«Lavorare per un futuro migliore»
«Lavorare per un futuro migliore»
22/02/2019 – di Fulvio Perini su Volerelaluna.
In preparazione del centenario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), è stato predisposto un documento dal titolo «Lavorare per un futuro migliore». Hanno partecipato all’elaborazione rappresentanti dei Governi, delle organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori e degli esperti di organizzazioni come l’Oxfam o di multinazionali della compravendita di lavoratori come la multinazionale Adecco, compreso il direttore del World Economic Forum di Davos. A presiedere la commissione sono stati Stefan Lofven, presidente svedese, e Matamela Cyril Ramaphosa, presidente sudafricano.
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L’Organizzazione Internazionale del Lavoro è nata dopo la prima guerra mondiale, essendo la sua costituzione prevista nel trattato di Versailles. È interessante conoscere i principi guida contenuti nel preambolo della Costituzione dell’aprile 1919 che iniziava con: «considerando che la pace universale e permanente può solo basarsi sulla giustizia sociale». Eccoli: «regolamentazione dell’orario di lavoro, fissazione della durata massima della giornata lavorativa e della settimana, regolamentazione delle assunzioni della forza lavoro, lotta contro la disoccupazione, garanzia di un adeguato salario di sussistenza, protezione del lavoratore contro le malattie, professionali e non, e contro gli infortuni sul lavoro, protezione di bambini, adolescenti e delle donne, pensioni di vecchiaia e invalidità, tutela degli interessi dei lavoratori occupati all’estero, riconoscimento del principio della parità di retribuzione per un lavoro di pari valore e principio di libertà di associazione, organizzazione dell’istruzione professionale e tecnica e altre misure analoghe».
Cento anni dopo il bilancio non è lusinghiero. I primi atti dell’OIL sono stati molto importanti, poi questo processo si è rallentato sotto il nazifascismo ed è stato bloccato durante la guerra per riprendere slancio nel secondo dopoguerra. Ma negli ultimi cinquant’anni è iniziato il declino: prima delle condizioni concrete di tanta parte dei lavoratori e poi, progressivamente, nelle norme sulle condizioni e sui loro diritti. Mentre l’OIL non ha più adottato norme significative, in Europa e in tanta parte degli Stati nazionali è iniziato un processo di deregolamentazione. Sempre usando lo stesso termine: «flessibilità».
In questo contesto conviene ricordare brevemente gli atti più importanti che hanno concorso a segnare la storia del lavoro: sempre nel 1919 vennero adottate la Convenzione n. 1, che stabiliva la durata massima della giornata lavorativa in otto ore, sia pure con deroghe per le colonie inglesi; la norma per la cessazione dell’uso del solfato di piombo come vernice e pittura murale portata in ogni casa, difendendo così gli uomini dal saturnismo e le donne dalle mutazioni genetiche del feto; la abolizione del lavoro minorile e di quello servile. Nell’immediato secondo dopoguerra, poi, vennero approvate le norme sulla libertà sindacale (1948) e sul diritto di organizzazione e negoziazione collettiva (1949), che influenzarono significativamente, in Italia, il dibattito e la lotta operaia per lo Statuto dei lavoratori e che ancora oggi sono terreno di lotta in moltissime parti del mondo.
Ma negli ultimi 50 anni è iniziato un grandissimo processo di diffusione delle produzioni industriali nel mondo accompagnato da imponenti frantumazioni dei processi lavorativi con catene di subfornitura intercontinentali, che abbiamo chiamato delocalizzazione, e delle prestazioni e dei rapporti di lavoro, che abbiamo chiamato precarietà. Oggi più di due miliardi di esseri umani lavorano come in Europa nell’Ottocento, senza alcuna sicurezza sociale rispetto alla malattia, all’infortunio, alla maternità e alla vecchiaia. Nei Paesi del Sud del mondo si chiama lavoro informale e corrisponde al nostro self-employment in assenza di Stato sociale.
Intanto le diseguaglianze crescono. Il direttore del World Forum partecipa a riprogettare il lavoro, probabilmente a nome e per conto di quelli che arrivano ogni anno a Davos con più di mille aerei privati.
Sempre ogni anno Oxfam ricorda i dati delle diseguaglianze crescenti, quella che per tutti gli organi di informazione, ma anche per noi, dal 2008 è stata chiamata “crisi” è, per i ricchi, il “modello”. Ma ormai manca un punto di vista autonomo delle classi subalterne.
Ora si prospettano nuove importanti questioni che potranno accelerare il processo economico e sociale in corso oppure favorire un nuovo conflitto per una società più giusta.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ricorda le contraddizioni: lo sviluppo tecnologico offrirà nuove occasioni di lavoro ma metterà ai margini milioni di lavoratori non professionalizzati e, probabilmente, favorirà ulteriormente un processo di delocalizzazione che questa volta interesserà le lavoratrici e i lavoratori dei servizi; la crisi climatica e ambientale proporrà nuove occasioni per l’economia verde ma milioni di lavoratori legati alle economie del carbone dovranno costruirsi un nuovo futuro o rimanere esclusi; miliardi di giovani del Sud del mondo aspirano a una vita migliore e centinaia di milioni di anziani di pelle bianca costruiscono muri e chiudono porti per difendersi dall’invasione.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro propone un nuovo “contratto sociale”, un diritto di cittadinanza che si poggia essenzialmente su alcune proposte solo in parte fondate su una più equa distribuzione monetaria dei redditi.
Questo è sicuramente il caso della prima proposta relativa al “diritto a un salario minimo” che garantisca la possibilità di una vita dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia. Oggi più di un miliardo di persone ne è escluso.
Una seconda proposta è il diritto alla gestione e al controllo dei tempi del lavoro a partire da un orario minimo di lavoro per tutti e a un limite vincolante della durata massima. Per avere “maggiore autonomia sul proprio tempo di lavoro” e favorire processi di formazione permanente.
La terza è avanzare con obiettivi misurabili verso la “parità di genere” combattendo le forme di discriminazione e di violenza ancora diffuse nei luoghi di lavoro e sostenendo il lavoro di cura con adeguate azioni e strutture pubbliche.
Un quarto punto molto importante è “fornire protezione sociale universale dalla nascita alla vecchiaia”. Qui viene accolta la proposta della ONG Oxfam di agire per una uguaglianza a partire dall’educazione, la salute e l’assistenza, la sicurezza nella vecchiaia evitando l’illusione che una redistribuzione del reddito monetario possa favorire efficacemente un processo di riduzione delle diseguaglianze.
Come concretamente potrà svolgersi un percorso di affermazione di questi principi e di questi obiettivi non è facile da comprendere. Molto dipenderà dai soggetti e dalle forze in campo. Senza ignorare che la forza propulsiva non è quella del 1919, siamo nell’era di Trump, Modi, Putin, Bolsonaro … con le nostre imitazioni domestiche.
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