I pastori non mollano

6c8e153b-e661-4d58-a1d2-793229d62b67di Tonino Dessì, su fb.

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Continua nelle forme clamorose con cui è partita la protesta dei nostri pastori.
La mia solidarietà è sincera, naturalmente.
Finora ho peraltro evitato volutamente di scrivere una mia analisi di questa ennesima crisi e quelle che secondo me potrebbero essere le vie d’uscita.
Non direi peraltro cose originali nè nuove.
È una questione talmente annosa e tanto (inutilmente) discussa ed esaminata, che personalmente devo trattenermi dal manifestare fastidio, oltre che stanchezza.
Però alcune cose le voglio ricordare.
È inutile continuare a sostenere la pastorizia sarda per produrre troppo latte.
È archeologico utilizzare gran parte di quel (troppo) latte per produrre pressocchè esclusivamente pecorino romano da esportare in un solo mercato, quello statunitense.
La questione investe tanto i pastori quanto gli industriali per gli aspetti strettamente connessi al comparto considerato come comparto soggetto a regole economiche. [segue]
Per dirne una su altre economie ovine, la Nuova Zelanda ha ridotto in trent’anni i suoi capi da settanta milioni a meno di trenta milioni e sta diversificando il settore dalla prevalente produzione di lana e carne proprio verso la produzione lattiero-casearia.
Questo per chiarire scala e dimensioni del problema.
Quanto a chi dice: “esportiamo in Cina latte in polvere”, non ha la più pallida idea di quante economie produttrici di immense quantità di latte, ovino e bovino, esistano fra qui e il grande Paese asiatico.
Aver avuto una macchina da produzione efficiente a condizioni specifiche come la pecora sarda, dalle caratteristiche di ambientamento equilibrato, naturale e poco costoso e continuare a investirvi sopra con modalità tali che sembriamo pretendere che diventi una mucca olandese è stata una delle stupidaggini antieconomiche più grandi della nostra storia.
È ipocrita d’altra parte continuare a far finta che la zootecnia ovina sarda non sia assistita e che non debba continuare ad esserlo, a condizione di riportare questa scelta alla sua unica legittimità contemporanea: il mantenimento e il miglioramento del presidio delle campagne e dell’ambiente.
A queste condizioni si possono sostenere sia il reddito dei pastori sia la presenza sul mercato delle sue produzioni anche con risorse pubbliche, purché si punti (pastori e trasformatori) su prodotti innovativi e di qualità garantiti da un contesto a tutela ecologica totale.
Tutto il resto sono chiacchiere inutili.
E ce ne accorgeremo dopo le promesse elettorali, sulle quali modi e tempi di questa protesta sembrano contare con quello che io considero un eccesso di fiducia.

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