Cattolici e Politica
A 100 anni dall’Appello ai “liberi e forti” di don Sturzo riprende il dibattito sui cattolici in politica.
Il punto di vista di Noi Siamo Chiesa
Cattolici e politica a 100 anni dall’Appello “agli uomini liberi e forti”: ripensare criticamente la nostra storia per andare avanti. No al partito cattolico.
Una nuova positiva ricerca in una situazione più difficile
Facilitato dal centesimo anniversario [18 gennaio] dell’Appello agli “uomini liberi e forti” con il quale don Luigi Sturzo ed altri davano vita al Partito Popolare un vivace dibattito si è aperto negli ultimi tre mesi sulla presenza dei cattolici in politica. Vi partecipano in tanti, dal Presidente della CEI Bassetti a esponenti dell’associazionismo, all’Avvenire con un dibattito che vi si sta svolgendo. Ci sembra un fatto positivo questo tentativo di una nuova riflessione. Tanti sono i motivi che lo determinano. Anzitutto il permanente forte disagio sociale indotto dalla crisi che interpella tutti, la coesione sociale che sembra peggiorare con l’emergere diffuso di individualismi e di localismi, le paure enfatizzate, i muri che sembrano prevalere sui ponti tra i singoli e le organizzazioni, una diffusa lontananza dalla politica o addirittura l’antipolitica, insomma uno sfilacciamento del tessuto comune della nazione. Come non interrogarsi magari con troppo ritardo?
Inoltre accresce le preoccupazioni l’esito politico del voto del quattro marzo che ha portato a un governo abbastanza imprevisto con inedite alleanze che consentono interventi di discriminazione contrarie ai principi costituzionali e con un Parlamento in cui i punti di riferimento considerati “cattolici”, ufficialmente sponsorizzati, sono ben minori di quanto non lo fossero nella legislatura precedente. Inoltre ha creato problema l’uso del rosario, del crocifisso, del presepe e di riferimenti al Vangelo nella propaganda politica insieme a interventi sui migranti contrari a qualsiasi senso di umanità.
Come essere cristiani oggi in politica?
Come allora fare politica? Come esservi da cristiani oggi? Una domanda di sempre che ha ora una nuova urgenza dopo tante contraddizioni del passato. La coscienza cristiana viene interpellata all’interno stesso del corpo ecclesiale quando si constata quanto vi è presente il consenso alla politica leghista o ad opzioni concrete di tipo “materialista”. Dopo il partito “cattolico” c’è stato un sostanziale accordo delle autorità ecclesiastiche con le forze dominanti. All’intervento indiretto mediante l’unità politica dei cattolici è subentrato una presenza diretta in politica usando il paravento del cosi detto “progetto culturale” .
Il vecchio corso Ruini-Bagnasco è però finito lasciando alle spalle un modo di rapportarsi con la politica fatto di discutibili accordi e di antagonismi con la cultura definita “laicista” mentre la vecchia e valida “scelta religiosa” del postconcilio veniva sostanzialmente accantonata. Ora la nuova ricerca su come esserci in politica deve fare i conti con una situazione di smarrimento, ed anche di vera e propria confusione. Però la consideriamo complessivamente positiva perché la sua alternativa, costituita dalla possibile chiusura nelle sacrestie e nell’amministrazione dei sacramenti, è quanto di più lontano ci possa essere dalla “Chiesa in uscita” di papa Francesco. Il papa ha detto nel suo poco ascoltato discorso alla Chiesa italiana nel Convegno di Firenze del 2015: “mi piace una Chiesa italiana inquieta sempre più vicina ai dimenticati, agli abbandonati, agli imperfetti” e “non bisogna credere troppo nelle strutture, nelle proprie certezze, bisogna avere capacità di incontro e di dialogo”.
Riforma della Chiesa per una buona presenza in politica
Ciò premesso, la riforma della Chiesa che auspichiamo da sempre, nella linea della Gaudium et Spes e dello spirito del Concilio, è intrecciata a fondo col problema della politica. Quando nel recente passato, per decenni, il riferimento leale al Concilio fu nei fatti abbandonato dai vertici della Chiesa fu diversa e più difficile la presenza dei cristiani nella politica italiana. Dovettero spesso remare controcorrente i cattolici democratici al cui interno si è sempre collocata la riflessione del movimento “Noi Siamo Chiesa”. Quanto possiamo dire ora come contributo al dibattito riteniamo non possa prescindere dal ripercorrere il nostro passato, quello remoto e quello recente. Il dimenticarselo –lo si fa troppo spesso- sarebbe fatto grave. La storia della Chiesa e del mondo cattolico ha radici che condizionano l’oggi e che -conosciute al meglio- possono permetterci di guardare meglio all’avvenire. Questa riflessione ci è facilitata e quasi imposta da questa scadenza del 18 gennaio dell’Appello ai “liberi e ai forti” di cui possiamo ora vedere tutta la modernità e il coraggio nelle circostanze storiche in cui avvenne. Se letto con attenzione, può dare anche per l’oggi indicazioni importanti. Rimandiamo in proposito all’interessante editoriale di “Aggiornamenti sociali” di questo mese. Il ripensare ad esso in modo non rituale, richiede uno sguardo sincero e a tutto campo sul passato.
Rivisitare a fondo la storia
La rivisitazione non può non essere di lungo periodo. Ci fu la tenace resistenza del papato a cedere il potere temporale contro l’opinione della corrente liberale, quella di Rosmini e di Manzoni. Poi, dopo il venti settembre, il papato si attardò per troppo tempo nel “non expedit” facilitando molto la deriva del nuovo Stato italiano verso una gestione “laicista”, oligarchica e militare che, pur tra qualche modernizzazione del paese, colpì il popolo con una repressione feroce nel 1898, portò alla spedizione in Libia nel 1911 e al vero e proprio colpo di stato del 24 maggio del 1915. Poi la felice esperienza dei popolari non fu sostenuta e don Sturzo fu costretto all’esilio. Quanto era nelle cose da tempo, cioè la soluzione della “questione romana”, avvenne nel peggiore dei modi, mediante l’accordo col fascismo, che fu molto rafforzato dalla firma dei Patti Lateranensi. I popolari degli anni’20 e molti altri ritornarono protagonisti quando la Resistenza, a cui molti cattolici avevano molto meritoriamente partecipato, diede ai cattolici il compito di contribuire ad organizzare la Repubblica. La storia del partito dei cattolici ha visto da una parte la tenace fede nel difficile percorso della democrazia in Italia in un quadro internazionale deciso dai grandi equilibri della guerra fredda, dall’altra la pressione costante del clericalismo incombente soprattutto negli anni cinquanta. Il Concilio accettò il ruolo della democrazia e dei valori laici e il superamento di una visione ecclesiocentrica e nazionale della presenza in politica ma la successiva involuzione del post concilio ha avuto conseguenze nella situazione italiana.
Mancanza di laicità
Nella progressivo e lento esaurimento del partito unico dei cattolici e poi nella seconda repubblica è stata la mancanza di vera laicità che ha, a nostro giudizio, creato problemi per un rapporto leale e propositivo con problemi e situazioni emergenti nella società italiana. Facciamo un elenco: lo scontro nei confronti delle leggi sul divorzio e sull’interruzione volontaria di gravidanza (con i referendum del 1974 e del 1981), la pretesa di inserire le “radici cristiane“ nella Costituzione europea , l’ostilità ad una necessaria ed urgente legge sulla libertà religiosa, la legge n.40 e poi quelle sulle unioni civili e sul testamento biologico. Una serie di campagne, spesso intemperanti, hanno costretto i cattolici democratici ad una impegnativa azione di contraddizione con la gerarchia senza che fosse loro concesso un contradditorio serio ed una comunicazione adeguata delle loro riflessioni di segno contrario che credevano evangelicamente ispirate.
L’occasione persa con il nuovo Concordato
La grande occasione persa fu persa al momento della firma del nuovo Concordato nel 1984 con la successiva istituzione del sistema dell’ottopermille e la disciplina dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Questa modernizzazione dei rapporti Stato-Chiesa, che ha modificato solo aspetti secondari rispetto a quelli precedenti, ha consolidato il regime esistente in contraddizione esplicita col ben noto cap. 76 della Gaudium et Spes che parla della rinuncia dei privilegi da parte della comunità ecclesiale per dare sincerità alla propria testimonianza di fede. Omogenea a questa linea è stata, da parte dei vertici ecclesiastici sempre ispirati dal Card. Ruini con alle spalle papa Wojtyla, da una parte la diffidenza nei confronti delle vaste alleanze democratiche che hanno avuto i cristiani come protagonisti (anche quando esse sono riuscite ad andare al governo della nazione), dall’altra la simpatia per gli “atei devoti”, la nessuna contraddizione nei confronti dei cosidetti “movimenti” sempre mobilitati a senso unico ed infine la convergenza, neanche troppo dissimulata col centrodestra.
Una purificazione necessaria
Ai tempi di Francesco noi pensiamo che non si possa andare avanti senza “purificare” in partenza la buona volontà di fare buona politica. Bisogna guardare al passato. Altrimenti tutto viene dimenticato o giustificato, gli errori vengono coperti dal richiamo alla natura della Chiesa, sempre maestra e guida a cui si deve sempre obbedienza e rispetto, tollerando in nome della sua pretesa “sacralità” ogni cosa. Noi proponiamo che in questa nuova discussione sui cattolici in politica si discuta della nostra storia, si inizi almeno a discutere, non si faccia finta di niente, non si faccia finta di essere all’anno zero, non si considerino fastidiosi quelli che fanno domande su come gli orientamenti del passato si affermarono. E’ necessaria una vera e propria “purificazione” con tutti i conseguenti elementi di autocritica o di confessione del peccato o, come minimo, di tanto clericalismo. Ciò premesso ci permettiamo, in questo momento di disorientamento e di ricerca, di fare qualche proposta e qualche puntualizzazione.
O col Vangelo o con Salvini
La prima questione urgente, dell’oggi, riguarda l’opportunità, anzi la necessità, che si mettano subito in discussione senza “se” e senza “ma” le simpatie diffuse tra i cattolici della domenica nei confronti della politica contro i migranti che è ormai diventata legge e che sta per essere messa in pratica. L’alternativa “o si sta con Salvini o si sta col Vangelo” deve diventare senso comune nella comunicazione ecclesiale. E’ il senso comune leghista che deve essere contrastato non solo a parole con interventi per l’accoglienza che ora esistono solo a macchia di leopardo nelle nostre comunità ecclesiali. Quei vescovi e quei parroci che tacciono sappiano che invece devono parlare. La laicità che vogliamo non è quella di fare finta di niente in ragione del rispetto dell’autonomia delle istituzioni. Al contrario ci sembra che si debba considerare concretamente la possibilità di predicare e di praticare anche la “disobbedienza costituzionale” e l’obiezione di coscienza di fronte alla attuale politica sui migranti.
La ricchezza dell’attuale presenza sociale
La seconda questione, positiva, è che, in questo momento difficile per la nostra società, minoranze attive sono protagoniste dei principali interventi di contrasto alle sofferenze e di attivazione su aspetti malati del nostro vivere civile. Queste realtà sono prevalentemente, espressione di cattolici militanti. Ci riferiamo agli interventi a favore dei profughi, nei confronti delle varie dipendenze (droga, alcool, gioco d’azzardo, usura ecc..), nei confronti delle povertà vecchie e nuove, dei disabili, contro i poteri criminali, nelle organizzazioni a tutela dei diritti umani e per interventi nel terzo mondo, nel movimento per la pace e il disarmo e nella proposta della nonviolenza. Per fare alcuni nomi: Libera, S.Egidio, le Caritas, CNCA, Pax Christi.
Estendere e rafforzare gli interventi
Questi interventi, sempre molto insufficienti a coprire le necessità e a sopperire alle carenze dell’intervento pubblico, sono una ricchezza. Essi dovrebbero essere presenti in modo diffuso e generalizzato in tutte le strutture ecclesiali. Altri settori dovrebbero aggiungersi o maggiormente svilupparsi. Quello principale deve riguardare le questioni del lavoro e dell’occupazione che segnano la vita, più faticosa e difficile di prima, di una maggioranza nel nostro paese, poi quello della tutela della natura sulla scia della Laudato Si che è attualmente insufficiente, quello di promozione della condizione femminile e di contrasto alla violenza di genere, quello della condizione economica e sociale della famiglia che è anche causa della crisi della natalità e nei cui confronti l’intervento pubblico è più che debole, nonostante che le istituzioni siano state gestite nel nostro paese per decenni da cattolici dichiarati. L’educazione ai valori costituzionali dovrebbe essere pretesa per ogni ordine di scuola. La formazione all’impegno sociale e politico, nelle parrocchie e nelle associazioni, deve essere rilanciata dopo essere stata trascurata per anni. Essa può avere come primo sbocco l’impegno nella democrazia delle amministrazioni locali, terreno privilegiato da sempre dell’impegno politico di base che viene da lontano e che è stato ispirato proprio dall’insegnamento di don Sturzo. La laicità deve essere considerata e praticata come “valore” di ispirazione evangelica, lontana dalla così detta laicità “positiva” (cioè clericale) ma anche dalla cultura radicale esterna al riconoscimento della rilevanza sociale delle religioni.
No al partito cattolico
L’idea di un nuovo partito cattolico o qualcosa che gli somigli è da abbandonare così come le candidature “cattoliche” sponsorizzate dalle gerarchie o dai movimenti. L’esperienza del passato, quella della prima repubblica, non è ripetibile, la coesione politica non ci sarebbe, ci sarebbe al massimo la buona volontà di fare qualcosa. I recenti tentativi, più o meno mascherati, (quelli degli incontri dell’associazionismo a Todi nel 2011 e nel 2012) non sono neppure decollati, la simpatia per Monti e la sua lista non ha dato risultati, la presenza di tipo identitario di Comunione e Liberazione è finita senza avere dato buona prova, il consenso elettorale da tempo non è più precostituito e guarda ai fatti e alle persone, oltre che ad essere condizionato da stati emotivi. Il consenso per un nuovo partito sarebbe del tutto a rischio, non c’è il cemento ideale necessario che c’era (l’anticomunismo) e quello, eventuale, di oggi sarebbe molto debole. Si porrebbero soprattutto e giustamente problemi di laicità. Ci pare che quanto già si fa e il tanto che ancora non si fa per quanto riguarda la presenza sociale dei cattolici e, indirettamente, della Chiesa possa essere il minimo comune denominatore possibile in questa fase. Come punti di riferimento per scacciare i fantasmi e per riproporre mattoni su cui costruire ci sembrano utili sette riflessioni di Antonio Spadaro sull’ultimo numero della Civiltà Cattolica (esse si riferiscono a: paura, ordine, migrazioni, popolo, democrazia, partecipazione, lavoro) ed anche alcuni punti del discorso di Mattarella di fine anno sulla coesione sociale. Dobbiamo anche constatare che un aiuto in questa direzione lo può dare il nuovo corso dell’ ”Avvenire” che, dopo anni di troppo rigida ortodossia politica ed ecclesiastica, tratta ora tematiche con maggiore libertà ed attenzione alle situazioni concrete.
Una presenza che non ignora la geopolitica
L’ipotesi a cui pensiamo è quello di una generalizzata e forte attivazione del tessuto cattolico sulle tematiche sociali, in controtendenza con le mobilitazioni di massa, con le parole d’ordine, coi richiami identitari, e che parta dalla riflessione critica sulla storia della Chiesa e dei cattolici in politica. Essa può essere ritenuta insufficiente ma non ne vediamo altre, almeno in questa fase storica. Può essere una forte risorsa per la nostra repubblica perché ancorata nei principi e nei valori della Costituzione, testo che rimane sempre l’espressione dell’anima migliore del cattolicesimo nel suo confronto coi problemi della convivenza civile. Tuttavia questa linea non potrebbe esprimere tutte le sue potenzialità senza un attenzione militante alla situazione internazionale e ai nuovi equilibri fortemente conflittuali che si stanno determinando nella geopolitica complessiva. L’intensificazione dei conflitti, le disuguaglianze generate dalla globalizzazione a livello planetario insieme ai muri che si stanno costruendo in tante parti mentre il denaro circola del tutto liberamente e domina il mondo, il riarmo nucleare in corso (che tutti i governi italiani di prima e di ora accettano) sono tematiche centrali per l’universalismo cristiano a cui qualsiasi anche minima azione di intervento deve riferirsi. Questa sì è la costante che deve caratterizzare la presenza dei cristiani in politica.
Soggetti nuovi per un nuovo mondo possibile
Infine ci piace riprendere dal sito di Chiesadituttichiesadeipoveri una riflessione che delinea con parole intense la prospettiva generale che deve essere davanti ai cristiani e che condividiamo. “Se i problemi di oggi, come instancabilmente avverte papa Francesco, sono i popoli frantumati, la guerra mondiale nascosta, artificialmente tenuta in piedi dalla produzione e dal commercio delle armi, se i problemi sono la società dell’esclusione, l’economia che uccide, la globalizzazione dell’indifferenza, l’ideologia dello scarto di esuberi, disoccupati, anziani, profughi, migranti, la persistente disparità tra uomo e donna e quella tra cittadino e straniero, allora ci vuole ben altro che un partito cattolico. Ci vogliono soggetti politici nuovi, non identitari, non separati, non confessionali, internazionalisti e a vocazione universale, però credenti che un mondo è possibile. Non solo che un altro mondo è possibile, ma che questo mondo è possibile, lo si può raddrizzare” (News letter del 19 dicembre).
La Chiesa povera e dei poveri
La Conferenza Episcopale, che ha invitato i laici a darsi da fare, non sia più protagonista sullo scenario politico, si limiti a parlare, quando sia veramente necessario, col Vangelo nella mano destra e il giornale nella mano sinistra (per esempio sulla questione dei profughi), abbandoni qualsiasi velleità di continuare con le vecchie campagne che pretendevano di imporre un pensiero unico ai cattolici, inizi a non ostacolare più come in passato ma a favorire una legge sulla libertà religiosa che riconosca i legittimi diritti alle nuove religioni e sappia riflettere concretamente su cosa vogliono dire le parole di papa Francesco sulla chiesa povera e distante, per vocazione e testimonianza, dal Potere. La “Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri”, della allocuzione di papa Giovanni dell’11 settembre 1962 che proponeva la linea ispiratrice del Concilio deve essere il nostro costante punto di riferimento.
Roma, 17 gennaio 2019 NOI SIAMO CHIESA
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NOI SIAMO CHIESA
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