Addio Marcello

luttomarcello-angiusE’ morto questa notte il nostro caro amico Marcello Angius. Il decesso è avvenuto in un ospedale cittadino dove era ricoverato per complicanze di una grave malattia, da tempo insorta, ma che era riuscito con tenacia e coraggio a tenere sotto controllo fino a poco tempo fa. Illustre clinico, ha percorso un’encomiabile carriera ospedaliera divenendo nel giugno 2008 – e fino alla pensione – Direttore del Laboratorio dell’Azienda Ospedaliera Brotzu di Cagliari.
Di Marcello ricordiamo in questo momento soprattutto gli anni della nostra amicizia giovanile, fatta anche di comune impegno sociale e culturale nell’associazionismo cattolico e oltre: sono quelle le esperienze vitali che permangono nel tempo e che riaffiorano con tutta la loro carica emotiva, riannodandosi come per incanto, nel rincontrarsi anche quando per lunghi periodi ci si perde di vista. Come appunto è capitato di recente con Marcello. Sicuramente quelle esperienze – certo insieme a tante altre – si ripresentano nella mente e nel cuore come vive e consolatorie, anche se in questo frangente avvolte da una tristezza infinita, perché contrastano la cruda realtà della morte, prolungandosi oltre la nostra vita. Alla moglie Graziella, ai figli, alla famiglia tutta e agli amici, porgiamo le nostre condoglianze con sentimenti di affettuosa vicinanza (Franco Meloni).
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L’avevo perso di vista, ma non dimenticato. Ogni tanto riappariva, ed era sempre lo stesso amico di quando pensavamo che il tempo non trascorresse; o almeno che girasse intorno, così da riportarci sempre allo stesso luogo, allo stesso istante di quel tempo magico che sembrava non dovesse aver fine.
Anche Marcello è andato via, la pattuglia si assottiglia. Eppure abbiamo camminato insieme lungo valli alpine, è questo uno dei ricordi che riaffiorano, alla ricerca del silenzio, lungo sentieri che immancabilmente portavano ad un rifugio.
Anche Marcello compariva nella lista dei reduci invitati alla proiezione delle immagini che evocano quei ricordi di montagne e di città, che non so neppure perché lo facciamo, sembra quasi l’adempimento di un dovere.
La verità è che da quelle esperienze non possiamo prescindere, almeno non posso, perché come dice Capanna, erano anni formidabili.
C’è stata una porzione di tempo, lunga quanto i nostri sogni, davvero esaltante. Proprio nel 68 (anno magico che sempre riaffiora) quando assieme a Marcello, che per anni ha fatto parte del comitato di redazione di “Gulp”, Antonello Demurtas, a Francesco Toccafondi ed a Francesco Zilio, in celu siat, ci siamo buttati nell’impresa di girare un documentario sui mali della scuola scegliendo, come banco di prova, il liceo Dettori. [segue]
Marcello, di preferenza, indossava la giacca. Così siamo andati all’assalto di quella cittadella governata dal terribile Pampurio, tale era la sua fama. Ancora mi chiedo come abbia potuto permettere l’accesso quasi incondizionato alla scuola a cinque giovanissimi ragazzi che già cominciavano a manifestare propensione per la protesta, che hanno potuto scorrazzare per le classi, entrare in aula ed intervistare i docenti durante l’ora di lezione, porre domande maligne allo stesso preside… A distanza di tempo, riascoltando ora le risposte del preside, apprezzo ancor di più il valore del docente e della persona.
Fatto sta che con Marcello e con gli altri abbiamo vissuto un’eccezionale esperienza. Antonello, nel ruolo di intervistatore, portava la cravatta. Marcello aveva persino messo a disposizione la cantina della sua casa, in Vico Pitzolo, dove abbiamo realizzato il montaggio del film “Dove va la scuola?”, naturalmente una produzione della “Gulp cinematografica”.
Non so più quanti giorni e quante notti abbiamo trascorso in quella cantina. Tra forbici e colla, è stato un interminabile andirivieni alla ricerca della sincronia, tutta manuale, tra la pellicola che danzava nella moviola e il nastro magnetico che correva avanti e indietro. Ricordo quanto Marcello fosse preciso e scrupoloso nel mettere assieme i pezzi.
Una notte, dopo aver terminato il lavoro di montaggio, a tarda ora, abbiamo deciso di aspettare l’alba. Mi pare che come luogo di osservazione avessimo scelto il viale Europa. L’attesa dell’alba, all’epoca, ci affascinava. Passare una notte di veglia, tra il lavoro e l’attesa, ci inebriava, ci faceva sentire inossidabili.
Non pensavamo, allora, che lo stesso orizzonte dell’alba è anche quello del tramonto. L’avremmo dovuto immaginare; ma spinti dalla foga della nostra folle corsa non abbiamo avuto il tempo di voltarci indietro. Lo facciamo adesso. Intravediamo la linea del cielo dove il sole scivolerà abbandonando tracce di vermiglio.
Provo malinconia, ma il ricordo è dolce, formidabili davvero, quegli anni.
Ciao Marcello.
(Gianni Loy)
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