Oggi domenica 14 aprile 2019
Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————
Marco Paolini: volete ridere o piangere?
14 Aprile 2019
Gianna Lai su Democraziaoggi.
————————————————————————————-
———————————–Oggi alla Comunità di San Rocco – Cagliari
Disturbatori della quiete pubblica: alcune voci profetiche degli ultimi 100 anni.
Disturbatori della quiete pubblica: alcune voci profetiche degli ultimi cento anni
Carlamaria Cannas – Comunità di San Rocco – domenica 14 aprile 2019
“Per quanto l’uomo ed il suo mondo possano sembrare in rovina, per quanto la disperazione umana possa diventare terribile, finché continua ad essere un uomo, la sua stessa umanità seguita a dirgli che la vita ha un significato” (Merton – Nessun uomo è un’isola)
Non è insolito sentir parlare di profeti dei nostri giorni, ma Gesù dice che Giovanni il Battista è l’ultimo dei profeti. Ci pone allora qualche problema l’affermare che anche oggi ci sono dei profeti.
Un primo problema nasce dal fatto che nel linguaggio comune profeta è colui che predice il futuro; per noi profeta invece non è colui che deve annunciare, magari in termini apocalittici, la venuta del regno di Dio sulla terra, ma è colui che, sempre sapendo leggere i segni dei tempi, ammonisce che il regno dei cieli di cui parla Matteo è già qui e non nell’aldilà e che nostro compito è viverlo, pur nei nostri limiti, e aiutare gli altri a viverlo, nel modo indicato da Gesù in tutto il suo agire e insegnare.
Altro problema è riuscire a distinguere tra veri e falsi profeti, cosa non sempre facile: un modo per individuare falsi profeti può essere quello di ascoltarne attentamente le parole e osservarne i comportamenti, anche se i falsi profeti, proprio perché falsi, sono abili a camuffarsi. Tra i falsi potremmo annoverare quelli che Giovanni XXIII chiamava profeti di sventura, che tolgono ogni speranza: come può un cristiano non sperare e non avere almeno un minimo di fiducia nell’uomo? Se non abbiamo questo minimo di fiducia ci mettiamo lontano da Dio, che dopo aver creato l’uomo vide che era cosa molto buona o bella, e gli diciamo che ha fatto qualcosa di profondamente sbagliato. Ci metteremmo allora al posto di Dio e giudicheremmo il suo operato.
Che cosa fanno allora i veri profeti? Nelle situazioni in cui si trovano riescono a discernere gli errori e danno indicazione di come porvi rimedio, spesso avendo gravi problemi con la società in cui vivono e con gli uomini ritenuti ‘importanti’ per la loro posizione, sia in campo politico che ecclesiale.
La mia intenzione è parlarvi di cinque persone: Bonhoefer, Merton, Turoldo, Balducci, e Paoli. Vi spiego subito il titolo della conferenza: l’ho ripreso dall’introduzione di Alessandro Pronzato al libro di Turoldo “Il tempo dello Spirito”. Pronzato, secondo papa Francesco un prete a sua volta suscitatore di inquietudini, definisce Turoldo ‘un incorreggibile disturbatore della quiete pubblica’ e questa definizione mi sembra che si possa estendere anche ai molti altri profeti di questi ultimi cento anni.
D’altronde la Gestapo nel 1940 aveva vietato a Bonhoefer di predicare e parlare in pubblico proprio a causa della sua “attività di disturbo per il popolo”. E Merton nel 1962 scrive di sé: Se sono un elemento di disturbo va benissimo. Non tengo ad esserlo, ma soltanto a dire ciò che la mia coscienza mi detta e a farlo senza cercare il mio interesse personale. Seguendo così le orme di Gesù, il più grande dei disturbatori della quiete pubblica.
Voglio quindi parlarvi di persone che, nonostante la nostra riluttanza a riconoscerle voci profetiche (spesso ce ne accorgiamo solo dopo che sono morti), sono importanti per la nostra vita da cristiani. I profeti sono molti e quasi sempre irrisi, maltrattati, perseguitati e talvolta uccisi per aver osato mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù e aver sollecitato altri a farlo.
A differenza dei cristiani tradizionalisti che continuano a pensare che l’individuo debba preoccuparsi innanzitutto o quasi esclusivamente della salvezza della propria anima e poi forse dell’umanità che lo circonda, dimenticando che l’essere umano è tale in quanto fusione inscindibile di corporeità e psichicità, i profeti sono sempre in relazione non competitiva ma fraterna con gli altri, non si sentono in dovere di giudicare e condannare chi ha opinioni diverse. Questo vuole dire che sono acuti osservatori di ciò che avviene nel mondo e il loro giudicare è far notare alle persone a cui si rivolgono la lontananza delle loro azioni e dei loro pensieri da quel vangelo di cui si proclamano possessori (peccato che qualche illustre personaggio possieda fisicamente la Bibbia ma la usi come corpo contundente).
Non tutti i profeti hanno visibilità, ci sono tanti che non scrivono, non agiscono nel pubblico, ma il cui modo di vivere e di mettersi in relazione con gli altri ne fa veri parlanti in nome del Signore; ovviamente il mio intervento può riguardare solo alcuni di coloro che con la predicazione e la vita si sono fatti portavoce della buona novella.
Molti dei profeti noti sono presbiteri o monaci, ma molti sono anche laiche e/o laici, come Etty Hillesum e Edith Stein, negli USA la importante poco conosciuta da noi Dorothy Day, col suo sogno di giustizia sociale e diritti delle persone, in Italia Giorgio La Pira, Ettore Masina e Giuseppe Lazzati.
Tra i tanti profeti dovevo selezionarne un numero molto ridotto, perché altrimenti non mi sarebbe bastato un anno intero. La scelta l’ho fatta cercando di mettere in evidenza parole e comportamenti legati in particolare ai temi della misericordia e della giustizia. E voglio anche mettere in evidenza come le parole di questi profeti si ritrovino nelle omelie, nelle encicliche, nelle esortazioni pastorali di papa Francesco e nelle sue parole che talvolta ai sempre critici sembrano buttate lì per caso.
Gli avvenimenti di questi ultimi anni, e soprattutto degli ultimi due, mi hanno spinto a ripensare a testi letti anche parecchi anni fa. Mi sono ritrovata così, mettendo in parallelo testi scritti in anni e luoghi diversi, a fare un elenco delle voci profetiche inascoltate che sembrano proferite oggi. E l’elenco è diventato sempre più lungo e mai concluso. Ve ne faccio un piccolo esempio in ordine sparso: Dietrich Bonhoefer; David Maria Turoldo; Ernesto Balducci; Thomas Merton; Oscar Romero; Tonino Bello; Arturo Paoli; Primo Mazzolari; Lorenzo Milani; Carlo Maria Martini; Giovanni XXIII; Giovanni Vannucci; Benedetto Calati; Helder Cámara; Pedro Arrupe; Paolo VI; Martin Luther King.
Ma poiché è sempre un dispiacere escludere, ricordiamoci di qualcuno tra i viventi: Angelo Casati; Paolo Farinella; Luigi Ciotti; Alex Zanotelli; Enzo Bianchi e tanti altri.
E come collante papa Francesco, che con le sue parole sembra fare la sintesi dei pensieri dei tanti.
È ovvio che la scelta di incentrare il discorso su cinque persone, (i già citati Bonhoefer, Turoldo, Balducci, Merton, Paoli), è del tutto personale e palesemente non esaustiva, dettata dall’avere osservato i loro numerosi tratti comuni anche in tema di esperienze vissute, di incomprensioni e allontanamenti, e dal fatto che una parte dei loro scritti la conosco e ho iniziato ad apprezzarla da quando ero giovane. Di Oscar Romero non parlerò perché qui altri lo hanno fatto meglio di quanto possa fare io.
Ricordandoci che il profeta già nell’Antico Testamento parla ai suoi contemporanei, non viene compreso e viene osteggiato anche fino a provocarne la morte, ma che le sue parole hanno valore universale e ancora attuale, inquadreremo i nostri profeti facendo notare come le loro parole potrebbero essere lette come scritte oggi, se non sapessimo che è vero il contrario: pensate ad esempio ad Amos e alle sue parole contro i ricchi nei loro palazzi contrapposti ai poveri del popolo e confrontatele con le parole di Turoldo, Balducci, Paoli; i loro pensieri riguardo alle disuguaglianze nel mondo della globalizzazione del consumo e quelli sui migranti sono di sconvolgente profeticità.
Ascolterete quindi, dalla gran quantità di materiale che li riguarda, alcuni brani tratti da libri, altri da trascrizioni di conferenze o omelie, che cercherò di mettere a confronto non solo tra loro ma anche con le vicende che ci interessano più da vicino.
Mi rendo conto che molto, moltissimo, è stato scritto su questi profeti del nostro tempo, evidenziandone il pensiero e la sua attualità, ma vorrei aggiungere un mio piccolo contributo semplicemente per stuzzicare la vostra voglia di andare a leggere, per molti di voi a rileggere, qualche loro scritto, almeno per ricevere il loro aiuto per discernere nei segni dei tempi quel filo di speranza che dovrebbe caratterizzare noi cristiani.
Una difficoltà nel presentare questi profeti è determinata dalla vastità dei loro interessi; perciò ho deciso di centrare il mio discorso sui loro punti di vista su alcuni temi come sistemi sociali e chiesa, giustizia e misericordia, pace e guerra e su quel che a causa del loro non tacere si sono trovati ad affrontare sia sul piano strettamente personale di problemi di coscienza che su un piano di persecuzioni non certo occulte che hanno caratterizzato le loro vite. Non a caso i tre italiani sono stati grandi amici e hanno condiviso, pur senza stare insieme se non per brevi periodi, delusioni, illusioni, speranze. I linguaggi sono diversi, molti pensieri di Turoldo sono affidati a una poesia non sempre semplice, quelli di Balducci, che mettono in evidenza una vastissima cultura, talvolta non sono di immediata fruibilità, quelli di Paoli sono ingannevolmente quasi banali perché immediatamente comprensibili, come quelli di Francesco.
È naturalmente necessario tratteggiare almeno una minibiografia dei profeti di cui ho deciso di parlarvi. Vite diverse, talvolta con analogie di origine, come la povertà delle famiglie di Balducci e di Turoldo, ma, pur con esperienze diverse di vita giovanile, tutti sono approdati al comune interesse e amore per l’uomo, sia come singolo sia inteso come umanità.
Sono nati in anni abbastanza vicini tra loro, tra il 1906 di Bonhoefer e il 1922 di Balducci, e perciò praticamente solo Balducci non ha vissuto se non di riflesso la prima guerra mondiale. E solo Bonhoefer, ucciso in campo di concentramento nell’aprile del 1945, non ha vissuto le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki e i conseguenti dibattiti politici, religiosi, variamente intellettuali sulla utilità dell’accumulo di armi nucleari con scopo “deterrente”.
È del 20 dicembre 2018 l’avvertimento, a mio avviso ipocrita, di Putin sulle attuali difficoltà della deterrenza: “il mondo sta sottovalutando il pericolo di una guerra nucleare” e lo “sfacelo” del sistema di deterrenza internazionale, acuito dalla decisione degli Usa di uscire dal trattato Inf, Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty, ”aumenta l’incertezza”. Problema ampiamente trattato da Merton nel lontano 1962.
Prima però di darvi altre notizie sulla vita dei nostri, vi propongo, senza nomi e senza date, una piccolissima antologia di loro parole. In seguito collegheremo parole a nomi, tempi, luoghi.
“Poiché è probabile che ogni guerra su larga scala si trasformi senza preavviso in un cataclisma nucleare globale, non possiamo più permetterci di ignorare il nostro obbligo di lavorare per l’abolizione della guerra come mezzo per risolvere i problemi internazionali. Eppure com’è possibile fare questo in un momento in cui i valori morali sono stati rifiutati in larga misura come insensati e quando i cristiani stessi sfuggono alle esigenze coercitive dell’etica cristiana sulla questione?” (Merton – La pace nell’era postcristiana. Pag 71 – 1962)
“Quando nella Populorum progressio si parla della collera dei poveri, vuol dire che i poveri prendono coscienza, come gli schiavi in Egitto … tanto è vero che si arriva perfino a giustificare una possibilità di rivolta … Qual è la scelta di fondo della contestazione? È la scelta dell’uomo contro il sistema. Siamo in un’epoca in cui non esiste l’uomo: esiste il consumatore, esiste il cliente, il produttore, ma non esiste l’uomo”. (Turoldo – in ‘La terra non sarà distrutta… p. 31 – 1977)
“Mentre abito la città presente, con i suoi miti, i suoi dogmi, le sue divisioni, insomma la sua ferocia velata di cultura e di religione, già abito, per una sorta di doppia appartenenza, la città planetaria, in cui, divenuto inutile il tempio, ogni uomo ama spartire il pane e il vino. Non ci sono armi nella città in cui vivo con una parte di me, e non c’è nemmeno la competizione tra le diverse religioni, perché la diversità è solo retrospettiva, vale solo come un tratto della memoria del lungo cammino.” (Balducci – L’uomo planetario – 1989)
“L’uomo non diventa persona quanto più ragiona, è intelligente, è capace di trascendere la realtà visibile: l’uomo è tanto più uomo quanto più è misericordioso, è tanto più figlio di Dio (e quindi raggiunge la sua vera e unica identità) quanto più è responsabile degli altri, capace di accoglierli, capirli, accompagnare la loro vita. L’uomo deve essere necessariamente misericordioso”. (Paoli –- La terra non… p. 60 – 2002)
“La stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodistruzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. … Non tenteremo mai più di persuadere con argomentazioni lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa.
Siamo stati testimoni di azioni malvagie, ne sappiamo una più del diavolo, abbiamo imparato l’arte della simulazione e del discorso ambiguo, l’esperienza ci ha reso diffidenti nei confronti degli uomini e spesso siamo rimasti in debito con loro della verità e di una parola libera, conflitti insostenibili ci hanno resi arrendevoli o forse addirittura cinici: possiamo ancora essere utili?” (Bonhoefer – Resistenza e resa – p 73 e seg. – 1943)
Certo nessuno di questi scritti appartiene a profeti di sventura, ma le affermazioni sono a tratti decisamente dure, e isolate dal contesto delle opere da cui sono state stralciate possono far pensare a disillusione e mancanza di speranza.
Ma a questo riguardo ecco alcune parole di Balducci del 1987:
“A volte si vedono ambienti cristiani devoti che non sanno vedere la gemma, anzi nemmeno una fioritura perché sono chiusi, non hanno compreso che il messaggio di Gesù è quello di accogliere i segnali del regno di Dio, cioè della fraternità, dell’amore fino ai confini della terra, come è detto in questo brano: ‘Il Figlio dell’Uomo riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo’. … Questa è l’apertura messianica che dobbiamo allevare nel nostro cuore e allora sentiremo con forza che davvero l’annuncio del Vangelo è una buona novella, è un buon annuncio. Ma non è un annuncio destinato alle nostre frustrazioni estatiche o intimistiche, è un annuncio che sveglia nel cuore una virtù che sarà sempre più difficile: la virtù della speranza.”
{commento a Mc 13,26-30 – XXXIII t. o.; B}
La guerra nucleare, che per noi europei forse sembra lontana, i poveri che cerchiamo di non vedere, la stupidità, la misericordia, la città in cui ogni uomo ama spartire il pane e il vino …
Rileggiamo queste parole pensando a quella parte della chiesa che sembra non riferirsi più al Vangelo ma che ha come punti di riferimento tradizioni non tanto lontane, diciamo il Concilio di Trento, e di conseguenza le sue azioni e le sue parole sono quasi solo ubbidienza ad un Codice di diritto canonico scritto da uomini, e i dieci comandamenti sono presi in senso letterale e non come Gesù li ha spiegati nelle beatitudini, per cui ad esempio chi non ha materialmente ucciso nessuno può dirsi in pace con la propria coscienza.
Rileggiamole pensando alla diffidenza, quando non aperta ostilità, nei confronti di quelli che con malcelato disprezzo chiamiamo ‘diversi’ per razza, religione e chi più ne ha più ne metta. Pensando che per molti l’importante è ‘salvare la propria anima’ e niente importa degli altri. Pensando che per persone di questo tipo il fratello è solo un disturbo che interferisce con il proprio egocentrismo intimistico.
Rileggiamole poi pensando alla Chiesa come la vorrebbe papa Francesco, ospedale da campo con pastori con l’odore delle pecore, con le porte aperte non solo per accogliere ma anche per permettere a Gesù di uscire tra la gente; e rileggiamole insieme pensando alla chiesa dalle resistenze aspre, dure di coloro che hanno perso di vista la difficile virtù della speranza, alla chiesa di chi contesta papa Francesco per il suo predicare la necessità di usare misericordia e non rigidità nei confronti dei fratelli, soprattutto se riteniamo che stiano sbagliando, alla chiesa che ha dimenticato che Dio è amore.
Finalmente ecco alcuni cenni biografici dei profeti di cui vi voglio parlare, con l’inserimento di qualche loro pensiero, notando quanto per tutti, sia pure in maniera diversa, la vita sia stata complicata, e quanti tratti ci siano in comune. Procederò cominciando dai due non italiani.
Dietrich Bonhoefer
Nato nel 1906 in una famiglia dell’alta borghesia tedesca, ricca e riverita, col padre professore universitario di psichiatria, fa una scelta di vita che lascia piuttosto interdetti i parenti, decidendo a quindici anni di studiare teologia e di farsi pastore. Intelligente e pieno di interessi, con carriera scolastica brillante, nel 1923 lo troviamo studente di teologia, ma senza impegno di tipo ecclesiastico, a Tubinga, dove si iscrive a un’associazione universitaria (Igel) con tendenze liberali autoritarie, da cui esce nel 1933 quando viene inserito nello statuto il paragrafo ariano antisemita.
Nel 1924 a Roma, in viaggio regalo per i 18 anni, assiste alla celebrazione pasquale a S. Pietro, discute con un prete cattolico, si rende conto, come scrive nel suo diario, dell’universalità della chiesa, in contrasto con il carattere piccolo borghese e nazionalista della sua chiesa evangelica, che prenderà sotto Hitler il nome di chiesa dei Cristiani tedeschi.
Tornato a Berlino si iscrive all’università nella facoltà teologica e si laurea nel 1927. Inizia ben presto un lavoro pastorale con particolare interesse per l’ecumenismo e dopo aver ottenuto l’abilitazione inizia una brillante carriera universitaria, che terminerà però nel 1936 per ordine del Ministro nazionalsocialista del culto. Nel 1931 viene ordinato, ma intanto la situazione politica in Germania si fa sempre più difficile per chi non si allinea col partito nazionalsocialista.
Dopo l’ascesa al potere di Hitler il 30 gennaio 1933 Bonhoefer ha subito chiaro che cosa questo comporterà per il popolo e la chiesa tedesca. Già nel ’32 aveva detto:
«Non dobbiamo meravigliarci se anche per la nostra chiesa verrà nuovamente il tempo in cui dovrà essere versato il sangue dei martiri. Ma questo sangue, se avremo veramente ancora il coraggio e la fiducia di versarlo, non sarà così innocente e carico di splendore come quello dei primi testimoni.». { … }
Bonhoefer fa esperienza di predicazione in Spagna, in Inghilterra, negli Stati Uniti, dove avvicina esponenti di movimenti ecumenici, movimenti per i quali dimostra vivo interesse, tanto da rappresentarli a Cambridge nel 1931 come segretario del Movimento ecumenico giovanile. Contemporaneamente in Germania due noti professori di teologia (Althaus e Hirsch) fanno pubblicamente una dichiarazione antiecumenica.
Gli avvenimenti successivi, tra cui la legge antisemita, lo confermano nella decisione di lottare anche contro quella chiesa che non aveva reagito in senso cristiano di fronte alla questione ebraica e si stava anzi allineando al potere rendendosene complice e che accetterà nel 1935 la legge per la sicurezza della Chiesa evangelica tedesca. Nel 1934, sulla spinta di Bonhoefer, nasce quindi, in opposizione a una chiesa protestante che non ha più il coraggio di seguire solo il vangelo, la Chiesa Confessante, contestata ovviamente da chi detiene il potere, anche religioso, per le posizioni non allineate. Ma anche parte della chiesa confessante non dimostrerà molto coraggio nei confronti del potere. Nel giugno del 1939 si reca negli USA per un breve periodo, ufficialmente in vacanza. La vita, l’opera e il pensiero di Bonhoefer sono strettamente intrecciati agli avvenimenti che sconvolgono la Germania e che porteranno alla seconda guerra mondiale, ma è impossibile per ovvie ragioni di tempo esaminarne i particolari. Diremo qualcosa di più la prossima volta.
Uno dei tanti fatti che legano Bonhoefer alle altre voci profetiche è, oltre la difesa degli ebrei e degli ‘illegali’, il divieto di insegnamento, di parola e di pubblicazione che gli viene imposto in tempi diversi dal Ministero nazionalsocialista per il Culto e dalla polizia. Come sempre le idee sono pericolose, soprattutto se chi le esprime non è autoritario ma autorevole!
Come sapete il problema vitale di Bonhoefer negli ultimi anni è la responsabilità, come uomo e come cristiano, che porta come conseguenza il dilemma del tirannicidio: un cristiano non può uccidere, ma cosa gli impone la coscienza nei confronti dell’uccisione del tiranno che sta a sua volta facendo strage di innocenti? È lecito partecipare all’attentato se questo può salvare tante vite?
Problema non da poco per un cristiano. Bonhoefer trova la risposta nel Discorso della montagna, nel riferimento all’essere assetati di giustizia e operatori di pace, e questo lo porta all’adesione all’attentato a Hitler, fallito, organizzato dal generale Treskow, membro attivo nella resistenza. Arrestato il 5 aprile del 1943 e rinchiuso dapprima nel carcere di Tegel, viene poi spostato nell’ottobre 1944 nella prigione sotterranea della Gestapo a Prinz-Albrecht-Strasse. Il 7 febbraio 1945 è nel campo di concentramento di Buchenwald, il 9 aprile viene impiccato a Flossenburg. Tutti i partecipanti all’ideazione e all’attuazione dell’attentato vengono uccisi in diversi campi di concentramento.
Inutile dire quante sono le opere di e su Bonhoefer.
Thomas Merton
Nato il 31 gennaio 1915 a Prades, piccola cittadina nei Pirenei da madre americana e padre neozelandese entrambi pittori, spiriti liberi e sognatori, e di conseguenza non ricchi, morti giovani, la madre di tumore allo stomaco quando Thomas aveva sei anni, il padre di tumore al cervello quando ne aveva sedici. Thomas aveva un fratello minore, John Paul, nato nel 1918, che morirà in azione di guerra nel Mare del Nord nel 1943. La sua infanzia e giovinezza sono state vissute in modo caotico, anche in campo religioso, con spostamenti continui da un continente all’altro. Sentite come descrive nel suo libro più famoso, la sua autobiografia del 1948, “La montagna dalle sette balze”, titolo con evidente riferimento alla Divina Commedia, ciò che i genitori hanno lasciato in eredità spirituale al figlio, eredità che lo renderà pensatore e scrittore profondo e prolifico:
I miei genitori erano entrambi liberi da quei meschini e diffusi pregiudizi che divorano coloro che non s’intendono se non di automobili, di film, di quel che si trova chiuso nel frigorifero e scritto sui giornali, dei vicini che stanno per divorziare.
Da mio padre ho ereditato il modo di vedere le cose e parte della sua rettitudine, e da mia madre un po’ del suo scontento per il disordine che esiste nel mondo, e un po’ della sua versatilità. Da entrambi mi vennero buone doti per lavorare, sognare, godere ed esprimermi, doti che avrebbero dovuto fare di me una specie di re se i valori riconosciuti nel mondo fossero quelli veri. Non che si possedesse mai molto denaro, ma lo sanno anche gli sciocchi che per godere la vita il denaro non è necessario. Se fosse realmente vero ciò che quasi tutti ammettono per ipotesi, se quel che occorre per essere felici consistesse nell’impadronirsi di ogni cosa e nel vedere tutto, nello studiare ogni esperienza per poi parlarne, sarei stato, sin dalla culla, e sarei tuttora, un essere felicissimo, un milionario dello spirito.
Dopo aver studiato in Inghilterra e aver viaggiato per l’Europa, con una tappa per lui importante a Roma nel 1932, torna negli Stati Uniti nel Gennaio 1935, iscrivendosi a New York alla Columbia University, che è vicina al quartiere nero di Harlem, dove vive un’esperienza di vita da lui stesso definita sconvolgente. In questo periodo si sente vicino al comunismo, anche se dichiara di non conoscerlo abbastanza. Sono anni intensi, nei quali il giovane uomo, complesso e a tratti contradditorio, matura la sua conversione che completerà nel 1941, anno in cui deciderà anche di diventare sacerdote e monaco trappista nel monastero di Nostra Signora di Gethsemani, nel Kentucky. Quindi un contemplativo, teoricamente fuori dal mondo. Viene ordinato sacerdote nel maggio 1949.
Ovviamente il giovane entusiasta e direi indisciplinato, non tarderà a incontrare problemi con l’ordine, che cercherà di bloccare la sua facondia di scrittore non allineato al tradizionalismo severo di quegli anni. Come scriverà nel 1966:
“Non ho mai dubitato per un momento della mia vocazione a essere monaco, ma ho dovuto risolvere molte domande e dubbi sul significato e sulla via da intraprendere, il dove e il come essere monaco”.
Delle vicissitudini da scrittore parlerò poi. Nel monastero ha una cella separata, e, a partire dall’intuizione del dover guardare con occhi nuovi tutti gli uomini e doverli amare, deriva il bisogno di intervenire sui temi che sono apparentemente al di fuori dell’interesse dei monaci. Infatti scrive:
Benché ‘fuori dal mondo’, noi siamo nello stesso mondo di tutti, il mondo della bomba, il mondo dell’odio razziale, il mondo della tecnologia, il mondo dei mass media, dei grandi complessi industriali, della rivoluzione e di tutto il resto.
E con questi pensieri si impegna per la pace e la giustizia sociale, entra in contatto con Dorothy Day e il movimento del Catholic Worker, promuove da precursore il dialogo interreligioso, segue con preoccupazione la politica mondiale, ben consapevole del rischio di un olocausto nucleare. Per questo suo lavoro Montini, con cui aveva intrattenuto una corrispondenza di reciproci consigli e incoraggiamenti, divenuto Paolo VI gli regalò una stola come segno di apprezzamento. Vi preciso però che una stola venne regalata a Merton da Giovanni XXIII; non so se ci sia confusione nei ricordi dei relatori a un convegno a Bose nel 2004 o se entrambi i papi abbiano fatto quel regalo. Merton viaggia, legge e scrive molto, e muore a Bangkok il 10 dicembre 1968, fulminato da un apparecchio elettrico difettoso, lasciando opere incompiute o non revisionate.
Come per Bonhoefer, che Merton spesso cita, il numero delle opere di e su Merton è sterminato.
Ora, in ordine di data di nascita, le biografie dei tre italiani, che sembrano riconoscersi in queste parole di Balducci tratte da “Il mandorlo e il fuoco” vol. 3 – Anno C 1976/77:
Se uno assume l’universalità del cristianesimo come norma di condotta, sarà perseguitato dai suoi fratelli, dai suoi superiori, dalla Chiesa istituzionale, dalle persone perbene… Sarà scacciato come un rognoso, per forza. Noi stiamo in piedi in virtù della nostra relativa fedeltà, e cioè delle nostre infedeltà. Ma chi è fedele a questo disegno non può che essere immolato.
Cominciamo con Arturo Paoli
Nato a Lucca nel 1912, si laurea in lettere classiche a Pisa e viene ordinato sacerdote nel 1940; partecipa alla resistenza e salva numerosi ebrei, fatto che gli varrà l’inclusione tra i “Giusti tra le nazioni”. Nel 1949 viene nominato vice assistente nazionale della ‘Gioventù cattolica’, ma nel 1954, essendosi scontrato con le idee e i metodi del presidente Luigi Gedda, ne viene allontanato per ordine del cardinale Ottaviani, cui a quanto pare non piacevano le voci profetiche, e gli viene imposto di imbarcarsi come cappellano su una nave argentina destinata agli emigranti. Questa è per Paoli l’occasione di conoscere i Piccoli fratelli di Charles de Foucauld, nella cui congregazione entra nel 1954. Farà un’importante esperienza di deserto e, tornato in Italia nel 1957, dopo un periodo in Sardegna, a Bindua, viene di nuovo allontanato dall’Italia.
Nel 1959 si stabilisce in America Latina, in Argentina, da dove deve fuggire perché, inviso al potere che non poteva certo tollerare la sua voce e azione profetica, figura tra i primi da uccidere. Si rifugia allora in Venezuela e quando il pericolo diviene meno forte si stabilisce infine in Brasile, dove con alterne vicende rimarrà circa quaranta anni. In America latina trova la conferma delle sue intuizioni su vita, mondo, fede e religione.
“Il guaio è che la chiesa ha abituato i suoi uomini ad evitare il rischio: i suoi uomini vogliono tutto chiaro, già fatto, hanno paura dell’ignoto. Solamente negli affari, come sappiamo per esperienza dolorosa, sono disposti a rischiare, ad avventurarsi: in altri campi no. E per arrivare alla luce bisogna essere capaci di camminare molto tempo nelle tenebre. [ … ] Eppure la vita religiosa si salverebbe il giorno in cui tutti, uomini e donne, smettessero di riunirsi a parlare di povertà, di obbedienza, di castità, di amore all’uomo, di servizio all’umanità, di spirito di rinunzia: sono tutte cose che non esistono perché sono solo delle idee. La povertà non esiste; esistono i poveri.
{da Camminando s’apre cammino – 1977}
Questo brano non vi fa venire in mente i rimproveri di Francesco alla Curia? Ecco invece altre parole che ci ricordano la Laudato si’:
“Ho scoperto in mezzo ai senza terra, nel loro accampamento, quanta ricchezza e quanti beni la terra trasmette all’uomo, non solamente il cibo, l’alimento quotidiano primordiale, e non soltanto la bellezza, quella dei fiori, delle piante che ci danno il fresco e il profumo, ma i valori umani, prima di tutto quello della socialità perché i senza terra per poter vivere non possono cercare la terra con la finalità di sfruttarla.
La famosa principessa della Bibbia oggi si è trasformata in un signore ben vestito che senza muoversi, attraverso internet, compra migliaia di ettari in Brasile o in Messico, e lo fa per aumentare la sua ricchezza, non per la vita”. {La gioia di essere liberi pag 82}
Nel 2006 Paoli rientra definitivamente in Italia, a Lucca, dove muore nel 2015, felice di essere stato ricevuto nel gennaio del 2014 da papa Francesco, ospitato a Santa Marta, per poter condividere i pensieri di una vita con un papa finalmente in piena consonanza con lui.
Di Arturo Paoli e della sua storia ci sarebbe tanto da dire, ma credo che tra i profeti che ho scelto sia quello che conosciamo meglio, e questo vale anche per il lungo elenco di suoi scritti.
Passiamo a David Maria Turoldo
Nato a Coderno di Sedegliano, in Friuli, il 22 novembre 1916, è il nono figlio di una famiglia povera e dignitosa. Il suo nome di battesimo era Giuseppe. Dopo l’infanzia trascorsa a Coderno continuò gli studi nella piccola casa di formazione dell’ordine dei Servi di Maria nel Triveneto.
La sua prima professione fu emessa nel Convento di Santa Maria del Cengio, a Isola Vicentina, il 2 agosto 1935. Assunse il nome di David Maria, ma fu sempre padre Davide per gli amici. Arrivò a Milano, nel Convento di Santa Maria dei Servi, nel 1940, appena ordinato sacerdote, e fu predicatore in Duomo per dieci anni, dal ’43 al ’53, protetto dal cardinale Schuster e non sempre ben visto dai benpensanti, perché le sue omelie turbavano la coscienza dei cattolici della domenica.
Partecipò attivamente alla resistenza antifascista, anche con la collaborazione alla rivista clandestina “L’Uomo” e con la fondazione del centro culturale “Corsia dei Servi”. A Milano, sempre con l’appoggio del cardinale Schuster, fece le prime esperienze di messe parzialmente in italiano, ma quasi in segreto, perché, come chiedeva il cardinale, “a Roma non si sappia”. Forse a Roma si seppe e, prendendo a pretesto anche la sua collaborazione all’esperienza di Nomadelfia, la città della fraternità fondata da Don Zeno Saltini, fu poi allontanato dall’Italia, per ordine del cardinale Ottaviani. Diventa così un predicatore errante, dall’Europa agli Stati Uniti, dall’Africa al Canada.
Turoldo obbedisce, ma è ben conscio del suo essere disturbatore: scrive infatti nella brevissima poesia, tratta dalla raccolta “Io non ho mani” del 1948, intitolata “Vicenda”: “Finalmente ho disturbato/ la quiete di questo convento/ altrove devo fuggire/ a rompere altre paci.”
Col Concilio poté rientrare stabilmente in Italia. Collaborò con la commissione per la riforma liturgica, ma era sentito come un elemento di disturbo: le sue traduzioni furono apprezzate e approvate finché non si venne a sapere che erano sue e a quel punto vennero sostituite. Alternò la sua dimora tra Milano, nel convento di S. Carlo al Corso, e Sotto il Monte, dove si trasferì dopo la morte di papa Giovanni e dove fondò il Centro Studi Ecumenici Giovanni XXIII.
Papa Giovanni e il Concilio furono per Turoldo la speranza dell’inversione di rotta di una chiesa troppo legata alla legge, autoreferenziale e non aperta all’uomo e alle cambiate condizioni; seguirono momenti di delusione per una attuazione dei documenti conciliari troppo lenta e osteggiata da alcune componenti, soprattutto della Curia.
Leggete da “O sensi miei” le poesie di “È appena un’aurora” dedicate ‘ai tempi di papa Giovanni’, poi di seguito “Voglio parlare con te, o Papa”, “Cronache a Managua” “In memoria del vescovo Romero” e capirete perché parlo di speranze deluse.
Turoldo, in occasione di celebrazioni della resistenza ha scritto un’opera teatrale dal titolo “Salmodia della speranza” {1965} che si conclude con una preghiera di cui riporto solo le ultime frasi: “Sui monti ventosi e nelle catacombe della città, dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare. Dio della pace degli eserciti, Signore, che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi, ribelli per amore.”
Infine per il sempre ribelle per amore Turoldo ci sarà l’abbraccio del Cardinale Martini, che gli chiederà di predicare nuovamente in Duomo; poi la malattia e la morte per cancro al pancreas a Sotto il Monte, il 6 febbraio 1992.
Per concludere questa minibiografia ricordo la laurea in filosofia nel ’46, e un’ampia bibliografia comprendente una ventina di volumi di poesie, 7 pièces teatrali, un romanzo, molti saggi su argomenti teologici, raccolte delle sue omelie e traduzioni di testi sacri, tra cui la bellissima traduzione dei salmi.
Le sue opere in questi anni sono state ripubblicate dalle case editrici Servitium e San Paolo.
E per ultimo Ernesto Balducci
Nato nel 1922 a Santa Fiora, un piccolo paese sul monte Amiata, figlio di minatore e quindi come Turoldo di famiglia povera, come lui trova un prete e una maestra elementare che ne intuiscono le doti e le capacità. Frequenta le scuole dagli Scolopi, prima a Savona e poi a Roma, si laurea in lettere. Tornato a Firenze nel 1944 conosce e diventa amico di Giorgio La Pira, con cui condivide le analisi sulla Chiesa e il modo di vivere il cristianesimo. Viene ordinato sacerdote nel 1945.
Nel 1958 fonda la rivista “Testimonianze”, che raccoglie testi di autorevoli pensatori cattolici, poco allineati col pensiero dominante nella Chiesa pre Concilio Vaticano II, ma oserei dire anche di quella che poi al Concilio si oppose spesso subdolamente. Questa sua attività e l’atteggiamento critici verso certe posizioni della Chiesa, di cui auspica una decisa riforma, gli attirano le reazioni del Sant’Uffizio; ne segue il trasferimento prima a Frascati e poi a Roma, dove vivrà da esterno la stagione del Concilio. Sorte non diversa da quella dei suoi amici Turoldo e Paoli.
Nel 1963 viene condannato dal tribunale civile per apologia di reato, per aver difeso il diritto all’obiezione di coscienza. Difesa che lo lega a don Milani, come lui voce profetica.
Nel 1965 torna a Firenze, ma praticamente esiliato a Fiesole; è in questo ambiente che negli anni ottanta si sviluppa la svolta antropologica dell’uomo planetario, l’ecumenismo, l’insistenza perché i cattolici si impegnino politicamente in difesa dei valori della pace e della cultura. Questo, è un esempio delle problematiche che porta avanti in quel periodo [“Il mandorlo e il fuoco” 1976/77]:
Occorre domandarci se il nostro modo di vivere – individuale e collettivo e di classe – non sia strutturalmente nemico dell’uomo; se il vivere dentro la logica del profitto non sia, al di là delle nostre pratiche religiose, già un crimine contro l’uomo. Allora, scegliere vuol dire rimettere in questione, radicalmente, la nostra appartenenza a questo mondo, alle leggi che regolano la nostra vita, individuale, di famiglia, e di classe. Vuol dire, dunque, ripensare in radice a noi stessi.
L’ostilità della gerarchia vaticana fortunatamente non è riuscita a impedirgli di continuare il suo lavoro di predicatore della buona novella e di scrittore. La sua produzione letteraria è vastissima e spazia dal commento al vangelo di Giovanni al libro su papa Giovanni, fino a ‘L’uomo planetario’ e ‘Le tribù della terra’. Muore il 25 aprile 1992 in seguito a un incidente stradale, pochi mesi dopo la morte dell’amico Turoldo.
Piccola nota: Balducci nel 1965, recensendo il libro di Merton Fede e verità, dopo aver detto che fino a pochi anni prima Merton gli ispirava ‘una indefinibile diffidenza’, afferma di essersi reso conto leggendo il libro che il suo autore è un profeta.
Dopo aver conosciuto le biografie, che già ci danno un’idea del pensiero dei nostri amici, cerchiamo adesso di conoscerli meglio attraverso i loro scritti. Come avete potuto notare i profeti di cui ho deciso di parlarvi mettendo a confronto i loro pensieri su Dio, la sua giustizia e la sua misericordia, sulla fede, sulla guerra e la pace, sull’uomo contemporaneo che si trova davanti a problemi nuovi e sconvolgenti, hanno scritto molto, in situazioni spesso personalmente difficili, ma non si sono arresi e hanno continuato a esprimere le loro preoccupazioni e le loro speranze, gridando l’esigenza di seguire gli insegnamenti del Vangelo nonostante tutto intorno sembri crollare, e di seguirli non obbedendo a formule e dogmi ma mettendo in gioco la propria vita.
Quel che mi propongo di fare quindi non è mostrare quanto sono stati acuti nel leggere la situazione del mondo, e anche della Chiesa, ma è mostrarvi come hanno letto la presenza di Dio nella loro vita, e se del caso la sua apparente assenza, e come questo può aiutare anche noi.
Inizio però con le parole di Giannino Piana, registrate nel 2002, in occasione di un convegno tenuto nel decennale della morte di Turoldo e Balducci, ma che possono essere applicate a tutti e cinque:
“[I due personaggi sono] Attuali nel senso che la loro testimonianza e la loro profezia sono più che mai contemporanee, con riferimento proprio a quei valori di pace, solidarietà, mondialità, gratuità che hanno testimoniato. Inattuali perché la loro profezia è molto più inascoltata, molto più disattesa; nonostante l’attualità di quei valori, il mondo va in direzione profondamente diversa. I valori emergenti sembrano altri e assumono disvalori emergenti e l’identità di questa distanza appare ancora più abissale se si pensa che sono trascorsi solo dieci anni dalla loro morte e che il mondo è così cambiato. Potremmo anche chiederci che cosa – se fossero vissuti oggi – avrebbero detto: probabilmente avrebbero reagito nei confronti di una situazione che si è profondamente involuta, rispetto ai valori su cui si può costruire una esistenza autentica.”
{Turoldo – Balducci; La Terra non sarà distrutta … pag 168}
Chiediamoci allora che cosa direbbero oggi, che sono passati altri 17 anni, e che cosa direbbero Bonhoefer e Merton. Che cosa pensasse Paoli, morto nel 2015, sono sicura che molti lo sappiano già. Ma leggeremo anche le sue parole e vedremo i collegamenti con le parole di papa Francesco.
I temi ovviamente si intrecciano nel corso delle opere più lunghe ma possiamo distinguere profezie sociali, profezie politiche e profezie economiche, profezie sulla Chiesa e profezie sulla società intesa come consorzio umano. Ci accorgeremo che i temi sono di stretta attualità. I profeti difficilmente vedono il risultato delle loro parole sulla società a loro contemporanea, che abbiamo visto ha la tendenza a emarginarli, se non a considerarli dei pazzi, ma noi dobbiamo continuare a rileggerle, perché le situazioni che si stanno presentando in questi anni in tutte le nazioni del mondo sembrano riprodurre le stesse contingenze.
Per essere chiara: l’Italia dei nazionalisti e populisti, gli Stati Uniti di Trump dell’America first, il generale rifiuto e disprezzo di chi è diverso da noi, la Russia di Putin e dei suoi affari oscuri, la Cina i cui affari non sono meno oscuri, il Medio Oriente in perenne lotta fratricida, l’Africa che continua a subire l’ingerenza straniera nello sfruttamento delle ricchezze, il mercato inteso come Borsa dove i soldi chissà perché finiscono sempre nelle tasche di chi ne ha già spaventosamente troppi, sono tutte situazioni non poi molto diverse da quelle in cui i nostri profeti hanno espresso il loro sdegno e hanno tentato di far ragionare l’umanità sotto la guida del Discorso della montagna.
Ma, ci dice Merton,
“Per quanto l’uomo ed il suo mondo possano sembrare in rovina, per quanto la disperazione umana possa diventare terribile, finché continua ad essere un uomo, la sua stessa umanità seguita a dirgli che la vita ha un significato” {Merton – Nessun uomo è un’isola}
Partire dal discorso della montagna.
Avendo tutti i nostri profeti vissuto in un modo o nell’altro le due guerre mondiali, e soprattutto il periodo dell’inter-guerra, sembra abbastanza ovvio che la frequentazione del vangelo abbia fatto sì che tutti si siano posti il problema della pace, cioè dei modi possibili per mantenerla all’interno di se stessi per poi poter agire per la pace nella propria nazione e nel mondo, della deterrenza nucleare, cioè di come le grandi nazioni, pur dichiarando di agire per la pace, tendano a mantenere e/o aumentare il loro dominio sulle nazioni meno sviluppate o più deboli.
Bonhoefer dichiaratamente ha come punto focale delle sue riflessioni il discorso della montagna, con la sua pressante problematica sul significato dell’essere miti, dell’essere poveri, dell’essere assetati di giustizia. Ma il discorso della montagna è sicuramente uno dei punti fermi della riflessione di tutti, anche quando il riferimento non è reso esplicito. Le istruzioni per essere felici, che sono il senso del discorso della montagna, vengono lette mettendo a nudo i motivi per cui ognuno di noi ha tanta difficoltà a metterle in pratica e a vivere da beato, e la lettura è fatta usando tante sfaccettature che mi hanno fatto ricordare il poliedro di cui parla papa Francesco nell’Evangelii gaudium.
Cominciamo dalle analisi sulla situazione dei singoli momenti storici e poi sulle prospettive della chiesa, protestante per Bonhoefer, cattolica per gli altri. Ritroveremo i loro pensieri nelle parole di Francesco e questo ci obbligherà a riflettere ancora una volta sui nostri doveri di cristiani di dare testimonianza con la vita e non con le sole parole a quelle beatitudini che sembrano sempre più lontane dal pensiero di chi mette se stesso, e peggio ancora la propria etnia, davanti a tutto.
Ma per capire come essere beati è anche importante fare una esperienza che ricorre in diversi punti e modi nella Bibbia e che ci fa sempre timore, l’esperienza del deserto.
Esperienze di deserto
L’esperienza del “deserto” è comune a profeti e santi, per i quali talvolta il deserto è veramente un deserto fisico, ma più spesso è l’esperienza della solitudine, del non riuscire a trovare Dio nella propria vita, nella sensazione che la preghiera sia rivolta a un qualcuno che si rifiuta di ascoltare, anche se si è sicuri della sua esistenza. Pensate a questo proposito anche all’esperienza di Giobbe, che continua con pertinacia a chiedere di parlare con Dio, nonostante il parere contrario e sprezzante degli amici che si ritengono possessori della verità.
Il deserto è stato un’esperienza reale per Arturo Paoli, che, cacciato dal suo incarico con i giovani dell’Azione Cattolica è vissuto un anno nel deserto del Sahara: a lui, abituato a vivere una vita intensa di impegno culturale, è stato imposto di vivere lontano dai libri e dalla sua cultura, per riuscire a sentire la voce del Signore. Come dice di lui Balducci doveva passare dai libri di carta ai libri vivi che sono gli uomini.
Sentite alcune sue parole tra le tante scritte sulla sua esperienza, tratte da una omelia: [Gridare il Vangelo con tutta la propria vita; anno A; pag. 76 e seg.]:
“Questa sensazione di vuoto totale si sperimenta anche nell’ambito dello spirito, che costringe a interrogarsi: perché sono nato? perché sto al mondo? che cosa devo fare? E la preghiera diventa grido, un grido nel vuoto. Direi che il nostro cammino di fede nasce nello stesso modo, nel momento in cui si fa l’esperienza profonda dell’esodo. […] {…}
Quello che ho provato nel tempo del mio deserto penso che corrisponda allo schema pedagogico che è proprio del deserto. Voglio dire che se uno va nel deserto perché ha bisogno di rigenerarsi, è impossibile che il deserto non gli offra quei ‘doni’ che sono già insiti nella nostra struttura psicologica. Essi ci aiutano a liberarci dalle tante voglie, dagli istinti, che in qualche modo conosciamo, ma che non sappiamo come affrontare. Dobbiamo ancora percorrere il faticoso cammino dello spogliamento, che comincia con l’aiuto di una grazia, di un dono,” che irrompe impetuoso, simile all’azione del vento quando soffia forte e spazza tutto, portandoti via anche il mantello che ti proteggeva. […]
… anche l’occidente consumista ha dei doni da farci. Uno è un dono molto amaro, duro, che possiamo definire come ‘il deserto del cuore’. Per sperimentarlo non occorre andare nel deserto del Sahara o in quello palestinese, perché il deserto del cuore produce lo stesso effetto dell’altro, quello del nulla.”
Credo che in questi momenti di vuoto totale siano questi ricordi che possano rappresentare una piccolissima luce, una fiammella che ti sostiene, ti fa resistere, ti fa restare. Poi lentamente, pian piano, ti accorgi che ti viene incontro l’aiuto, il soccorso. … per ora viene in tuo aiuto la misericordia, perché col tuo grido hai toccato il cuore del soccorritore. Lì inizia la rinascita, la resurrezione, che ci rende consapevoli che finalmente l’aiuto arriva.
Arturo quindi parla del “deserto del cuore”, che anche gli altri nostri profeti hanno sperimentato in diversi modi. In Bonhoefer, che non ha fatto un’esperienza fisica come quella di Arturo, mi sembra di poter leggere una gran solitudine e una forte ricerca di Dio in un ambiente ecclesiale che arriverà a giurare fedeltà a Hitler.
Nelle lettere dal carcere nel 1944 egli infatti afferma che “il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona” e che “Dio è colui che si lascia cacciare fuori dal mondo sulla croce, [ … ] impotente e debole nel mondo, e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta” .
Bonhoefer, già dal 1931 non fa altro che interrogarsi non solo sul “chi è Cristo”, ma soprattutto sul “chi è Cristo per noi oggi”, cioè sul fatto che la salvezza sulla terra si ha nella comunità che si fonda intorno a Cristo e quindi sul legame di Dio con la comunità dei credenti. Da qui deriva l’espressione che tutti leghiamo a Bonhoefer, “La grazia a buon mercato e a caro prezzo”, spesso quasi un ritornello che suona bene e che non ci curiamo di capire, o ci disturba capire.
La grazia a buon mercato è la grazia a cui pensiamo di avere diritto in quanto seguiamo fedelmente la dottrina, il catechismo, i dieci comandamenti nella loro forma letterale, andiamo a messa la domenica e nelle feste comandate e così via. Grazia a buon mercato è non riconoscere l’incarnazione della parola di Dio, giustificando il peccato e non il peccatore, grazia senza la croce, senza Gesù. La grazia ritenuta dovuta e meritata dai cristiani della domenica, esigenti e senza misericordia verso gli altri ma indulgenti con se stessi. Quelli che, siccome ‘bisogna contestualizzare, ci sono le attenuanti, sono stato provocato’ non hanno mai colpe. I buoni difficili da convertire.
Grazia a caro prezzo è quella di chi segue il discorso della montagna, di chi si lascia coinvolgere dalla sequela del Cristo vivente, con tutte le difficoltà che questo comporta. È molto più facile seguire delle regole rigide e sentirsi in pace perché ad esse ci si è attenuti che mettersi in gioco cercando di seguire, pur con i nostri limiti, l’esempio del Cristo vivente e riconoscerlo nella comunità umana.
E se questo vale per i singoli ancor più vale per la chiesa, quella di Bonhoefer e quella cattolica.
Penso a papa Francesco e al suo predicare sui mali di una chiesa che ha come punto di riferimento se stessa, che ritiene folle avere misericordia dei peccatori, che predica l’evangelizzazione tramite il catechismo e non tramite il Vangelo, che ritiene il fasto degli abiti sacerdotali nelle grandi cerimonie più importante dell’avvicinare i poveri e portarne l’odore. Francesco certo predica una chiesa in cui la grazia non è a buon mercato, e questo per alcuni è inaccettabile.
Anche Merton, Turoldo e Balducci hanno avuto ripetutamente esperienze di esclusione, allontanamento, di tentativi di inquadrarli in schemi rigidi e di uniformarli al pensiero corrente: come non sentirsi in un deserto quando si viene allontanati dalla propria comunità, viene proibito di scrivere, di parlare in pubblico, di pubblicare quanto già scritto perché ritenuto fuori dalle regole umane di censura ecclesiastica, e così via? Difficile in tali situazioni non chiedersi dove è Dio, perché non è vicino a consolare e frenare le ingiustizie. Eppure, come Giobbe, hanno continuato sempre a voler parlare con Dio, perché avevano capito che Dio li ha cercati per primo.
Merton, senza in queste parole dire della sua personale esperienza, sembra sintetizzare Paoli:
Iddio, che è dappertutto, non ci lascia mai. Eppure talvolta ci sembra che sia presente e talvolta assente. Se non lo conosciamo bene, non ci rendiamo conto che può esserci maggiormente presente quando è assente, di quando è presente. Vi sono due assenze di Dio. Una è un’assenza che ci condanna, l’altra che ci santifica.
Nell’assenza che ci condanna Dio ‘non ci conosce’ perché al suo posto abbiamo messo qualche altro dio e rifiutiamo di essere conosciuti da Lui. Nell’assenza che santifica Dio vuota l’anima di ogni immagine che possa diventare un idolo e di ogni preoccupazione che potrebbe porsi tra il nostro e il suo Volto. … Non sono mai separati dal Signore soltanto quelli che non discutono mai sul diritto che Egli ha di separarsi da loro. Non lo pérdono mai perché sanno bene che non meritano mai di trovarlo e che malgrado la loro indegnità Lo hanno già trovato. Perché Egli li ha trovati per primo e non li lascerà andare. [Nessun uomo è un’isola pag 246]
Turoldo esprime in poesia il timore della lontananza da Dio, come nella poesia che adesso sentirete, intitolata “Dio, sei” {da “O sensi miei” ‘Dio, sola necessità’ pag 473}
Dio, sei
Dio, sei il mio respiro
e non so chi tu sia:
lo dica qualcuno, dica
almeno cosa sei, o Ruakh.
Dio, ho paura di urtarti:
e non so dove tu sia,
dove incontrarti.
Dio, ho paura e ti amo
perché mi salvi da ogni paura:
Dio, mia pace e mia
terribile Notte.
Dio vicino assente lontano,
io ti parlo e tu …
O tu che conti le stelle nei cieli,
e gli uccelli nelle foreste,
e i viventi in fondo al mare,
chi sei?
«Appena il sussurro
del rabbrividente silenzio,
il vento leggero
sopra le messi all’alba … »
Parole analoghe scrive Balducci in L’Altro: ‘È nella pratica del silenzio che io sono nascosto a me stesso come Dio mi resta nascosto … Io non so chi io sia e non so chi sia Dio, ma so che quando ci vedremo faccia a faccia conoscerò me e conoscerò Lui perché la nostra verità è nella reciprocità’.
Dalle esperienze di deserto deriva la comprensione profetica in campo politico, sociale, della natura e di quel che le stiamo imponendo; in particolare ne conseguono le analisi sulla istituzione chiesa e sul comportamento dei cristiani riguardo alla guerra e alla pace.
Troveremo analisi che potrebbero in alcuni casi essere lette oggi come ritratto dell’America di Trump, analisi spesso molto dure, quasi di stupore per l’incoscienza del comportamento delle chiese ufficiali, e di conseguenza per l’incapacità di leggere i segni dei tempi sia da parte di persone che avrebbero dovuto farlo per la loro cultura e posizione politica, sia da parte della gente comune. E troveremo speranze che a distanza di anni sembrano ancora illusioni, ma le profezie non hanno vincoli temporali.
Tutti questi temi sono tra loro strettamente collegati ed è difficile trattarli separatamente.
La prossima volta lasceremo parlare i profeti sul mondo loro contemporaneo con le prospettive di guerra e speranze di pace; sulla chiesa, intesa come assemblea dei cristiani, quindi cattolica e no; sull’emarginazione dello straniero visto come nemico, e di conseguenza sul nazionalismo, sul capitalismo e su qualche altro “ismo”. Cercherò di confrontare le loro parole profetiche con quelle di papa Francesco: i segni dei tempi che stiamo vivendo, che spesso sono colti da Francesco e invece da noi sottovalutati, non sono poi molto diversi da quelli a cui sono stati attenti Bonhoefer, Merton, Paoli, Turoldo e Balducci.
Come pensiero finale su cui meditare vorrei ricordare che grazie al battesimo anche noi siamo profeti, oltre che sacerdoti e re. Dovremmo essere anche noi capaci di vedere i segni dei tempi e testimoniarli. Non facile.
Lascia un Commento