Anci – proposte per il riuso del patrimonio culturale abbandonato

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Riuso del patrimonio pubblico in abbandono: serve una strategia nazionale
di MARIO GUERRIERO su eddyburg.

ANCI chiede di rivedere alcune norme nazionali per favorire pratiche di riuso in grado di generare identità e produzione culturale, coesione ed innovazione sociale. Sarebbe il caso di farlo, ora. Biblius.net, dicembre 2018. (m.b.)
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L’Associazione nazionale dei comuni italiani ha inviato al Ministero dei beni e delle attività culturali un documento che delinea una strategia di riuso e recupero di immobili di interesse culturale in elevato stato di degrado. Il testo è stato elaborato dalla commissione cultura dell’Anci e contiene “proposte operative che, se attuate, consentirebbero di attivare sui territori politiche di grande impatto per quanto riguarda il riuso del patrimonio pubblico per la valorizzazione culturale.” Con la medesima missiva il presidente dell’Anci chiede al ministro di “valutare la possibilità di avviare un tavolo tecnico Mibac/Anci che possa elaborare delle proposte condivise e svolgere anche un’azione di monitoraggio e, se del caso, di accompagnamento delle iniziative più significative che si attiveranno sui territori”.

Le proposte Anci
Secondo i Comuni la normativa vigente non garantisce linearità e chiarezza alle procedure amministrative essendo ispirata prevalentemente dal “principio di massima resa economica” del patrimonio pubblico; non aiuta né le Amministrazioni Comunali disponibili a valorizzare il proprio patrimonio culturale, né gli operatori, per lo più no profit, che potrebbero concorrere alla restituzione alla pubblica fruizione di beni non utilizzati.
È necessario dunque rivedere l’attuale impostazione normativa, secondo l’Anci, in modo da dare ai Comuni la possibilità di valorizzare il proprio patrimonio con maggiore efficacia, privilegiando funzioni e soggetti in grado di generare:
- identità
- produzione culturale
- coesione
- innovazione sociale
Obiettivo perseguibile solo attraverso la definizione di regole chiare, che prevedano nuovi modelli concessori, flessibili e semplificati e la promozione di partnership pubblico/private finalizzate a dare maggiore efficacia e slancio ai progetti di valorizzazione culturale.
Pertanto, l’Anci propone una diversa e più efficace normativa che possa:
1. garantire, per i beni del patrimonio pubblico disponibile che da almeno 3 anni sono in stato di abbandono o di grave sottoutilizzazione, le forme più opportune di concessione d’uso a finalità culturali e sociali, ivi compresa quella del comodato, modificando il principio di fruttuosità dei beni pubblici. Per raggiungere questo obiettivo non si può prescindere da un intervento normativo che mitighi il principio di redditività, che nell’attuale formulazione appare non giustificato per questa fattispecie di beni, contemperandolo con il rilievo dei valori identitari e della coesione sociale che sono associati ai processi di recupero e valorizzazione dei beni culturali in disuso o abbandonati
2. consentire che le “forme speciali di Partenariato” previste dal terzo comma dell’art.151 del dlgs n.50/2016 siano estesi agli Enti Locali e a tutti i soggetti pubblici proprietari di beni culturali al fine di permettere, con modalità semplificate e più efficaci, il recupero, il restauro, la ricerca, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione del patrimonio pubblico disponibile per finalità culturali e creative
3. modificare il “Codice del Terzo Settore” (dlgs n.117/2017), consentendo anche la possibilità della concessione in comodato d’uso gratuito o a canone fortemente agevolato di beni culturali, agli enti del Terzo Settore, ivi comprese le imprese sociali, in relazione alla valutazione del valore sociale, culturale, occupazionale, del processo di valorizzazione avviato
4. istituire un fondo pluriennale per il riuso del patrimonio pubblico a fini culturali degli enti locali in condizione di grave sottoutilizzo o in stato di abbandono, con funzioni di sostegno alle finalità su richiamate, di promozione di partenariati speciali pubblico-privati, di concorso negli interventi di recupero e valorizzazione.
Infine, si dovrà attentamente valutare la possibilità di adottare dispositivi di defiscalizzazione per i soggetti gestori di beni restituiti alla pubblica fruizione.

Il documento si può scaricare dal sito biblus.net

Vedi anche: Fare spazio alle attività culturali – una guida per l’azione, il documento elaborato dalla scuola di eddyburg.
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logo-anciUna strategia di riuso del Patrimonio culturale in abbandono o sottoutilizzato delle Città italiane
30 novembre 2018
In più parti d’Italia, da Nord a Sud, da tempo si sono diffuse buone pratiche di innovazione culturale che hanno al centro il riuso di beni culturali in abbandono o sottoutilizzati, ricadenti nel patrimonio degli enti locali, ed in particolar modo dei Comuni. Tutto ciò sta avvenendo pur in presenza di una normativa vigente che non garantisce linearità e chiarezza alle procedure amministrative, e che, ispirata prevalentemente dal “principio di massima resa economica” del patrimonio pubblico, non consente di prendere in considerazione l’impatto sociale, culturale ed occupazionale di questi interventi e non aiuta né le Amministrazioni Comunali disponibili a valorizzare il proprio patrimonio culturale, né gli operatori, per lo più no profit, che potrebbero concorrere alla restituzione alla pubblica fruizione di beni non utilizzati. Per queste ragioni, nonostante il grande lavoro di chi si rende disponibile a tali sperimentazioni – sia i soggetti che “riabitano” questi luoghi restituendoli vitali alla comunità che i funzionari pubblici e delle istituzioni coinvolte -, finora si è riusciti ad incidere solo parzialmente rispetto alle grandi potenzialità del settore.
E’ necessario dunque rivedere l’attuale impostazione normativa, in modo da dare ai Comuni la possibilità di valorizzare il proprio patrimonio con maggiore efficacia, privilegiando funzioni e soggetti in grado di generare identità e produzione culturale, coesione ed innovazione sociale nelle proprie comunità, obiettivo perseguibile solo attraverso la definizione di regole chiare, che prevedano nuovi modelli concessori, flessibili e semplificati e la promozione di partnership pubblico/private finalizzate a dare maggiore efficacia e slancio ai progetti di valorizzazione culturale.
In questa direzione si riconosce la rilevanza delle sperimentazioni in corso (ad es. a Bergamo e Bari) e di alcune innovazioni recentemente introdotte nel quadro normativo, con particolare riferimento a quanto previsto dall’art.151 del D. Lgs 50/2016, che prevede l’attivazione, da parte del MIBAC, di forme semplificate e speciali di partenariato pubblico-privato per garantire i processi di tutela, fruizione, valorizzazione del patrimonio culturale della Nazione. Tale norma dovrà essere estesa anche ai Comuni, il cui patrimonio culturale farà parte integrante di quello della Nazione. In questo modo si potrebbe favorire un processo più largo ed incisivo di recupero, restauro, manutenzione, gestione, apertura alla fruizione e valorizzazione del patrimonio pubblico per finalità culturali e creative.
Grande importanza riveste anche l’art. 71 del Codice del terzo Settore (D.Lgs. n.117/2017), che prevede al comma 2 la concessione ad enti del Terzo Settore di immobili pubblici, non utilizzati per fini istituzionali, in comodato d’uso gratuito, e, al comma 3, la possibilità di concessione a canone agevolato di beni culturali pubblici, per la realizzazione di attività di valorizzazione, con detrazione dal valore del canone stabilito delle spese di investimento per il restauro di tali beni. Questo dispositivo normativo, pur rappresentando in teoria una opportunità pone nel concreto in essere misure fortemente limitative rispetto alle dinamiche già presenti sul territorio. Di fatto, non essendo previsto un abbattimento del canone concessorio rispetto ad una valutazione non solo economica, ma anche del valore sociale, culturale, occupazionale del processo di valorizzazione, anche in questo caso sembra confermarsi l’approccio esclusivamente economicistico al recupero e alla valorizzazione del patrimonio culturale pubblico. Peraltro, data la previsione di esclusione da queste forme concessorie delle imprese sociali, si limitano anche le possibilità di coinvolgimento delle forme organizzative più innovative introdotte dalla stessa riforma del Terzo Settore.
Anche alcune iniziative di questi anni, attuate da soggetti diversi, si sono mosse in maniera coerente con l’impostazione da noi auspicata. Ad esempio, il Decreto del Mibact 22 dicembre 2015 realizzazione dei centri di produzione artistica. Musica, danza e teatro contemporanei ha riconosciuto la necessità di prevedere diverse modalità di utilizzo dei beni immobili di proprietà dello Stato, qualora non utilizzabili per altre finalità istituzionali, con sistemi concessori pluriennali in uso o a canoni simbolici, per realizzare centri di produzione e residenze culturali ed artistiche. Si possono poi citare le innovazione introdotte e sperimentate da Agenzia del Demanio negli ultimi 5 anni, con procedure dedicate e semplificate, come nel caso del Progetto Valore Paese Fari e del Progetto Valore Paese Cammini e Percorsi, che hanno evidenziato la fattibilità di cambiamenti significativi nelle modalità con cui sono gestiti i processi di valorizzazione. Anche le Ferrovie dello Stato si sono misurate con tali questioni, mettendo in campo il Progetto Stazioni Impresenziate, che ha previsto la concessione in comodato d’uso a titolo gratuito degli spazi di 1700 stazioni di questa tipologia.
Queste buone pratiche assumono particolare rilievo e costituiscono un patrimonio da cui attingere per ampliare gli ambiti applicativi. Tuttavia rischiano di rimanere atti simbolici se non se ne colgono gli esiti. Non sono quindi sufficienti a generare un impatto rilevante sulla necessità impellente di promuovere il riuso del patrimonio.
Pertanto, per incentivare le politiche di valorizzazione virtuosa del patrimonio pubblico per finalità culturali, anche in relazione allo sviluppo di imprese giovanili, culturali e creative, l’Anci propone una diversa e più efficace normativa che possa:
1) garantire, per i beni del patrimonio pubblico disponibile che da almeno 3 anni sono in stato di abbandono o di grave sottoutilizzazione, le forme più opportune di concessione d’uso a finalità culturali e sociali, ivi compresa quella del comodato, modificando il principio di fruttuosità dei beni pubblici, sancito per lo Stato dall’articolo 9 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e per i comuni dall’articolo 32, comma 8, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, che impone alle pubbliche amministrazioni di gestire il proprio patrimonio in modo da ottenere la massima redditività possibile. Per raggiungere questo obiettivo non si può prescindere da un intervento normativo che mitighi il principio di redditività, che nell’attuale formulazione appare non giustificato per questa fattispecie di beni, contemperandolo con il rilievo dei valori identitari e della coesione sociale che sono associati ai processi di recupero e valorizzazione dei beni culturali in disuso o abbandonati;
2) consentire che le norme speciali di Partenariato previste dal terzo comma dell’art.151 del D.Lg.s n.50/2016 siano estesi agli Enti Locali e a tutti i soggetti pubblici proprietari di beni culturali al fine di permettere, con modalità semplificate e più efficaci, il recupero, il restauro, la ricerca, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione del patrimonio pubblico disponibile per finalità culturali e creative;
3) modificare il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 71 del codice del Terzo Settore (D.lgs. n.117/2017), consentendo anche la possibilità della concessione in comodato d’uso gratuito o a canone fortemente agevolato di beni culturali, agli enti del Terzo Settore, ivi comprese le imprese sociali, in relazione alla valutazione del valore sociale, culturale, occupazionale, del processo di valorizzazione avviato;
4) istituire un fondo pluriennale per il riuso del patrimonio pubblico a fini culturali degli enti locali in condizione di grave sottoutilizzo o in stato di abbandono, con funzioni di sostegno alle finalità su richiamate, di promozione di partenariati speciali pubblico- privati, di concorso negli interventi di recupero e valorizzazione.
Infine si dovrà attentamente valutare la possibilità di adottare dispositivi di defiscalizzazione per i soggetti gestori di beni restituiti alla pubblica fruizione.

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