accorgeremo che Dio ci ha parlato attraverso le cose, e che continua a parlarci attraverso le cose.
Ecco ora alcune parole di speranza, con un pizzico di ironia, tratte da ‘Il dio denaro’:
Io sono animato da una forte speranza: una speranza che è per tutti, a patto che si capisca che se noi non cambiamo vita ogni cosa sarà inutile. Lo dico con estrema sincerità: se non c’è una forte determinazione a cambiare vita (convertirci, come è detto continuamente nel vangelo) allora è bene prepararci alla morte al più presto; ci saranno meno sofferenze, meno problemi e anche meno convegni. … Solo l’amore dà consistenza alla vita umana, altrimenti viviamo invano. Senza questa continua conversione per fare dell’amore il senso della vita è inutile vivere, meglio la morte.
Si potrebbe parlare ancora a lungo dei rapporti dei nostri col capitalismo, con quelli che ora chiamiamo sovranisti, col nazionalismo, ma ci vorrebbe molto più tempo. Avevo deciso di finire con le parole di Arturo scritte nel decennale della morte degli amici Balducci e Turoldo: Ho pensato spesso che padre Balducci e padre Turoldo sono stati come Mosè: hanno accompagnato la fila dei credenti nell’esodo e poi, arrivati alla vista della terra promessa, come lui sono morti.
Ma rileggendo Resistenza e resa ho trovato questi pensieri di Bonhoefer che potremmo usare come nostro programma di vita:
Essere pessimisti è più saggio: si dimenticano le delusioni e non si viene ridicolizzati davanti a tutti. Perciò presso le persone sagge l’ottimismo è bandito. L’essenza dell’ottimismo non è guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere la testa alta quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per sé. Esiste certamente anche un ottimismo stupido, vile, che deve essere bandito. Ma nessuno deve disprezzare l’ottimismo inteso come volontà di futuro, anche quando dovesse condurre cento volte all’errore; perché esso è la salute della vita, che non deve essere compromessa da chi è malato. Ci sono uomini che ritengono poco serio, e cristiani che ritengono poco pio, sperare in un futuro terreno migliore e prepararsi ad esso. Essi pensano che il senso dei presenti accadimenti sia il caos, il disordine, la catastrofe, e si sottraggono nella rassegnazione o in una pia fuga dal mondo alla responsabilità per la continuazione della vita, per la ricostruzione, per le generazioni future. Può darsi che domani spunti l’alba dell’ultimo giorno: allora, non prima, noi interromperemo volentieri il lavoro per un futuro migliore. [pag 72]

Non credo che sia necessario aggiungere altro, se non una brevissima massima di Merton che ben si collega alle parole di Bonhoefer sull’ottimismo: Sperare è correre il rischio di rimanere delusi. Risolvetevi quindi a rischiare di rimanere delusi. [Semi di contemplazione. 1965]

—————————————————-
Citazioni sparse
MERTON
“Poiché è probabile che ogni guerra su larga scala si trasformi senza preavviso in un cataclisma nucleare globale, non possiamo più permetterci di ignorare il nostro obbligo di lavorare per l’abolizione della guerra come mezzo per risolvere i problemi internazionali. Eppure com’è possibile fare questo in un momento in cui i valori morali sono stati rifiutati in larga misura come insensati e quando i cristiani stessi sfuggono alle esigenze coercitive dell’etica cristiana sulla questione?” (Merton – La pace nell’era postcristiana. – 1962)
“Il prete, il religioso, il leader laico deve, che gli piaccia o no, adempiere nel mondo la funzione del profeta. Se egli non affronta l’angoscia di essere un vero profeta, dovrà godere della triste consolazione di essere accettato nella compagnia degli illusi, diventando un falso profeta e partecipando alle loro illusioni”. [Merton - Fede e violenza – 1965]
Benché ‘fuori dal mondo’, noi siamo nello stesso mondo di tutti, il mondo della bomba, il mondo dell’odio razziale, il mondo della tecnologia, il mondo dei mass media, dei grandi complessi industriali, della rivoluzione e di tutto il resto. [Merton]
Sperare è correre il rischio di rimanere delusi. Risolvetevi quindi a rischiare di rimanere delusi. [Merton - Semi di contemplazione. 1965]
BALDUCCI
“A volte si vedono ambienti cristiani devoti che non sanno vedere la gemma, anzi nemmeno una fioritura perché sono chiusi, non hanno compreso che il messaggio di Gesù è quello di accogliere i segnali del regno di Dio, cioè della fraternità, dell’amore fino ai confini della terra, come è detto in questo brano: ‘Il Figlio dell’Uomo riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo’. … Questa è l’apertura messianica che dobbiamo allevare nel nostro cuore e allora sentiremo con forza che davvero l’annuncio del Vangelo è una buona novella, è un buon annuncio. Ma non è un annuncio destinato alle nostre frustrazioni estatiche o intimistiche, è un annuncio che sveglia nel cuore una virtù che sarà sempre più difficile: la virtù della speranza.” [Balducci - commento a Mc 13,26-30 – XXXIII t. o.; B]
“Mentre abito la città presente, con i suoi miti, i suoi dogmi, le sue divisioni, insomma la sua ferocia velata di cultura e di religione, già abito, per una sorta di doppia appartenenza, la città planetaria, in cui, divenuto inutile il tempio, ogni uomo ama spartire il pane e il vino. Non ci sono armi nella città in cui vivo con una parte di me, e non c’è nemmeno la competizione tra le diverse religioni, perché la diversità è solo retrospettiva, vale solo come un tratto della memoria del lungo cammino.” (Balducci – L’uomo planetario – 1989)
Se uno assume l’universalità del cristianesimo come norma di condotta, sarà perseguitato dai suoi fratelli, dai suoi superiori, dalla Chiesa istituzionale, dalle persone perbene… Sarà scacciato come un rognoso, per forza. Noi stiamo in piedi in virtù della nostra relativa fedeltà, e cioè delle nostre infedeltà. Ma chi è fedele a questo disegno non può che essere immolato. [Balducci - “Il mandorlo e il fuoco” vol. 3 – Anno C 1976/77]
Questi potenti che fanno follie (che non sembrano tali perché anche noi siamo omologati alla follia), che sperperano capitali per le loro grandezze, che preparano guerre impossibili, dissanguando per questo i popoli, a questo sguardo essenziale, che azzera la storia, rivelano una loro intima comica tragicità. Momento grande della sapienza della croce. Di fronte a questo sguardo non resiste nulla: né il Vaticano, né la Casa Bianca, né il Cremino perché tutto è commedia. A meno che – e qui comincia il linguaggio della fede – questa vanità che finalmente si discopre senza appelli possibili – perché il nulla non ha confini – si capovolga del tutto. È questa la fede cristiana: la morte si capovolge in vita… [Domenica palme – Balducci]
La civiltà del consumo è mortale. Lo vediamo già. Voi immaginate appena appena che questo modello si estenda a tutti gli uomini e avete la fine del mondo. Allora uno dice: «È catastrofe!». Certo che lo è, ma non potrebbe essere il segnale che dobbiamo inventare un altro stile di vita? È un germoglio. Ci sono molti che scelgono di vivere in un altro modo e allora anche forme di vita che prima venivano qualificate come barbare e disumane ci appaiono sapienti: una vita più accomodata con la natura, meno tesa verso l’accumulo del consumo. È un bivio. Chi ha ragione? [Mc, 24-32 – Balducci 1988]
BONHOEFER
Prendendo in considerazione il sentimento comune emergente dalla letteratura odierna sui neri, mi sembra che la questione razziale sia giunta ad un punto di svolta. Il tentativo di mantenere il conflitto sul piano religioso o etico cederà il passo a uno scontro politico violento. (Bonhoefer; 1930)
È stato un errore per me venire in America. Devo vivere in fondo questo periodo difficile della nostra storia nazionale con i cristiani in Germania. Non avrò alcun diritto a lavorare per il futuro della vita cristiana in Germania dopo la guerra se non condivido le prove del tempo con il mio popolo. […] I cristiani in Germania stanno di fronte alla spaventosa alternativa di assecondare la sconfitta della loro nazione affinché la civiltà cristiana possa sopravvivere, oppure di assecondarla nella vittoria distruggendo così la nostra civiltà. Io so che cosa devo scegliere in questa alternativa, ma non posso fare la scelta trovandomi al sicuro. [Bonhoefer; 1939]
“La stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodistruzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. … Non tenteremo mai più di persuadere con argomentazioni lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa.
Siamo stati testimoni di azioni malvagie, ne sappiamo una più del diavolo, abbiamo imparato l’arte della simulazione e del discorso ambiguo, l’esperienza ci ha reso diffidenti nei confronti degli uomini e spesso siamo rimasti in debito con loro della verità e di una parola libera, conflitti insostenibili ci hanno resi arrendevoli o forse addirittura cinici: possiamo ancora essere utili?” (Bonhoefer – Resistenza e resa. – 1943)
La nostra chiesa, che in questi anni ha lottato solo per la propria sopravvivenza, come se fosse fine a se stessa, è incapace di essere portatrice per gli uomini e per il mondo della parola che riconcilia e redime. Perciò le parole di un tempo devono perdere la loro forza e ammutolire, e il nostro essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e nell’operare ciò che è giusto tra gli uomini … Non è nostro compito predire il giorno – ma quel giorno verrà – in cui degli uomini saranno chiamati nuovamente a pronunciare la parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà cambiato e rinnovato. [Bonhoefer – Resistenza e resa]
TUROLDO
“Vicenda”: “Finalmente ho disturbato/ la quiete di questo convento/ altrove devo fuggire/ a rompere altre paci.” [Turoldo - “Io non ho mani” del 1948]
Io non so perché debbano esistere tanti confini tra popolo e popolo, vegliati in tal modo disumano e diffidente da impedire a volte perfino la circolazione del pensiero […] io non so perché debbo soffrire di più per città colpite da sventure che siano entro questi confini e di meno per altre città chiuse entro altri confini e forse più devastate da calamità e da guerre che continuano a infierire. [Turoldo 1955; Ogni cuore un roveto]
“Quando nella Populorum progressio si parla della collera dei poveri, vuol dire che i poveri prendono coscienza, come gli schiavi in Egitto … tanto è vero che si arriva perfino a giustificare una possibilità di rivolta … Qual è la scelta di fondo della contestazione? È la scelta dell’uomo contro il sistema. Siamo in un’epoca in cui non esiste l’uomo: esiste il consumatore, esiste il cliente, il produttore, ma non esiste l’uomo”. (Turoldo – in ‘La terra non sarà distrutta… – 1977)
“Voglio chiederti”: Voglio chiederti una cosa;/per te, Signore. // Per me non è necessario che ti spieghi:/sono la tua gloria (e la tua/rabbia, il tuo sdegno) /oltre le infinite delusioni. //
Tu non puoi non amarmi, /ti sono necessario. //Questo chiedo:/che ti liberi /dai devoti di ogni religione! [Turoldo; O sensi miei]
PAOLI
A poco a poco l’uomo ha capito che ogni creatura è un essere autonomo e libero, che pensa, che ha il diritto di esprimere le proprie idee, che è responsabile dell’organizzazione della società […] Ma a poco a poco questa libertà, invece di essere usata per la felicità dell’uomo, ha prodotto seri problemi alla convivenza umana. (Paoli – 1977 – Camminando s’apre cammino)
“L’uomo non diventa persona quanto più ragiona, è intelligente, è capace di trascendere la realtà visibile: l’uomo è tanto più uomo quanto più è misericordioso, è tanto più figlio di Dio (e quindi raggiunge la sua vera e unica identità) quanto più è responsabile degli altri, capace di accoglierli, capirli, accompagnare la loro vita. L’uomo deve essere necessariamente misericordioso”. (Paoli –- La terra non sarà distrutta – 2002)
“Credo che pensare al senso della venuta di Gesù unicamente in termini di salvezza dell’anima sia all’origine dell’individualismo così feroce che ci ha sempre diviso, che continua a dividerci e a essere di ostacolo alla pace, alla convivenza amorosa, impedendoci di sentirci fratelli. … L’unica strada per arrivare alla pace è quella che ha scelto lui, [Gesù]: contrapporre alla violenza la tranquillità, l’umiltà, il silenzio. Solo così potranno calmarsi i rumori di guerra, di violenza e di separazione che ci fanno tanto soffrire. Spesso preghiamo il Signore perché ci dia la pace, ma dobbiamo finalmente comprendere che la pace dobbiamo crearla noi, perché noi ne siamo i diretti responsabili. (Paoli – Camminando s’apre cammino)
“Il guaio è che la chiesa ha abituato i suoi uomini ad evitare il rischio: i suoi uomini vogliono tutto chiaro, già fatto, hanno paura dell’ignoto. Solamente negli affari, come sappiamo per esperienza dolorosa, sono disposti a rischiare, ad avventurarsi: in altri campi no. E per arrivare alla luce bisogna essere capaci di camminare molto tempo nelle tenebre. [ … ] Eppure la vita religiosa si salverebbe il giorno in cui tutti, uomini e donne, smettessero di riunirsi a parlare di povertà, di obbedienza, di castità, di amore all’uomo, di servizio all’umanità, di spirito di rinunzia: sono tutte cose che non esistono perché sono solo delle idee. La povertà non esiste; esistono i poveri. [Paoli - Camminando s’apre cammino – 1977]
——————————————-
Piccola bibliografia (Solo sei testi per autore!)

MERTON
Semi di contemplazione – Garzanti
Nessun uomo è un’isola – Garzanti
La pace nell’era postcristiana – Qiqajon
La montagna dalle sette balze – Garzanti
Diario di un testimone colpevole – Garzanti
Allchin e + – Thomas Merton; solitudine e comunione – Qiqajon

BONHOEFER
Resistenza e resa- San Paolo
Sequela – Queriniana
Imparare a pregare – Qiqajon
Memoria e fedeltà – Qiqajon
Bethge – Leggere Bonhoefer – Queriniana
Bethge – Dietrich Bonhoefer; Una biografia – Queriniana

BALDUCCI
Cristianesimo e cristianità – Morcelliana
Niente è finito – Piemme
L’uomo planetario – Giunti
Le tribù della Terra – Giunti
Verso una nuova immagine della Chiesa – San Paolo
Siate ragionevoli, chiedete l’impossibile – Chiarelettere

TUROLDO
La Terra non sarà distrutta, l’uomo inedito la salverà – Gribaudi – (Turoldo; Balducci; decennale)
Il tempo dello spirito Gribaudi
Pregare – Servitium
Mia Chiesa pentecoste vivente – Servitium
O sensi miei – BUR
La mia vita per gli amici – Mondadori

PAOLI
Cent’anni di fraternità – Chiarelettere
Il Dio denaro – L’altrapagina
Camminando s’apre cammino Gribaudi – (ora in due volumetti – ed. Cittadella)
Gridare il Vangelo con la propria vita – La Collina (due volumi, omelie anno A e anno C)
La gioia di essere liberi – Messaggero Padova
Della mistica discorde; l’impegno come contemplazione – La Meridiana
———————————————————–

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>