Guardiamo al Canada

sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
canadaue-header-home-ceta_00Nella trattativa in corso per la definizione del prezzo del latte c’è un argomento scarsamente considerato nelle piattaforme in discussione. Mi riferisco alla possibilità di garantire l’espansione del mercato del pecorino ad altre realtà geografiche oltre il tradizionale mercato americano. Piuttosto che di dimenticanza credo si tratti di omertà degli esponenti del governo che si alternano nell’isola. Parlare di espansione dell’esportazioni, significa soprattutto parlare dell’accordo commerciale con il Canada (CETA) naufragato principalmente per la mancata adesione del Governo italiano. I pastori in lotta dovrebbero chiedere conto con forza e determinazione al ministro Centinaio, al vice premier Di Maio e al superministro Salvini della mancata adesione all’accordo CETA con il Canada, una autostrada commerciale che apriva prospettive concrete di sviluppo per il pecorino romano nel grande mercato canadese. I presupposti del CETA infatti erano ottimi. In estrema sintesi, questo strumento abbatteva i dazi doganali e riconosceva il valore giuridico delle produzioni “certificate” in Italia, tra le quali rientrava a pieno titolo il Pecorino Romano Dop. La scelta dell’Italia di non ratificare il trattato lo ha in pratica fatto saltare del tutto in quanto per la piena attuazione dello stesso era necessaria la ratifica da parte di tutti i paesi contraenti. Una bella responsabilità per questi esponenti politici e per l’associazione Coldiretti – anch’essa contraria al trattato – che oggi accorrono a piangere e portare solidarietà ai pastori e alle loro famiglie. Ciò è accaduto nonostante nel periodo di prova del CETA (in attesa della ratifica dei paesi contraenti) i dati registrati siano stati più che positivi. I primi rilevamenti sui risultati del trattato infatti avevano fatto registrare in un anno una crescita delle esportazioni verso il Canada dell’8 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e la possibilità di garantire 400 milioni di fatturato per le imprese italiane. Per la produzione casearia sarda la bocciatura dell’accordo da parte del governo è incomprensibile, quasi un autogol. Il Pecorino Sardo DOP, ma soprattutto il Pecorino Romano DOP, cominciavano infatti a sperimentare per la prima volta l’esportazione senza dazi doganali e le potenzialità del marchio di origine protetta nel commercio con il consumatore canadese. Dati provvisori del Consorzio del Pecorino Romano DOP certificavano che nei primi mesi del 2018 si era registrata una crescita del volume d’affari di circa 18 milioni di euro. Secondo i dati rilevati dall’Istat fino alla fine dello scorso anno il pecorino romano era il formaggio sardo preferito in Giappone, che ne importa più di 5mila quintali all’anno. Al secondo posto c’era il Canada che, grazie la CETA, stava rapidamente risalendo la classifica. Tra gennaio e marzo, quando cioè gli scambi erano già modulati secondo i dettami del CETA, le rilevazioni erano schizzate alle stelle mettendo a referto un aumento del 41,57 per cento del valore delle esportazioni e una crescita molto vicina al 24 per cento nelle quantità esportate, che nei primi tre mesi del 2018 sono state quantificate in 164 tonnellate. Durante i 31 giorni del gennaio 2018 il “peso” delle esportazioni del pecorino romano in Canada era cresciuto del 73,9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un’impennata seconda solo a quella del valore dell’export sardo in Nord America, che a marzo era cresciuto del 83 per cento rispetto allo stesso mese del 2017.
 Non ratificare il CETA è stata una scelta scellerata di questo governo oltre che un danno enorme del quale i pastori, le loro famiglie e i sardi tutti dovranno tener conto e chiedere conto ai rappresentanti del governo che vengono ad offrire solidarietà e fantasiose soluzioni per accrescere il prezzo del latte. 
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Approfondimenti (su Aladinews del 19 luglio 2018): CETA. Il governo “naviga a vista” rischiando di andare a sbattere. 


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