E’ online Rocca: “Intelligenza artificiale e futuro dell’uomo”
E’ online il numero 8 (del 15 aprile 2019) della rivista Rocca, che, come è noto anticipa di alcuni giorni l’edizione cartacea. Su autorizzazione del direttore, che ringraziamo, pubblichiamo due articoli (di Daniele Doglio e di Giannino Piana) che si riferiscono all’argomento centrale dello stesso numero “Intelligenza artificiale e futuro dell’uomo”
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G5 a che serve e in mano a chi?
di Daniele Doglio, su Rocca.
Davvero George sai tutto quello che c’è dentro N? «Potremmo cominciare sostituendo con la sigla G5 (in inglese, 5G in italiano) il caffè promosso dal più amato dalle donne fra i divi di Hollywood, in perenne trasferta pubblicitaria nel nostro spazio televisivo. Oppure citando una rivista secondo cui la tecnologia 5G è pronta a rendere ancora più eccitante la vita dei grandi utenti di telefonia mobile «ma può anche essere sfruttata per spiare e pianificare terribili attacchi digitali».
Per quelli della mia generazione il primo G5 fu Franco&G5, band modenese che avrebbe poi accompagnato Caterina Caselli con il nome più rassicurante di Gli Amici; poi è arrivato l’acronimo del primo Club di potenze economiche del mondo, il Group5, che diventò G7 quando insieme al Canada ci entrammo anche noi «quinta potenza economica mondiale», pensa te! Per gli appassionati di fisica il G misura la velocità di accelerazione gravitazionale e più recentemente esprime in milioni di unità (byte e hertz) la velocità dei sistemi informatici e la larghezza di banda nello spettro elettromagnetico.
Oggi è un altro palindromo G5/5G a rappresentare l’ultima (per il momento) frontiera della innovazione tecnologica. Ma forse anche il segnale di un attacco alla privacy. O addirittura una minaccia geo-politica, strumento di penetrazione che porterà il diabolico complotto «globalista» dentro le linee di difesa nazionali tramite accordi commerciali (vedi Memorandum d’intesa Belts&Roads o Nuova Via della Seta firmato a metà marzo dal duo Conte-Di Maio con la Cina), come pensano Trump e Salvini, e come lascerebbe temere l’arresto del direttore finanziario (nonché figlia del proprietario) della cinese Huawei, avvenuto qualche mese fa in Canada su mandato Usa.
innovazione collegamenti mobili internet
Tanta roba per una lettera e un numero. E allora di che si tratta? Risparmiando i dettagli tecnici più complessi (che poi ne sono la vera essenza), trattasi di un insieme di micro-innovazioni, protocolli e «standard» tecnologici che costituisce la prossima Generazione (la 5a, appunto) dei collegamenti mobili internet. Tutto comincia nel 2012 quando l’International Telecommunication Union, organo delle Nazioni Unite con sede a Ginevra che governa l’utilizzo sovranazionale dello spettro elettromagnetico e lo sfruttamento delle onde radio per finalità di servizio pubblico e commerciale, definisce i fattori che dovranno caratterizzare l’offerta di reti e servizi a partire dal 2020. Grazie ai continui miglioramenti nell’uso dello spettro radio-elettrico prevede che molti più «dispositivi» (fino a 1 milione per Km quadrato) potranno accedere contemporaneamente a Internet da mobile con velocità di caricamento-dati 20 volte superiori alle attuali, una copertura di rete molto ampia, collegamenti più stabili. E soprattutto una «latenza» (il tempo che ci mettono i dispositivi senza fili a comunicare fra loro) drasticamente ridotta rispetto a quanto accade oggi sulle reti più avanzate, ovvero quelle contrassegnate dalla sigla 4G LTE, che sta per Long Term Evolution, espressione assai ottimistica essendo ancora in via di introduzione in molti paesi mentre c’è già il 5G ad alitargli sul collo. Lanciato quest’anno in Qatar (per via dei discussi Mondiali di Calcio del 2022) con tecnologia cinese, 5G dovrebbe partire a fine anno in Corea del Sud, mentre è in avanzata sperimentazione in Cina, Stati Uniti, Giappone. Entro il 2021-2022 arriverà anche in Gran Bretagna, Germania, Francia, forse in Italia, anche se alcune compagnie telefoniche stanno già facendo i loro test. E qualcuna non è ancora del tutto convinta causa costi di sviluppo e di implementazione molto elevati. La velocità raggiungibile effettiva dipende infatti da quanto investi in tralicci e trasmettitori e da quale banda dello spettro l’operatore decide di scegliere. Lo standard 5G può utilizzarle tutte e tre (bassa, media, alta) ma di solito lo si associa a quelle ad altissima frequenza (da 3.5 a 26 GHz e oltre) che hanno grande capacità di trasporto ma lunghezze d’onda molto corte che coprono distanze infe- riori ai segnali di oggi e vengono facilmente bloccate dagli oggetti fisici come gli edifici. Aspettiamoci quindi di vedere nelle città raggruppamenti di antenne telefoniche più piccole, posizionate vicine al suolo, che trasmettono onde cosiddette «millimetriche» fra un gran numero di trasmettitori e ricevitori con densità di utilizzazione molto maggiore di quella attuale. Non solo per i cellulari, ma per sensori di movimento, video-camere di sorveglianza, sistemi di illuminazione stradale intelligente. Ma abbiamo davvero bisogno di tutto ciò?
E per fare cosa? Domande pleonastiche ovviamente, perché la innovazione tecnologica ha una tendenza autistica a crescere su se stessa, talvolta intercettando una domanda latente nella società, talvolta prescindendone del tutto, più spesso generando domanda attraverso l’offerta. Ora è vero che il mondo è diventato sempre più «mobile», ogni anno consumiamo sempre più dati, soprattutto adesso che buona parte dell’intrattenimento audio e video arriva in streaming dalla rete, e le bande dello spettro radioelettrico tendono a congestionarsi. Come nel traffico urbano all’ora di punta, se un numero crescente di persone cerca di accedere contemporaneamente in una determinata area agli stessi servizi questi tendono a collassare, provocando rallentamenti sempre più frequenti, soprattutto nelle aree metropolitane di molte città. Problema non da poco che le nuove infrastrutture di rete e i nuovi dispositivi dovrebbero rendere obsoleto in pochi anni perché il 5G aggiunge grandi quantità di spettro in bande non utilizzate finora per il traffico commerciale.
meglio e più velocemente
Preparatevi quindi a sostituire per l’ennesima volta i vostri smartphone. Potrete fare tutto quello che fate adesso, ma meglio e più velocemente. Guardare istantaneamente i video, scaricare in meno di un minuto un film in alta definizione, video-chiamare senza disturbi di fondo. Magari a voi importa poco, ma per centinaia di milioni di appassionati di videogame che passano ore a giocare con lo smartphone un minor ritardo (latenza) fra premere un bottone e vederne l’effetto sullo schermo fa differenza eccome. E non solo, quel che eccita i partigiani del 5G sono tutti i nuovi servizi che potremo costruire e di cui non abbiamo ancora idea. Perché cambierà il modo di interagire quotidianamente con la tecnologia, e man mano che le reti 5G entreranno in funzione vedremo sempre più veicoli autonomi comunicare con altri veicoli leggendo mappe e fornendo informazioni alle altre auto sulle condizioni del traffico o ai proprietari e alle case automobilistiche sulla propria efficienza. Se un’auto frena all’improvviso la vostra lo saprà in tempo per evitare tamponamenti. Salvando molte vite. Così come faranno gli stormi di droni in contatto fra loro per missioni di ricerca e salvataggio, per valutare estensione e velocità di propagazione degli incendi, per monitorare il traffico. Migliorerà l’efficienza delle infrastrutture urbane perché chi gestisce servizi (acqua, gas, elettricità ecc.) potrà controllarne i consumi da lontano, e dall’ufficio tramite sensori potrà vedere eventuali rotture che richiedono interventi manuali, mentre i Comuni potranno installare telecamere di sorveglianza a costi molto bassi, dotate di riconoscimento facciale utile anche alle forze dell’ordine.
Grazie alla ridottissima latenza sarà possibile controllare a distanza macchinari pesanti (utile per la sicurezza degli operatori che lavorano in ambienti a rischio) e consentire a tecnici specializzati di controllarli in qualsiasi parte del mondo si trovino. Anche i servizi per la salute potrebbero trarne giovamento. Grandi miglioramenti si attendono in tele-medicina, terapie fisiche da remoto grazie all’impiego di Realtà Aumentata, riabilitazioni e interventi chirurgici a distanza. Grazie alle reti di sensori e a dispositivi indossabili gli ospedali potranno monitorare a distanza i pazienti intervenendo in casi di emergenza, i medici controllare gli effetti delle terapie, e le società assicurative accertarsi che gli assistiti stiano seguendo i trattamenti concordati dalle loro polizze.
E poi c’è il cosiddetto IoT (Internet delle cose), che sempre grazie a velocità e ridotta latenza del 5G farà comunicare con noi e fra loro gli elettrodomestici e tutti gli altri strumenti elettronici che abbiamo in casa o in ufficio, senza reti fisse e senza consumare troppa capacità di banda come ora.
protagonisti industriali
Per far funzionare il 5G c’è bisogno di enormi investimenti. Sia per produrre dispositivi e infrastrutture di rete, sia per le frequenze che gli attuali operatori di telefonia utilizzano per i nuovi servizi. Nel primo caso le manifatture digitali con la capacità di innovazione necessaria si contano sulle dita di una mano, un pugno di aziende che lavorano su mercati interni molto avanzati e affamati di innovazione. Come l’americana Qualcomm (possiede 15 brevetti indispensabili per il 5G) o le cinesi Huawei (22 licenze commerciali 5G in tutto il mondo nonostante lo stop in Usa, Australia e i dubbi della Germania) e Zte, o la coreana Samsung. In questo gruppo l’Europa è ben posizionata con la finlandese Nokia che sta già costruendo reti 5G in Gran Bretagna, Germania e ha vinto l’appalto per la città di Tokio in vista delle Olimpiadi 2020, e la svedese Ericsson che lavora con Volvo (proprietà cinese) nel campo dei veicoli senza pilota. Aziende che talvolta collaborano (come Qualcomm e Samsung), talvolta si scontrano sui mercati e nei tribunali dei brevetti (Qualcomm ha appena vinto una causa da 30 milioni contro Apple per i chip dell’IPhone). Nel secondo caso i governi hanno cominciato a mettere all’asta nuove porzioni di spettro. Una idea degli investimenti? Anche in funzione 5G Vodafone, Tim, Iliad, WindTre, Fastweb, Open Fiber e Linkem si sono appena impegnate a pagare oltre 6 miliardi allo Stato italiano per le nuove frequenze. Sono 4 miliardi in più della cifra minima fissata in Legge di Bilancio.
rischi privacy e salute
E i rischi per la privacy? Come quelli di adesso. Vedi recentissimo scandalo italiano, migliaia di cittadini spiati elettronicamente per l’errore (?) di un hacker di Stato nell’uso di software che le Procure usano per sorvegliare i criminali. Solo un po’ peggio, perché difendersi da un’orda di strumenti è più difficile che tenere sotto con- trollo uno smartphone. Se sentite un brivido di sorveglianza alla Grande Fratello e non siete contenti, ricordatevi di non abboccare a tutte le offerte che arrivano dalla rete e siate meno generosi con i vostri dati, che sono la moneta di scambio di quello che chiamano ormai capitalismo della sorveglianza.
E i rischi per la salute? Come quelli di adesso, solo un po’ peggio per la concentrazione delle onde elettromagnetiche sempre più alta e l’inquinamento sempre più forte. Anche se ci saranno nuove regole e sistemi a protezione.
colonizzazione geo-politica?
E i rischi di colonizzazione geo-politica? Beh la posta in gioco per realizzare la nuova frontiera scatena il conflitto fra i colossi industriali del chip e delle reti, e non stupisce l’uso della pressione politica nazionale e internazionale. Considerando l’approccio cinese al mercato, la tendenza a installarsi in modo coloniale nei mercati dove riesce a imporsi, è abbastanza ragionevole valutare con prudenza le loro offerte. D’altra parte Lady Huawei è ancora ai domiciliari in Canada, ma intanto la sua azienda ha sfondato i dollari 100 miliardi di fatturato, come finora solo Google, Microsoft e Apple. Non è pensabile che ogni paese possa cavarsela da solo. L’Europa con Nokia e Ericsson è ben posizionata, pensiamo anche a questo prima di votare alle Europee di maggio.
E allora George? Da quel che si capisce nello spot Clooney non sa nulla del suo caffè preferito. Ma ha senso porsi il problema?, non basta forse fidarsi del marchio?
Daniele Doglio
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Roboetica
L’intelligenza artificiale e il futuro dell’uomo
di Giannino Piana, su Rocca.
Tra le innovazioni in atto nell’ambito della odierna ricerca tecnologica una vera rivoluzione è oggi costituita dall’intelligenza artificiale, che ha fatto negli ultimi decenni enormi progressi e la cui
ricerca è stata (ed è) fatta oggetto di grandi finanziamenti, anche a scapito – secondo alcuni – dell’intervento in altri importanti settori della vita sociale. Numerosi e di grande rilevanza sono i campi di applicazione di questa conquista tecnologica. Si va infatti dal potenziamento dell’umano – basti pensare alla possibilità di manipolare il corpo umano per superare limiti fisici o mentali considerati tuttora invalicabili, mediante la sostituzione di parti di esso con organi elettronici e meccanici – alla produzione e all’uso di armi completamente autonome, che agiscono cioè indipendentemente dall’intervento dell’uomo, fino alla analisi di dati strettamente personali (e delicati) di un individuo (abitudini, preferenze, idee politiche e religiose, ecc.) allo scopo di predirne o condizionarne il comportamento.
Gli scenari nuovi che si aprono chiamano dunque in causa l’uomo e il suo destino, e sollevano inevitabili interrogativi di carattere etico. Accanto agli indubbi effetti positivi, che è possibile si registrino in vari ambiti della vita, esistono – come risulta evidente da quanto accennato – possibili ricadute negative di grave entità, che esigono pertanto l’esercizio di una preventiva vigilanza e di un costante controllo. Sono state proprio queste potenziali ricadute negative
a sollecitare la nascita di un nuovo filone della riflessione etica, la cosiddetta roboetica, che si propone, da un lato, di inserire le conquiste che in questo ambito sono avvenute (e avvengono) entro un orizzonte umanistico e di fornire, dall’altro, una serie di regole che consentano il loro utilizzo in direzione di un’autentica umanizzazione.
l’esigenza di una nuova alleanza tra umanesimo e tecnica
Alla fine dello scorso febbraio l’Assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la vita svoltasi a Roma ha dedicato i propri lavori a questa nuova disciplina. Intervenendo a tale summit, Mons. Vincenzo Paglia, responsabile del dicastero vaticano organiz- zatore dell’incontro, ha messo l’accento sull’ambivalenza della situazione attuale, osservando che «se da una parte si lavora al progetto di potenziare il soggetto umano grazie alle tecnologie, dall’altra si concretizza il rischio di esonerare l’umano dalla cabina di regia della potenza della tecnica», e sottolineando, di conseguenza, la necessità «perché la tecnica sia umana, di rimanere umani e di mantenere la signoria dell’intelligenza umana sull’umano» (Avvenire, 26 febbraio 2019, p. 15).
Il messaggio che è venuto da quell’autorevole assise di esperti si può condensare nell’offerta di una duplice sollecitazione: apertura nei confronti di tecniche che possono senz’altro rappresentare utili strumenti per la promozione umana ed esigenza di vigilare affinché non abbia il sopravvento la tentazione della ybris prometeica con gravi conseguenze per la vita dei singoli e della collettività. Si tratta, in altri termini, di dare vita a una nuova alleanza tra umanesimo e tecnica o – come qualcuno ha suggerito con una formula suggestiva – di sviluppare una forma di «nuova intelligenza», capace di interpretare e di affrontare correttamente le nuove prospettive emergenti.
l’importanza di criteri adeguati di valutazione
I grandi indirizzi orientativi, ispirati a una istanza umanistica, per quanto necessari, tuttavia non bastano. Si rende necessaria anche l’individuazione di precise normative, che rendano efficaci gli obiettivi perseguiti. A tale riguardo, l’Unione europea ha elaborato lo scorso anno una proposta per definire l’approccio all’intelligenza artificiale e alla robotica avanzata. La proposta, che mette al centro la promozione dei valori umani, fornisce una serie di linee-guida, con l’indicazione di criteri di valutazione dei processi indotti dall’innovazione in corso; criteri che hanno come base la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. L’approccio etico, che persegue l’affidabilità tecnica dei prodotti e che si preoccupa che le persone sentano di potersi fidare, si propone di creare le condizioni perché – come si legge nel documento – «lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale non debbano essere percepiti come fine in sé, ma con lo scopo di aumentare il benessere dei cittadini». Partendo da tali presupposti il testo europeo fissa cinque principi fondamentali – quattro dei quali non sono altro che la ripresa dei principi della bioetica formulati in origine da T. L. Beauchamp e J. F. Childress (Principles of Biomedical Ethics, New York 1983) e divenuti successivamente classici – i quali vanno applicati alle diverse sperimentazioni sulla e alle diverse utilizzazioni della intelligenza artificiale.
I primi due principi sono il principio di «beneficenza» (Beneficiency) e di «non maleficenza» (Non-malefiency); essi implicano che gli sviluppi della ricerca e l’applicazione dei suoi risultati avvengano nel segno della promozione del benessere degli individui e della società, favorendo crescita economica, equità sociale e tutela ambientale; e che – in questo consiste la non-maleficenza – ci si preoccupi di evitare manipolazioni alterative dell’identità dell’umano, non solo a livello individuale ma anche a riguardo della specie e delle generazioni future, e che si ponga un robusto argine nei confronti di ogni forma di discriminazione.
Entro questo quadro, che segna, da un lato, il limite e definisce, dall’altro, le finalità secondo le quali l’intera attività che ruota attorno all’intelligenza artificiale va attuata, si inseriscono il principio di «autonomia» (Autonomy) e quello di «giustizia» (Justice). Scopo del primo è la salvaguardia di un bene fondamentale che rischia di essere gravemente minacciato, quello della libertà della persona, la garanzia cioè della possibilità di essere protetta dalla subordinazione e dalla coercizione di un sistema che ha un forte potere di condizionamento; mentre il secondo – la giustizia – ha come obiettivo l’attenzione a fare i conti con la corretta distribuzione dei costi e dei benefici; a verificare, in una parola, che essi vengano equamente ripartiti tra i cittadini, senza privilegi per nessuno e per nessuna categoria sociale. Accanto a questi importanti indicatori che – come si è ricordato – sono desunti direttamente dalla bioetica, sia pure con una riformulazione adeguata alle caratteristiche proprie dell’intelligenza artificiale, un posto particolare (e qualificante) va riservato al principio (l’ultimo) di «comprensibilità» (Explicability), che riguarda tanto la possibilità di fruire di una piena comprensibilità dei procedimenti usati dal sistema quanto l’esigenza di trasparenza e di controllo del business soggiacente. L’importanza di tale principio è strettamente connessa alla sempre maggiore complessità del sistema informatico e alla difficoltà di comprendere i processi ad esso connessi e le ricadute positive e negative della loro concreta applicazione. Di qui la necessità di una costante interfaccia tra scienza e opinione pubblica, in modo di giungere, attraverso un vero dialogo, a una conoscenza sempre maggiore degli effetti dei vari interventi, e di rendere perciò possibile l’esercizio effettivo del controllo.
L’insieme dei principi ricordati, che vanno evidentemente bilanciati tra loro per trovare, di volta in volta, il giusto equilibrio tra i valori della libertà, del bene personale e della giustizia esigono, da un lato, la messa in atto di un sistema di conoscenze indispensabili per potersi accostare con consapevolezza alle innovazioni in corso – sistema che comporta, per avere effetti positivi, il coinvolgimento delle diverse agenzie educative, della scuola in particolare –; e, dall’altro, la creazione di appositi comitati etici, che intervengano nei processi in atto con la produzione di norme adeguate a tutelare la libertà degli individui e a definire i limiti invalicabili della sperimentazione e dell’uso dell’intelligenza artificiale nell’interesse generale dell’intera umanità.
un atteggiamento corretto di approccio
Al di là dei giudizi sulle singole operazioni, è tuttavia importante assumere un atteggiamento corretto nei confronti dell’approccio alla questione. Le ambivalenze ricordate impongono infatti la capacità di un discernimento della situazione e l’esercizio di una precisa responsabilità da parte di tutti. La tensione è oggi tra gli entusiasti, che mettono in
evidenza gli effetti positivi di tale innovazione, cioè i cambiamenti radicali da essa indotti in grado di allungare la vita, di ridimensionare il lavoro e di formare esseri umani migliori; e i pessimisti, che mettono l’accento, talora con toni apocalittici, sulla possibilità che si produca la crisi della organizzazione sociale, con il rischio che si determini la fine della attuale civiltà.
L’uno e l’altro di questi atteggiamenti va superato. È importante fare proprio un atteggiamento di disponibilità e di vigilanza, di apertura alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, ma anche di costante attenzione ai risvolti negativi che possono derivare dal loro uso incontrollato e della necessità di non farsi soverchie illusioni sulla loro illimitata applicazione o sulla capacità di sostituire totalmente l’intelligenza umana. Lo mette bene in luce Marc Mézard, direttore della prestigiosa Ecole Normal Supérieure di Parigi, il quale scrive: «L’intelligenza artificiale rappresenta certamente una sfida tecnologica importantissima. Nuove macchine saranno capaci di prendere decisioni e di aiutarci a farlo. E saranno necessarie una serie di nuove regole per controllarne la funzione. La loro esistenza influenzerà la nostra vita nel bene e nel male. Ma – e questo mi pare essenziale – sarà difficile che possano essere considerate ‘intelligenti’» (La lettura, 27 gennaio 2019, p. 13). Quest’ultima osservazione ci mette realisticamente di fronte alla consapevolezza che, al di là delle importanti prestazioni che può offrire, l’intelligenza artificiale non è in grado di sviluppare comportamenti veramente «intelligenti»; ciò che essa può fornire è infatti una risposta a funzioni caratterizzate da una semplificazione della realtà all’interno di un quadro definito. Il che rende indispensabile (e lo renderà anche in futuro) il ricorso all’intervento umano, al quale, in definitiva, occorrerà fare sempre riferimento, sia per definire gli obiettivi da perseguire nello sviluppo dei processi tecnologici, sia per controllare concretamente l’uso degli strumenti a disposizione, sia per provvedere laddove occorre, agli eventuali correttivi. Anche questa nuova conquista del progresso tecnologico non può essere perciò lasciata a se stessa, ma ha bisogno – come si è detto – se si vogliono evitare le pesanti ricadute negative accennate, di essere sottoposta al vaglio del giudizio etico. Un giudizio che non può (e non deve) limitarsi a mettere in guardia dalle gravi conseguenze che possono aver luogo. Deve soprattutto indirizzare l’agire umano verso il perseguimento di obiettivi che accrescano il benessere degli individui e della comunità umana, e che rendano possibile la conquista della felicità.
Giannino Piana
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