Cambia, tutto cambia…
ANZIANI: dall’emergenza all’invecchiamento attivo
di Fiorella Farinelli, su Rocca 3/2019
Si chiama Senior Cohousing, e ci stiamo provando da qualche anno anche in Italia. Una delle nostre migliori pratiche, con riconoscimenti anche internazionali, è Casa alla Vela di Trento. Una residenza fatta di abitazioni private e di spazi comuni – giardino, orto, cucina, lavanderia, benessere e convivialità – in cui abitano cinque ultraottantenni parzialmente autonomi e sette studenti universitari. Gli studenti pagano un affitto agevolato e ricevono dei voucher in cambio di prestazioni non occasionali di cura e di aiuto. I servizi di assistenza familiare H 24 sono condivisi e quindi meno costosi di quelli individuali, l’animazione sociale e il rapporto con il territorio sono gestiti dal volontariato, il tutto funziona con un’economia mista tra mercato e dono.
economia dello scambio e della condivisione
Ce ne sono altre di esperienze analoghe, a Milano, a Torino, in Emilia, in Toscana. Almeno una quarantina, ha censito la Fiera dell’Abitare Collaborativo del 2017. Anche su scala più grande. Come il Villaggio della Speranza di Bologna, composto di appartamenti separati con molti e attraenti spazi e servizi comuni, dove sono ospitati 126 nuclei familiari, molti composti da anziani soli, altri da giovani coppie italiane e straniere. A gestirlo in questo caso non è come a Trento una Cooperativa Sociale ma la Caritas, e alle risorse necessarie all’investimento hanno contribuito, dal 1991 ad oggi, oltre 8000 donatori, privati e istituzionali.
Non tutte le iniziative guardano principalmente o solo agli anziani ma tutte sono connotate dall’intenzione di garantire relazioni e comunicazione intergenerazionali, una gestione fatta di reciprocità e condivisione, valori e attività ispirati al benessere e alla promozione di modelli di vita comunitari.
In tutte c’è l’intenzione di offrire accoglienza e opportunità alle tante fragilità sociali ed economiche fonti di infelicità e di solitudine, nuclei con persone disabili, mamme sole con bambini piccoli, lavoratori in difficoltà, persone che, se hanno bisogno di aiuto, potrebbero anche darne. Ovunque con forme di collaborazione tra pubblico, privato, non profit. Spesso con il sostegno importante di Regioni e Comuni, e con interventi di Fondazioni e di Banche etiche.
Si guarda a realtà europee assai più avanti di noi, come le 400 e oltre iniziative nella piccola Olanda e alle 150 di un altro piccolo paese come la Danimarca. Ma a tessere il filo di un contesto economico e normativo più favorevole ora sono anche le istituzioni europee, e il Cohousing Sociale, figlio di interpretazioni più o meno generative della Sharing Economy – l’economia dello scambio e della condivisione – sta diventando un tema di attualità un po’ ovunque. Anche in Italia, quindi, con proposte e progetti sostenuti oltre che da Fondazioni, Enti e Associazioni del privato sociale, anche dalla Cassa Depositi e Prestiti e prossimamente, si spera, dalla Banca Europea per gli Investimenti. Sarà questa la direzioni di marcia di un nuovo welfare?
emergenza anziani
I guai connessi al modello attuale dell’abitare in città – più siamo in tanti a popolare i contesti urbani e più siamo soli – non riguarda esclusivamente gli anziani. Anche le mamme e i padri separati o single stanno diventando un’emergenza.
Ma è certo che a soffrire di più delle conseguenze dell’impoverimento progressivo delle relazioni, a trovarsi smarriti e impotenti per la quasi estinzione di nuclei familiari fatti di nonni, figli, nipoti, per il sempre più diffuso allontanamento fisico dei figli e dei parenti, per la graduale dissoluzione delle reti parentali tradizionali e della vita comunitaria e intergenerazionale, sono gli anziani soli. Per tanti motivi, che hanno a che fare anche con la condizione esistenziale di chi sa che ciò che resta da vivere ormai non è molto. Difficile, anzi per lo più impossibile che a compensare i vuoti e le difficoltà, economiche e relazionali degli anziani siano i servizi sociali del pubblico, sempre più poveri e circoscritti – quando va bene – alle situazioni più critiche. Anche il ricorso alle «badanti», favorito da un’immigrazione straniera che oggi è troppo energicamente scoraggiata, non è e non sarà una soluzione. Non solo perché è molto costosa – e i suoi costi si assommano a quelli di abitazioni diventate spesso troppo grandi e onerose per chi ci viva da solo – ma perché finisce col chiudere gli anziani in una bolla tutelata ma socialmente separata. E anche perché richiede una gestione degli aspetti contrattuali e anche relazionali del rapporto anziano/badante che in molti casi è difficile da gestire in assenza di figure parentali o amicali che se ne prendano la responsabilità. Una soluzione poco sostenibile, dunque, sia economicamente che umanamente.
quel periodo di vita tra autosufficienza e non autosufficienza
Eppure qualche soluzione di tipo nuovo bisogna trovarla. In Italia gli anziani che vivono da soli sono 3,5 milioni. Più di metà ha più di 75 anni. Il 46% ha una pensione inferiore a 1000 Euro mensili. Non solo. Il modello di assistenza che abbiamo avuto negli ultimi anni, basato sullo star soli finché si può e poi per i non autosufficienti il ricovero in residenze assistite, non tiene conto del fatto che di solito non si passa più in modo netto dall’autosufficienza alla non autosufficienza, ma che ci sono sempre di più lunghi percorsi di vita in situazione intermedia, in cui la solitudine e l’impoverimento secco delle relazioni spegne le energie e la capacità di vivere. Produce ansia, senso di insicurezza, depressione, isolamento. Accentuando e accelerando i processi di decadimento anche cognitivo, demenza senile compresa.
nuovo modello dell’abitare
Non va bene, allora, che la spesa pubblica punti solo sulle pensioni e sul sistema sanitario (su cui si rovesciano tanti guai che potrebbero essere prevenuti, e curati altrimenti). Occorrono servizi nuovi, non troppo costosi per il pubblico in quanto capaci di far convergere risorse economiche e umane diverse. Ed è un nuovo modello dell’abitare, allora, la carta più importante da giocare. Un abitare insieme, tra simili e anche tra diversi per età, stili di vita, convenienze, energie individuali, capacità. Per continuare a sentirsi vivi per il solo fatto di potere collaborare all’orto, al giardino, alla cucina. Non inutili perché si dà un’occhiata ai bambini, e si gioca a carte con loro o si dà un aiuto ai compiti finché non tornano i genitori. Non marginalizzati perché nel campetto di basket o nella piscina della residenza arrivano i ragazzetti del quartiere o perché è lì che si fanno le loro feste di compleanno. Per affrontare meglio ciò che resta della vita. Per un «invecchiamento attivo», come consiglia dagli inizi del 2000 l’Organizzazione mondiale della Sanità.
una vecchiaia diversa una risorsa importante
Se la domanda di questi nuovi modelli dell’abitare si sta facendo stringente, è proprio perché anche la vecchiaia, come altre fasi della vita, è diventata diversa da quella di qualche decennio fa. Se forse non è del tutto vero – o almeno non per tutti – quello di cui siamo stati recentemente informati dai soloni della geriatria, e cioè che la vecchiaia vera, quella che un tempo cominciava dopo i sessanta, oggi non comincia che a 75 anni, è però vero che il miglioramento delle condizioni di vita e soprattutto i progressi della medicina e del nostro sistema sanitario hanno cambiato tante cose. Rendendo concreta, e per molti fattibile, l’idea che si possa sentirsi ed essere attivi a lungo, anche dopo un by pass, un intervento di protesi all’anca, una diagnosi di diabete, una terapia oncologica. Anche dopo la perdita dei compagni di una vita, l’uscita definitiva dal lavoro, gli amici che se ne sono già andati. Anzi che bisogna farlo per misurarsi al meglio con le difficoltà della vecchiaia.
I numeri sugli anziani nel nostro paese confermano che l’età avanzata non significa automaticamente né per tutti scampoli di vita segnati irrimediabilmente dalla non attività, dall’egocentrismo senza occhi ed orecchie per gli altri, dal silenzio affettivo e relazionale. Più del 20% del volontariato stabile è, in Italia, fatto di anziani, anche oltre i settanta e perfin gli ottant’anni. Moltissimi, dopo la pensione, svolgono altre attività, non solo hobbistiche, ma di partecipazione attiva alla soluzione di problemi familiari, dei figli e dei nipoti. Le nonne e i nonni italiani, si sa, sono «supernonni», più che in Francia, in Gran Bretagna, in Germania, sostegno spesso decisivo alla conciliabilità tra lavoro e genitorialità delle giovani mamme. Il numero degli over 65 impegnati nell’accudimento dei nipoti è altissimo.
I risparmi di una vita – e la forte tendenza a risparmiare anche dopo, con il 54% degli anziani che, secondo Istat, continuano a farlo – sono stati durante la crisi e sono tuttora una risorsa importante per figli e nipoti. Sono tantissime le donne anziane che riescono a prendersi cura dei genitori vecchissimi e dei più piccoli, e che contemporaneamente aiutano altri. E sono tanti i vecchi disponibili e motivati ad essere utilizzati anche gratuitamente nella scuola, nella formazione professionale e in quella continua per trasmettere elementi dei mestieri artigiani e delle professionalità maturate in passato.
Checché se ne dica in questo tempo generoso solo di risentimenti e di malevolenze, gli anziani italiani non sono affatto un peso insopportabile per l’insieme della società, ma continuano in molti ad essere un’energia positiva. Tre su quattro, secondo alcune indagini, dichiarano infatti di sentirsi utili, e di voler continuare ad esserlo. Anche se, secondo una recente indagine Ipsos, in Italia avvertono più che in altri paesi il disagio di non sentirsi riconosciuti come cittadini di pieno diritto. Sono gli effetti maligni delle turbolenze sociali e politiche di questa fase, le «rottamazioni» forzate, le pensioni usate per «fare cassa», l’accusa di non volersi fare da parte minacciando i diritti delle generazioni più giovani. Dimenticando che è ai contributi da lavoro e alle tasse pagate per decenni dalle generazioni che hanno cominciato a lavorare anche prima di essere maggiorenni che si deve, in questo paese, la costruzione del welfare, l’istruzione gratuita, lo sviluppo del sistema sanitario nazionale.
Ma la vecchiaia c’è, con tutti i suoi affanni e i suoi bisogni. E sarebbe responsabile e civile, in un paese in cui per fortuna, ma anche per merito loro, gli anziani vivono più a lungo, progettare e concretizzare forme di welfare capaci di tutelarla e di valorizzarla. Per l’interesse non solo loro, ma di tutti.
Fiorella Farinelli
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La foto in coda riporta la prima pagina della rivista Rocca n.3/2019
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