Sostenibilità: cioè?
Tra nostalgia e trappole del greenwashing
Una pennellata di verde a prodotti e servizi: una strategia di marketing di successo, che però non affronta i veri problemi dello sviluppo sostenibile. Il futuro è fatto di scelte complesse: non possiamo sfuggire rimpiangendo il passato.
di Donato Speroni su ASviS (10/1/2019).
“Nostalgia” è la parola chiave dell’editoriale di fine anno dell’Economist. Che però ha un significato diverso nelle diverse zone del mondo. Per la Cina e l’India, per esempio, rappresenta l’aspirazione baldanzosa a ritornare a un passato glorioso, quando questi grandi Paesi erano fari di civiltà.
Al contrario, nel mondo più sviluppato, la nostalgia deriva solitamente da quello che Sophia Gaston, della Henry Jackson Society, definisce ‘un onnipresente e minaccioso sentimento di declino’. Quasi due terzi dei britannici pensano che si stava meglio in passato. Una analoga percentuale di francesi non si sente a suo agio nel presente. Il World happiness report di quest’anno riferisce che gli americani sono più scontenti. Ampie minoranze nei Paesi ricchi e in quelli in via di sviluppo sono convinte che i robot e l’automazione aumenteranno le diseguaglianze e incideranno sull’occupazione. Un sondaggio su 28 Paesi, fatto nel 2017, ha indicato che più della metà dei rispondenti si aspetta una stagnazione o un peggioramento delle proprie condizioni di vita. Solo il 15% dei giapponesi pensa che i figli staranno meglio di loro.
La nostalgia porta alla retrotopia, per usare la definizione di Zygmunt Bauman: l’illusione di ritornare al passato, annullando le sfide del presente. La scommessa dello sviluppo sostenibile è agli antipodi di questa visione: bisogna costruire consenso e fiducia su un futuro certamente diverso dal mondo di oggi, con una transizione certamente difficile, ma assicurando il benessere collettivo per tutti e prospettive positive per le future generazioni. In questo contesto, il 2019 è un anno di grandi sfide e il dossier tematico che abbiamo diffuso il 3 gennaio ne delinea le caratteristiche, con l’editoriale di Pierluigi Stefanini e l’intervista a Enrico Giovannini, rispettivamente presidente e portavoce dell’ASviS, sulle prospettive generali, e una serie di articoli sulla situazione italiana in ciascun asse che raggruppa gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
In questi anni abbiamo assistito a un fenomeno positivo, ma anche preoccupante: la crescita dell’attenzione alla sostenibilità e a tutto quanto viene genericamente definito “verde”, con un crescente rischio di greenwashing cioè dell’idea che una pennellata verde su prodotti e servizi li renda più accettabili ai consumatori. Il fenomeno è particolarmente significativo nel mondo della finanza. Su Plus24, il settimanale del Sole24 Ore, Vitaliano D’Angerio ha scritto:
La parola sostenibilità è come il tocco di re Mida: ogni prodotto finanziario che contiene questa parola (o sinonimo) nel 2019 si trasformerà in oro. È proprio così? Nel mondo della finanza responsabile anglosassone c’è un’altra parola che indica i casi in cui il risparmiatore/investitore viene ingannato. Da Wikipedia: ‘greenwashing indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzate a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale’.
L’articolista fa il caso dei Millennials, che più di altri dovrebbero preoccuparsi che i propri fondi pensionistici non investano, per esempio, in miniere di carbone pur proclamandosi “verdi” e contribuendo invece a farli vivere in un mondo futuro funestato da maggiori cambiamenti climatici; auspica che Commissione e Parlamento europeo, unitamente al Consiglio d’Europa, riescano ad emanare prima delle elezioni un provvedimento che definisca con precisione che cosa è la finanza sostenibile, “altrimenti ci sarà sempre qualcuno più furbamente verde degli altri”.
Analogamente Flavia Micilotta, executive director di Eurosif, l’organizzazione che si occupa di responsible investing, segnala il rischio di useless lip service, inutile bla bla su questo tema. Cita in particolare un esempio tratto da un articolo di Joseph Mariathasan: la campagna della società Iceland che produce alimenti congelati, per annunciare l’eliminazione dell’olio di palma dai suoi prodotti, “per salvare i 25 orangutan che ogni giorno perdiamo a causa dell’estendersi delle coltivazioni intensive”. Ha avuto un grande successo, con 65 milioni di visualizzazioni sui social è stata tra le iniziative di comunicazione più viste nel periodo prenatalizio. In realtà, spiega Mariathasan citando le Ong Global Canopy e Greenpeace, anche l’olio di palma può essere prodotto senza distruggere le foreste tropicali; anzi, la produzione di altri tipi di olio alimentare può richiedere estensioni di terreno cinque volte più elevate per ottenere la stessa quantità di prodotto.
Attenzione dunque agli slogan, perché bisogna guardare alla sostanza dei problemi. Scrive ancora Micilotta:
Per gli investitori questo significa sostanzialmente impegnarsi a capire i temi affrontati dalle società che si scelgono. Gli investitori devono approfondire la loro conoscenza della sostenibilità e dei temi correlati per rendersi conto se le società sono davvero serie del loro operare in questo campo. Questo non vuol dire soltanto sviluppare nuove metriche o nuovi indicatori, ma anche capire le sinergie e le interazioni multidimensionali che hanno impatti diversificati anche in base alle situazioe geografiche.
La riflessione non riguarda soltanto la finanza perché possiamo estenderla anche all’economia reale e ai nostri stessi comportamenti. La sostenibilità è un processo complesso e non possiamo lavarci la coscienza limitandoci a qualche atto “sostenibile” senza capire che un intero sistema di vita è messo in discussione. L’esempio classico a questo proposito è quello della riconversione all’energia pulita per combattere il cambiamento climatico. In Italia possiamo riconvertire totalmente i nostri impianti (ne siamo ben lontano, è solo un esempio), ma se non aiuteremo i Paesi di sviluppo, dove maggiormente crescerà la domanda di energia nei prossimi anni, a utilizzare combustibili meno inquinanti e tecnologie energy saving, i nostri sforzi avranno ben poco effetto.
Problemi complessi, sfide difficili alle quali si può rispondere negandole e tuffandosi nella nostalgia del passato, come segnala l’Economist. Noi invece preferiamo affrontare il futuro valutando tutte le reali implicazioni dello sviluppo sostenibile, con un grande e faticoso sforzo di conoscenza. Le interazioni tra i 17 Obiettivi per ottenere i migliori risultati in termini di benessere collettivo sono uno dei temi ai quali intendiamo dedicare grande attenzione in questo anno. Per non cadere, appunto, nelle trappole del greenwashing.
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