Dalla Scuola segnali (e molto di più) di Speranza
SCUOLA, laboratorio di futuro
di Fiorella Farinelli, su Rocca.
A smuovere in questi giorni le coscienze di migliaia di studenti in tutto il mondo sui temi dell’ambiente, è una sedicenne svedese con le trecce. Si chiama Greta Thumberg, ha parlato a Davos contro il riscaldamento globale denunciando dal palco «il quasi nulla di fatto» dei grandi della terra. E le colpevoli rimozioni di un mondo degli adulti accecato da interessi economici e convenienze politiche. Ha inventato «i venerdì per la rivoluzione ambientale adesso» – da sola, in piedi, una settimana dopo l’altra, davanti ai palazzi delle istituzioni.
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gli studenti per la salvezza del pianeta
È al suo esempio che si ispira la mobilitazione internazionale prevista per il prossimo 15 marzo. A partire da Parigi, dove Greta è stata invitata dalla sindaca a parlare davanti a 8.000 studenti. Qualcosa si sta muovendo in sordina anche nelle scuole superiori italiane. Prima, in pochi, davanti a palazzo Marino a Milano, poi in gruppi più consistenti a Pisa, Torino, Roma, Brescia, Genova, Bari, Taranto, Napoli, Como [anche a Cagliari e a Sassari]. Le pagine Facebook sui «venerdì per il futuro dell’Italia», i manifesti, le assemblee, le riunioni in istituti scolastici e università, l’adesione di gruppi di insegnanti, il video di sostegno del famoso meteorologo Luca Mercalli. Nascerà tra gli studenti un movimento per la salvezza del pianeta? Vedremo.
Non sono del resto solo qui, nell’ambito delle tematiche ambientali, i segni di un interessante risveglio nel mondo della scuola di nuove forme di sensibilità e di attivismo civile, fuori dai riti consunti delle assemblee/occupazioni.
Un risveglio fatto anche di nuove riflessioni e di nuove domande, a fronte dei disastri e dei dilemmi del presente sul ruolo dell’educazione.
Ne avvertono il bisogno i ragazzi, lo anticipano talora gli insegnanti con iniziative e esperienze formative capaci di rilanciare la scuola come laboratorio del futuro.
educazione alla cittadinanza
Un caso da tener d’occhio è quello del liceo scientifico Copernico di Bologna, uno degli istituti più prestigiosi della città, il secondo per qualità dei risultati nella classifica Eduscopio della Fondazione Agnelli. «Non possiamo far finta di niente», scrivono in un manifesto/appello alle altre scuole un’ottantina di docenti. Non possiamo restare indifferenti al fatto che «mentre in classe leggiamo Primo Levi e la Costituzione italiana, fuori di qui succedono fatti che vanno in direzione opposta a quello che la scuola fa, e che la nostra storia e le nostre leggi ci chiedono di fare». Non possiamo rimanere inerti di fronte ai «segnali ambigui» che ne ricevono gli studenti, al disorientamento che ne ricavano, alle loro domande implicite e esplicite. «Noi spieghiamo alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi la divisione dei poteri come base dello Stato di diritto» intanto che assistiamo impotenti alla «sfida continua contro la magistratura da parte del potere politico». Studiamo «il principio inderogabile della solidarietà sancito nell’articolo 2 del testo costituzionale» mentre le attuali politiche sull’immigrazione «non solo violano le regole internazionali ma sfidano il senso di umanità e la coscienza civile della comunità nazionale». Ricostruiamo la storia di un Mediterraneo crocevia millenario di diverse popolazioni e culture e di una interculturalità costitutiva della nostra identità nazionale, mentre questo nostro mare sta diventando anche per responsabilità nostre il cimitero dei più disperati. «Siamo convinti che in questo contesto non sia possibile per noi docenti continuare ad ignorare nella nostra attività didattica i fatti che si muovono intorno a noi, perché una scuola che non riesce a facilitare la comprensione e la rielaborazione di quello che accade non svolge la propria funzione».
Di qui l’iniziativa, svolta nella prima settimana di febbraio, di dedicare alcune ore di lezione ad informare gli studenti e a fornire loro gli strumenti per leggere in modo autonomo e consapevole i fatti a cui assistono ogni giorno. Di qui anche la rabbiosa – e scontata – reazione di esponenti della destra politica che hanno accusato la scuola, i suoi insegnanti e il suo dirigente, di «fare politica» e di voler «indottrinare» gli studenti. Ne è nata, e si sta diffondendo nelle scuole bolognesi, anche una discussione, preziosissima in tempi di estremismi parolai e di crescente faziosità (e rara quando per tanti a prevalere è l’orgoglio dell’ignoranza), su che cosa debba intendersi per quell’«educazione alla cittadinanza», sempre raccomandata ma indirizzata e gestita per lo più in modo astratto e conformista. Se sia possibile praticarla in contesti assolutamente neutri, senza ancorarla, oltre che a ciò che avviene sotto i nostri occhi, a solidi e dichiarati riferimenti valoriali. Temi antichi, di cui oggi si rinnova la portata strategica culturale e politica.
l’eccellenza educativa è possibile
La verità è che nella scuola, e non da oggi, si giocano partite fondamentali per la cultura del Paese. Se si vuole e si è capaci di farlo, si semina democrazia, pluralismo, consapevolezza civile. Succede soprattutto nel primo ciclo, dove la mescolanza sociale e culturale – in particolare nelle periferie più povere e difficili – è la normalità. Dove è l’età stessa degli studenti a suscitare con la forza delle emozioni oltre che della ragione la convinzione che la povertà non deve essere un destino, che la provenienza o la lingua di origine non possono essere un handicap, che tutti i bambini devono essere sempre e comunque protetti da discriminazioni e umiliazioni, che crescere insieme è il valore e la scommessa dell’oggi e del domani.
saranno i bambini a salvarci?
Ci sono tanti limiti nella nostra scuola e tanti ritardi rispetto ai sistemi educativi di altri paesi, ma ci sono anche formidabili energie vitali che possono generare la massima eccellenza educativa, se ascoltate e coltivate. Lo si è visto mesi fa a Lodi, nella straordinaria capacità di una piccola scuola di trascinare l’intera comunità in azioni di contrasto aperto con decisioni del Comune mirate intenzionalmente ad escludere dalla riduzione dei costi della mensa scolastica quanti non in grado, in quanto stranieri, di documentare l’assenza di beni di proprietà nei paesi d’origine (un dispositivo discriminatorio che in area leghista dev’essere molto piaciuto, visto che è stato recentemente riproposto tra i requisiti di accesso al reddito di cittadinanza).
Lo si è visto di recente anche a Foligno quando a riconoscere il profilo razzista di un gioco di ruolo proposto da un insegnante sicuramente maldestro (o forse qualcosa di peggio), sono stati prima di tutto e spontaneamente i bambini, che non hanno sopportato un «esperimento» che offendeva e avviliva il compagno di classe figlio di nigeriani. Un episodio da cui trarre riflessioni e indicazioni, sottolinea sulle pagine di Repubblica il maestro Franco Lorenzoni mettendo in evidenza la maggiore prontezza dei bambi- ni delle nostre scuole primarie nel denunciare i comportamenti che mortificano e umiliano – quindi indegni, quindi insostenibili – rispetto a un mondo adulto troppo spesso inerte, disorientato, incattivito.
Saranno loro, saranno i bambini, a salvarci? Saranno le scuole dove si impara ad essere «cittadini» a far crescere una generazione libera dal peso di sconfitte e disillusioni e perciò più aperta al cambiamento e al futuro? Non è un caso, ricorda Lorenzoni, che anni fa fu proprio dalle scuole che partì la campagna a favore di quello ius soli che poi venne fatto inopinatamente cadere, dopo essere stato un anno prima già approvato da un ramo del Parlamento, dal governo Gentiloni. A ridosso di una scadenza elettorale che annunciandosi difficile consigliava la prudenza, ma con effetti culturali e politici inevitabilmente rovinosi.
la denuncia degli insegnanti
È un bene, comunque, che nella scuola e nelle università torni all’ordine del giorno il tema della funzione educativa dell’istruzione. Magari, come sta avvenendo, recuperando quel Don Milani secondo cui «per insegnare basta sapere, ma per educare bisogna essere». Definizione forse urticante che suona oggi come una denuncia esplicita delle scuole – e degli insegnanti – al di sotto del loro compito, da un punto di vista etico e deontologico prima ancora che tecnico. In tutta Europa quel tema sta tornando al centro perché è sempre più evidente la crisi profonda dei sistemi scolastici, anche dei più efficienti ed efficaci.
Giorni fa, sempre a Bologna, molti insegnanti hanno partecipato da tutta Italia, a loro
spese, a un seminario internazionale organizzato dall’Adi – Associazione dirigenti e insegnanti dal titolo significativo – «La grande incertezza. Insegnanti alla ricerca di valori tra competenze globali e identità nazionali» – in cui hanno presentato analisi e proposte esperti di scuola di tutta Europa, dalla Spagna alla Finlandia, e anche di Paesi extraeuropei come Cambogia e Singapore. Sotto osservazione non solo il relativo fallimento di pressoché tutti i sistemi scolastici, sia pure con diverse gradazioni, rispetto a obiettivi come il superamento della dispersione e degli abbandoni, l’eliminazione delle troppo strette correlazioni tra status economico e sociale di provenienza e risultati di apprendimento, la valorizzazione dei meriti personali, l’istruzione come veicolo principale di tenuta e di mobilità sociale.
A incombere come un fantasma c’è inoltre una scuola che, pur tra i molti avanzamenti degli ultimi quarant’anni non è però riuscita ad impedire che un po’ ovunque nelle società oggi impazzino fanatismi, irrazionalità, atteggiamenti antiscientifici, subculture xenofobe e razziste, sovranismi, insofferenze per la democrazia rappresentativa, rifiuti della cultura, delle competenze e quant’altro.
Che fare? Come educare i giovani a non avere paura dei cambiamenti ma a viverli con consapevolezza e padronanza? Come recuperare quell’autorevolezza e quella credibilità logorata dalla straordinaria attrattività del facile accesso a internet e ai social? Di che curricoli abbiamo bisogno per costruire identità nuove, non sradicate dalle appartenenze nazionali ma capaci di competenze globali e di aperture interculturali? E come sviluppare, in un mondo in cui prende sempre più piede l’intelligenza artificiale, una formazione culturale «umanistica», cioè incentrata sullo sviluppo e sulla valorizzazione di ciò che ci rende umani, e ci fa riconoscere gli uni con gli altri come appartenenti alla stessa umanità. Temi complessi ma veri, e terribilmente urgenti. Dipanare i diversi fili di questa matassa, trovarne il bandolo, è il compito degli educatori di oggi, di quelli che devono formare i giovani a misurarsi con equilibrio e intelligenza con ciò che verrà domani. Di tutto ciò fa parte integrante la formazione alla «cittadinanza» come capacità di partecipazione democratica. Non è un compito da poco, ma sono proprio i tempi che viviamo a dire che è proprio questo il compito più autentico della scuola.
Fiorella Farinelli
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Le foto in testa sono tratte da:
- Teleambiente;
- Legambiente.
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