Reddito di cittadinanza

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Lo chiamano “reddito di cittadinanza” ma è un “reddito di inclusione sociale”, auspicabilmente migliorativo di quello esistente, del quale abbiamo urgente bisogno!

di Franco Meloni*

Il “reddito di cittadinanza” che ha fatto la fortuna elettorale del Movimento 5 stelle, non è di certo quel “reddito universale e incondizionato” che molti economisti a partire dal XVIII secolo ritenevano ineludibile addirittura nel breve periodo. Tra questi ricordiamo uno dei più grandi, John Maynard Keynes, che nel 1928 tenne su queste questioni agli studenti di Cambridge una memorabile lezione dal titolo “Possibilità economiche per i nostri nipoti“. Secondo Keynes ed altri, l’aumento progressivo della produttività delle attività economiche con l’inesorabile sostituzione del lavoro umano con le macchine, avrebbe comportato insieme alla diminuzione dell’orario di lavoro la necessità di garantire un reddito per i disoccupati involontari, vecchi e nuovi. Nessun problema per il relativo finanziamento che sarebbe stato assicurato dallo sviluppo stesso dell’economia. Keynes azzardò perfino che tutto si sarebbe verificato nel giro di 100 anni! E ci stiamo appunto arrivando, senza però che la previsione si sia finora avverata, se non parzialmente, richiedendosi pertanto un’ulteriore proiezione nei tempi a venire sulla base dello sviluppo sempre più impetuoso delle tecnologie. Il problema n. uno rimane quello del “finanziamento del reddito di cittadinanza”, per il quale si dovrebbe attingere in grande misura dalla fiscalità generale e in altra parte dalle risorse liberate dalla riforma del welfare. Insomma l’incertezza permane e i tempi non sembrano ancora maturi!
Più modestamente il “reddito di cittadinanza” inserito dai 5 Stelle nel “contratto di governo”, è ascrivibile alla categoria del “reddito di inclusione sociale”, che ha la finalità precipua di contrastare la povertà estrema, nella quale in Italia versano otre 5 milioni di persone, a cui si aggiungono gli oltre 9 milioni di cittadini in condizione di povertà relativa, pari al 12,3% della popolazione italiana (il 17,3% con riferimento alla popolazione sarda). L’Unione Europea ha da molto tempo invitato i paesi aderenti ad adottare forme di sostegno al reddito dei meno abbienti, nell’ottobre scorso anche attraverso una apposita risoluzione del Parlamento Europeo. In verità l’Italia si era già adeguata con un provvedimento del settembre 2017 (Governo Gentiloni), in concreta operatività dal 1° gennaio 2018. Si tratta del ReI, beneficiarie fino ad oggi 110.000 famiglie e 317.000 persone, che risultano in condizione di povertà assoluta, con un importo medio del sussidio mensile pari a poco meno di 300 euro per la generalità della platea, e a 430 euro per le famiglie con minori.
A questo punto non si capisce quale scandalo possano destare in sede nazionale ed europea gli annunciati provvedimenti del Governo, peraltro allo stato ancora sulla carta, che avrebbero come novità rispetto al ReI esistente oltre che l’adeguamento del quantum (780 euro), l’estensione della platea dei beneficiari (tutta la fascia della povertà assoluta) e uno stretto collegamento alle politiche attive sul lavoro. Per ora il Documento economico-finanziario governativo ha stabilito che le risorse dedicate ammontano a 9 miliardi + 1 per la riforma dei centri d’impiego, rinviando a una successiva legge i dettagli operativi: il reddito sarà erogato attraverso un bancomat? Saranno consentite solo alcune categorie di spese? Il reddito sarà differenziato per ogni regione o su base nazionale? E, ancora: chi ne avrà precisamente diritto? Il reddito effettivamente posseduto dovrà essere certificato dall’ISEE e un’eventuale proprietà della casa di abitazione sarà motivo di esclusione dai benefici? Varrà la precedenza per anzianità di disoccupazione? E a quanti lavori si potrà rinunciare prima di perderlo? Lavori vicini o quanto lontani da casa? Realisticamente detta legge collegata potrebbe essere approvata nei primi mesi del 2019 ma, considerata la complessità dei provvedimenti da assumere, non sarà facile trovare un accordo in sede politica. In ogni caso, per ovvie ragioni, si dovrà decidere prima delle prossime elezioni europee. Teniamoci aggiornati, ad horas!
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*Franco Meloni. Articolo pubblicato su Nuovo Cammino, dicembre 2018, periodico della Diocesi di Ales-Terralba.
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keynesChe futuro ci sarà per i nostri nipoti?
«La conclusione è che, in assenza di conflitti drammatici, o di drammatici incrementi della popolazione, fra cento anni il problema economico sarà risolto, o almeno sarà prossimo a una soluzione. […] L’uomo si troverà ad affrontare il problema più serio, e meno transitorio – come sfruttare la libertà dalle pressioni economiche, come occupare il tempo che la tecnica e gli interessi composti gli avranno regalato, come vivere in modo saggio, piacevole, e salutare. […] L’amore per il denaro, per il possesso del denaro, – da non confondere con l’amore per il denaro che serve a vivere meglio, a gustare la vita –, sarà, agli occhi di tutti, un’attitudine morbosa e repellente, una di quelle inclinazioni a metà criminali e a metà patologiche da affidare con un brivido agli specialisti di malattie mentali. […] Il passo al quale raggiungeremo questo stato di beatitudine economica dipenderà da quattro elementi: la capacità di controllare l’aumento della popolazione, la determinazione nell’evitare guerre e tensioni sociali, la disponibilità ad affidare alla scienza il governo di ciò che propriamente le compete, e il tasso di accumulazione fissato nel margine fra produzione e consumo […]. Nel frattempo, sarà bene prepararci al nostro destino, e sperimentare – nell’arte, nella vita, e nelle attività utili». (tratto da Possibilità economiche per i nostri nipoti, seguito da Guido Rossi, Possibilità economiche per i nostri nipoti?, Adelphi, 2009). John Maynard Keynes

LA RILETTURA

William Barber nella Storia del pensiero economico (Feltrinelli) ha asserito che «i progressi più significativi del pensiero economico del XX secolo sono legati al nome e all’opera di John Maynard Keynes».
Keynes (1883-1946) è noto principalmente per aver scritto la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936), in cui ha propugnato un tipo di politica economica che, soprattutto nei periodi di crisi e di forte disoccupazione, stimoli la domanda attraverso l’ampliamento della spesa pubblica e gli investimenti produttivi. Non avendo eccessiva fiducia nelle capacità di autoregolamentazione del libero mercato, Keynes ha sostenuto che lo Stato deve controllare l’andamento dell’economia, senza per questo mettere in discussione i fondamenti del sistema capitalistico. L’economista inglese è stato il più illustre sostenitore del New Deal, l’insieme di riforme economico-sociali varate dal presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt, che ha costituito la controprova della giustezza delle sue teorie.
Keynes, però, non è stato solo un eccellente economista. Amico di Bertrand Russell e di David Herbert Lawrence, egli ha manifestato grande interesse anche per l’arte, la filosofia, la scienza e la letteratura, come testimoniano il saggio My Early Beliefs (1938) e l’articolo Bernard Shaw and Isaac Newton, scritto poco prima di morire.

Un mondo libero dal lavoro – Il brano sopra riportato è tratto da un breve opuscolo pubblicato da Keynes nel 1930, che, a sua volta, riproduce una relazione che lo studioso britannico tenne nel 1928 prima agli studenti del Winchester College, poi a quelli dell’Università di Cambridge. Anche se affronta tematiche di carattere economico, Keynes ci appare sotto una veste assolutamente inedita e sorprendente: non più il ferrato e acuto analista di questioni macroeconomiche, ma un insospettabile pensatore “utopico”, per certi versi “postmoderno”. Similmente a quanto sostenuto da Thomas More in Utopia (1515), Paul Lafargue ne Il diritto all’ozio (1887) e Bertrand Russell in Elogio dell’ozio (1935), Keynes, infatti, auspica in futuro la cessazione del sistema di vita basato sulla produttività frenetica e l’accumulazione di denaro fine a se stessa, vagheggiando un mondo ormai libero dalle incombenze del lavoro, nel quale gli individui possano dedicarsi ad «attività utili» per rinfrancare lo spirito (come la cultura e lo sport). Egli mette in relazione questa sorta di “paradiso terrestre” allo sviluppo delle forze produttive e della tecnologia, anche se è pienamente consapevole che solo alcune condizioni storico-politiche particolarmente favorevoli potranno consentire il raggiungimento della «beatitudine economica». Si tratta, però, di presupposti di non poco conto…

Quattro indispensabili condizioni – Affinché l’umanità riduca al minimo i suoi oneri lavorativi e massimizzi il tempo libero a sua disposizione, si devono adempiere quattro indispensabili condizioni: «[…] la capacità di controllare l’aumento della popolazione, la determinazione nell’evitare guerre e tensioni sociali, la disponibilità ad affidare alla scienza il governo di ciò che propriamente le compete, e il tasso di accumulazione fissato nel margine fra produzione e consumo». È necessario, pertanto, che nasca una sorta di governo mondiale, il quale ponga razionalmente dei limiti alla crescita demografica, risolva pacificamente le controversie fra gli stati, lasci spazio alla libertà della ricerca scientifica e contrasti le speculazioni finanziarie. Esattamente l’opposto di quello che è avvenuto da un secolo a questa parte! Il difetto principale dell’analisi di Keynes consiste nel fatto che essa non tiene nella dovuta considerazione – come nota Guido Rossi in Possibilità economiche per i nostri nipoti? – la questione della distribuzione delle risorse, che mai è risultata equa, generando così povertà e sottosviluppo.

Spostare l’economia dal capitale al lavoro – Perché, agli albori della crisi più grave del XX secolo, il maggior economista del mondo si rifugia in vagheggiamenti ottimistici sul futuro? A causa, forse, della residua mentalità positivista che, nonostante lo shock della Grande Guerra, ancora sopravviveva in lui. Tuttavia può anche darsi che la spiegazione sia un’altra: Keynes non sta avanzando una previsione scientifica, ma sta semplicemente formulando un’ipotesi, augurandosi che, tenuto conto delle possibilità insite nello sviluppo tecnologico, l’umanità possa prima o poi pervenire «oltre il tunnel della necessità economica». Ai primordi del Nuovo millennio le riflessioni del Keynes “filosofo” ci sembrano non solo suggestive, ma anche attuali. Un “altro mondo”, infatti, forse è ancora possibile, senza più i condizionamenti del produttivismo sfrenato, delle banche, delle borse e delle speculazioni finanziarie che periodicamente sconvolgono l’economia internazionale. La grave crisi che oggi attanaglia il sistema capitalistico mondiale impone nuove ricette economiche, che dovranno tener conto degli insegnamenti keynesiani, integrandoli con una distribuzione più equa delle risorse e il controllo razionale dello sviluppo globale, diventato nel frattempo “insostenibile”. Occorre un cambiamento di prospettiva che, come sostiene ancora Guido Rossi, permetta di «spostare il centro dell’economia dal capitale al lavoro». Se si vorrà salvare il mondo da un disastro annunciato e garantire il futuro ai nostri nipoti, i governi dovranno pensare ai bisogni della gente anziché ai profitti delle “avide” aziende multinazionali!

L’immagine: foto di John Maynard Keynes.

Giuseppe Licandro

Fonte: Lucidamente, anno V, n. 50, febbraio 2010 .

One Response to Reddito di cittadinanza

  1. […] per il ReI (Reddito di inclusione sociale), di cui il Rdc costituisce di fatto una continuità. Come abbiamo sostenuto in ogni occasione su Aladinews, in effetti il Reddito di cittadinanza di cui al provvedimento governativo non ha nulla a che […]

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