Fatti non foste…

innovazione palle rotanti«Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”»

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Economia dell’apprendimento e il futuro delle società industriali

di Gianfranco Sabattini

L’apprendimento è un elemento cruciale per la crescita dell’economia e, si può dire, anche per l’organizzazione dalla società del futuro. Fino alla Rivoluzione industriale, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, gli standard di vita medi sono migliorati in misura quasi impercettibile; ciò non è accaduto dappertutto, mentre laddove il miglioramento si è verificato, esso ha riguardato, almeno inizialmente, solo una piccola minoranza. A partire dalla seconda metà del XIX secolo, un migliorato tenore di vita ha incominciato a diffondersi soprattutto nei Paesi (principalmente, europei e nord-americani) che per primi hanno sperimentato gli effetti dell’industrializzazione, sino a coinvolgere in misura crescente nel corso XX secolo anche le popolazioni di molti Paesi del Sud-Est asiatico, dove la crescita continua ancora oggi a persistere, secondo ritmi mai sperimentati durante la prima industrializzazione. [segue]
Qual è stata la fonte dei miglioramenti degli standard di vita?, E’ stata l’accumulazione di capitale o il progresso tecnico? A parere del premio Nobel Joseph Stiglitz e di Bruce Greennwald (“Creare una società dell’apprendimento”), sebbene sino alla fine della prima metà del secolo scorso, la maggior parte degli economisti riconducesse l’origine delle migliorate condizioni di vita al progresso tecnologico, è stato solo nel 1957 che l’economista Robert Solow (vincitore della John Bates Clark Medal nel 1961 e del premio Nobel per l’economia nel 1987, per i suoi contributi alla teoria della crescita economica), ha messo a punto un metodo grazie al quale è divenuto possibile identificare il contributo alla crescita economica, rispettivamente, dell’accumulazione di capitale e del progresso tecnologico; sulla base del metodo di Solow è stato dimostrato che le variazione dell’intensità di capitale nel funzionamento delle attività produttive “potevano spiegare – affermano Stglitz e Greenwald – al massimo un terzo delle variazioni dei livelli di produzione per lavoratore”; il resto era in buona parte attribuibile a varie forme di progresso tecnico.
Le difficoltà nell’individuare con sufficiente precisione la consistenza dei contributi delle diverse fonti al processo di crescita sono riconducibili al fatto che esse sono strettamente interconnesse; ciò significa che, se per migliorare la produttività di un’impresa sono necessarie nuove macchine, il cui acquisto comporta nuovi investimenti, sono pure necessari altri investimenti per disporre del know-how innovativo (conoscenza e apprendimento) utile a consentirne il funzionamento. Tale interconnessione tra i due tipi di innovazione (nuove macchine e conoscenza-apprendimento di nuovo know-how) dimostra come gli avanzamenti tecnologici e l’apprendimento del modo in cui utilizzarli abbiano “svolto un ruolo cruciale” per il conseguimento degli incrementi di produttività.
Tra le due innovazioni, quella connessa al progresso tecnologico e quella riconducibile all’apprendimento sul funzionamento delle nuove macchine, la seconda si è rivelata la più importante tra le fonti del miglioramento degli standard di vita. L’importanza dell’innovazione da apprendimento è anche dovuta alla sua natura endogena, nel senso che essa è, per lo più, l’esito di scelte assunte dagli individui, influenzati dall’ambiente economico-sociale e dalla struttura del sistema economico all’interno dei quali essi operano. Tutto ciò mette in luce – secondo Stigltz e Greenwlad – “come uno degli obiettivi della politica economica dovrebbe essere la creazione di politiche e strutture economiche in grado di potenziare sia l’apprendimento sia le ripercussioni dell’apprendimento”; ciò perché, data la sua importanza nel processo di accumulazione di capitale, è probabile che “puntare” sull’apprendimento contribuisca a innalzare gli standard di vita più di quanto sarebbe possibile attraverso il solo miglioramento tecnologico delle combinazioni produttive delle imprese, oppure con politiche di austerità, volte ad aumentare il capitale investito nelle tecnologie di produzione, a discapito dei consumi correnti.
Poiché la crescita trova nell’apprendimento la sua fonte di maggiore importanza, comprendere i meccanismi che supportano i processi che lo determinano, nonché il modo in cui l’attività politica può facilitare il loro svolgimento, quindi le forme in cui tali processi possono incidere sulla struttura del sistema sociale, diventa un capitolo ineludibile della moderna analisi economica.
A sostegno della loro analisi, Stiglitz e Greenwald affermano che a determinare gli avanzamenti delle economie moderne sono stati proprio i miglioramenti dei processi, tramite i quali le imprese in esse operanti hanno migliorato le proprie conoscenze, o meglio “hanno imparato ad imparare”. Le economie di maggior successo sono state quelle che sono riuscite, non solo a migliorare la loro produttività, ma anche “a fare in modo che lo scarto tra pratiche ‘medie’ e ’migliori’ fosse contenuto”. Non casualmente, queste economie hanno presentato una maggiore diffusione delle conoscenze e superiori livelli di apprendimento, i cui risultati sono stati in larga misura alla base della continua crescita degli standard di vita verificatisi al loro interno. A sostegno dell’economia dell’apprendimento, secondo Stiglitz e Greenwald, vi sono due aspetti del funzionamento dei sistemi economici, che la teoria economica standard ha sempre stentato ad accettare: l’inefficienza dei mercati e i loro possibili fallimenti, da un lato; il ruolo dell’intervento pubblico volto a porvi rimedio, dall’altro.
L’inefficienza dei mercati non consente una diffusione ottimale dell’apprendimento; perché ciò sia evitato occorrono specifici interventi dello Stato. La concezione tradizionale di efficienza dei mercati risale all’assunto di Adam Smith, in base al quale essa veniva spiegata attraverso la metafora della “mano invisibile”; questa, immanente ai mercati, operava in modo tale da garantire che il perseguimento dell’interesse individuale portasse necessariamente a ottimizzare quello dell’intera società.
All’inizio della seconda metà del secolo scorso, un altro famoso premio Nobel per l’economia, Kenneth Joseph Arrow, ha dimostrato la validità dell’assunto di Smith (cioè, che l’interesse egoistico di ogni operatore economico, guidato dalla mano invisibile, conduce ad una condizione di efficienza del mercato, garantendo il massimo benessere sociale), ma solo subordinatamente a determinate condizioni. Arrow ha potuto così dimostrare che, poiché alcune di queste condizioni (quali quelle di una perfetta competitività e di un’informazione uniformemente diffusa) non ricorrevano mai nel funzionamento dei mercati reali, si doveva conclusione che questi non erano efficienti.
La dimostrazione riguardo all’efficienza dei mercati compiuta da Arrow non comprendeva il fenomeno dell’innovazione, in quanto la prospettiva teorica all’interno della quale essa (la dimostrazione) è stata formulata era quella statica dell’equilibrio economico generale, escludente qualsiasi fenomeno dinamico, qual è appunto ogni innovazione che modifichi le condizioni operative del sistema economico. Quindi, proseguendo nel “solco” aperto da Arrow, è plausibile sostenere, secondo Stiglitz e Greenwald, che i mercati lasciati a sé stessi non siano efficienti, quando ricorrono processi innovativi; per cui, ai fini della costruzione di una teoria economica dei processi di apprendimento, occorre assumere che le attività di ricerca e sviluppo e quelle di apprendimento siano endogene a tale teoria.
Se le attività di ricerca e sviluppo e quelle connesse ai processi di apprendimento svolgono un ruolo insostituibile riguardo alla crescita del sistema economico e si assume che i mercati non siano efficienti rispetto alle decisioni prese in merito a quelle attività, allora le tradizionali posizioni contrarie agli interventi pubblici correttivi del funzionamento dei mercati sono errate. La produzione di conoscenza e la sua diffusione attraverso l’apprendimento comportano esternalità positive per l’intero sistema produttivo; al riguardo, però, il settore privato – affermano Stiglitz e Greenwald – “produce troppi beni che danno origine a esternalità negative”, giustificando un intervento del governo volto a sanzionare o regolamentare le attività d’impresa generano inquinamento. Allo stesso modo, il settore privato produce una quantità troppo esigua di beni che danno origine a esternalità positive, quali sono, ad esempio la produzione e la diffusione della conoscenza e dell’apprendimento; per cui, anche in questo caso, “per correggere questa distorsione del mercato, serve dunque una qualche forma di intervento governativo”.
Uno dei punti più importanti della teoria economica dei processi di apprendimento è, perciò, l’individuazione e la definizione dei contenuti delle politiche di sviluppo e delle strategie economiche che maggiormente concorrono a supportare tali processi. Una prospettiva che miri alla creazione di una società dell’apprendimento – affermano Stiglitz e Greenwald – deve “riflettere una visione delle strategie di crescita e di sviluppo per vari aspetti molto diversa da quella dell’approccio neoclassico standard”. A tal fine, è necessario creare un ambiente macroeconomico favorevole e stabile per diverse e decisive ragioni.
Innanzitutto, perché molte informazioni, così come la conoscenza dei processi, sono incorporati nelle istituzioni esistenti (quali, soprattutto, le imprese) che, in caso di alti livelli di instabilità, spesso vanno fuori mercato. In secondo luogo, perché quando le istituzioni produttive soffrono della situazione di instabilità del sistema economico, concentrano la loro attenzione prevalentemente sulla sopravvivenza, trascurando tutti gli aspetti relativi ai processi di apprendimento. In terzo luogo, perché l’incertezza spinge le attività produttive ad aumentare la loro avversione al rischio, e quando le loro aspettative sono compromesse da alti livelli di instabilità, le loro decisioni di contenimento dei costi investono soprattutto le spese destinate in ricerca e sviluppo e le innovazioni da apprendimento. Infine, alti livelli di instabilità aumentano il costo dell’accesso al credito, necessario per approfondire i processi di apprendimento. Tutte queste ragioni, sottolineano Stiglitz e Greenwald, valgono a smentire il pensiero economico tradizionale, che attribuisce alle fasi recessive del sistema economico la funzione di “purgare” l’economia, eliminando le attività produttive inefficienti e creando così le condizioni per una ripresa stabile del sistema economico.
Tuttavia, il successo delle politiche di sviluppo e delle strategie economiche che maggiormente supportano i processi di apprendimento non dipende solo dalla stabilità del sistema economico; esso va ricondotto anche ai processi di cambiamento del modo di pensare collettivo, compatibile con la formazione di sistemi politici che riconoscano i vantaggi connessi con la “creazione di una società dell’apprendimento”. Ciò significa che il successo delle politiche di sviluppo e dei processi di apprendimento deve essere supportato dalla creazione di una società i cui membri siano orientati a credere che l’istruzione e la formazione siano strumenti irrinunciabili, per la cui acquisizione si rendono necessari investimenti pubblici, incoraggiando quelli privati.
Ma il successo di una politica pubblica finalizzata a stabilizzare il sistema economico, favorendo il cambiamento del modo di pensare collettivo per supportare gli investimenti pubblici e incoraggiare quelli privati nelle innovazioni da apprendimento, è fondato sull’assunto che la crescita e lo sviluppo di una società dell’apprendimento siano socialmente inclusivi e tali da risultare orientati a rimuovere (o quantomeno a ridurre progressivamente) le disuguaglianza distributive.
La necessità che la crescita e lo sviluppo della società dell’apprendimento siano socialmente inclusivi (perché compatibili con la riduzione delle disuguaglianze) è, secondo Stiglitz e Greenwald, così importante, da trascendere le affermazioni tradizionali sul problema della sola giustizia sociale. L’inclusività, nella prospettiva della società dell’apprendimento, è la condizione che rende possibile a ciascun individuo di vivere “all’altezza delle sue capacità”; condizione, questa, che consente alla società di evitare di “sprecare la risorsa più preziosa della quale dispone”, cioè la capacità lavorativa e creativa dei suoi talenti.
Se con la creazione della società dell’apprendimento, concludono Stiglitz e Greenwald, sarà ridotta la disuguaglianza e sarà creato consenso intorno alla nuova forma di organizzazione sociale, lo scopo del settore pubblico, liberato dall’incombenza costante dei problemi distributivi, potrà essere orientato prevalentemente a correggere i fallimenti di mercato e a offrire ogni sorta di beni collettivi, utili a massimizzare la valorizzazione dei talenti individuali; i quali, attraverso la loro creatività, potranno concorrere a plasmare, non solo l’economia, ma anche la società in un senso più ampio di quello espresso dalla teoria economica standard, migliorando i livelli di vita odierni e futuri.
Che senso possono avere l’analisi e la proposta di un’organizzazione della società fondata su un’attività d’investimento pubblico e privato volto a rendere massima la valorizzazione dei talenti individuali? Se si riflette sulle difficoltà delle moderne economie industriali nel creare nuovi posti di lavoro, in presenza di un trend delle moderne economie capitalistiche a ridurre in modo crescente (anche per via dell’impiego di un continuo miglioramento delle tecnologie produttive) i livelli occupazionali, la proposta di Stiglitz e di Greenwlad sembra rispondere all’urgenza che, in prospettiva, le politiche pubbliche tradizionali siano conformi alla soluzione dei problemi sollevati dalla crescente disoccupazione strutturale irreversibile; problemi, questi, che possono essere adeguatamente affrontati da un’organizzazione sociale che lasci sempre più spazio alle attività d’investimento dirette a massimizzare il prodotto sociale, attraverso la diffusione di una continua conoscenza, favorevole alla promozione di attività produttive autodirette da parte di chi perde involontariamente il lavoro.
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