Risolleviamo la bandiera dell’Europa
ITALIA-EUROPA. verso la sfida finale
di Roberta Carlini, su Rocca
Il governo del cambiamento, dopo mesi di tante parole e pochi fatti, ci porta il primo vero cambiamento. La complicata e cervellotica macchina messa in piedi dai costituenti europei per garantire la stabilità finanziaria degli Stati viene per la prima volta avviata. L’eurogruppo ha appena girato la chiavetta dell’accensione, e i tempi sono più lenti di quelli di un diesel d’annata. Ma la sostanza è chiara: il Paese che non si adegua alle prescrizioni europee – l’Italia, il primo nella storia – sarà punito con multe e nuove prescrizioni. A prima vista, la ricetta è bizzarra: per punire un Paese che spende troppo rispetto a quanto incassa (questo è, alla fin fine, il cuore del problema), lo si costringe a spendere di più, stavolta per pagare le multe. Come punire un bambino che ha mangiato troppa cioccolata con un vassoio di profiteroles.
Come abbiamo cercato di argomentare nel precedente articolo su Rocca, la Commissione europea ha i suoi buoni motivi per essere preoccupata e anche per intervenire in materia di conti pubblici italiani. Condividiamo con gli altri Paesi dell’eurogruppo la moneta e la banca centrale, dunque la stabilità dell’Italia – che ha un peso specifico importantissimo nell’economia dell’Unione – è essenziale. Non c’è motivo per gridare alla lesa sovranità, finché siamo dentro alla moneta e ai patti, e l’attuale governo, nonostante le ambiguità che si sono viste e sentite in campagna elettorale, ha scritto nero su bianco di non volere una Italexit. Anche nel merito, le perplessità (per usare un eufemismo) dell’eurogruppo sono fondate: la manovra del governo italiano ha come obiettivo la crescita economica, ma le sue misure sono assolutamente inadatte a stimolarla, poiché sono dirette a trasferimenti correnti a specifiche fasce sociali, e non a investimenti capaci di rilanciare l’economia.
A questo quadro generale si aggiungono due aggravanti non da poco, ossia il fatto che le stesse previsioni sono basate su dati già superati dai fatti, poiché l’economia reale è entrata in una fase di forte rallentamento e la spesa per interessi è lievitata per colpa dello spread; e il fatto che le misure principali della manovra (reddito di cittadinanza e quota 100) sono vaghe, di incerta o difficile attuazione, ancora non si sa esattamente quando entreranno in vigore e per chi. Dunque, nessuno sconto sul merito per una manovra che non è espansiva, che sicuramente aumenta i debiti dello Stato cioè di tutti noi, e che ha come unico obiettivo il mantenimento del consenso elettorale dei due partiti al governo in vista della prossima tornata elettorale, europea e amministrativa.
i duellanti
Il fatto che l’Italia stia meritatamente dietro la lavagna degli indisciplinati non giustifica però, di per sé, l’insipienza dei professori. Ossia i dirigenti dell’Unione che, applicando le regole scritte a Maastricht e nelle revisioni successive dei patti, si avviano a comminare al nostro Paese la più alta delle pene. Le procedure di infrazione prevedono infatti due possibili esiti: che siano comminate salate multe, da pagare a carico del bilancio pubblico; e/o che l’Italia sia obbligata a fare manovre più drastiche, di portata enorme, per ridurre progressivamente il suo debito. Non è una novità né un imprevisto, dato che a questo esito si è andati, passo dopo passo, dalla campagna elettorale alla formazione del governo alla scrittura della manovra: deliberatamente fatta per sfidare l’Europa e addebitare alle sue rigidità ogni colpa, compresa quella di non riuscire, di fatto, a mettere in atto la manovra stessa. Questo il disegno politico di Salvini e Di Maio, chiarissimo. Ma anche l’Unione ha una sua strategia politica, quella di non consentire sconti all’Italia, per dare a tutti il buon esempio, tanto più alla vigilia della campagna elettorale. Come previsto da tutti e due gli schieramenti, i due sfidanti a duello si apprestano alla fase finale, decisiva, nella quale potrebbero però perire – politicamente – entrambi.
senza un «piano B»
Il duellante più debole è senza dubbio il nostro Paese. Non ha un «piano B», a meno che non venga tirato sciaguratamente fuori dal cassetto quello del ministro Savona, per un’uscita dall’euro nell’arco di un week end; speriamo che non succeda, visto che il nostro Paese, che dipende in larga parte dalle esportazioni di merci e dall’ingresso di capitali, avrebbe tutto da perdere da un ritorno alla moneta nazionale, e in particolare avrebbero da perdere le classi più deboli e precarie della società. Non solo. Non abbiamo alleati, poiché gli stessi governi a guida «sovranista» tanto cari a Salvini si sono su- bito messi alla guida del fronte rigorista, e non hanno alcuna intenzione di fare sconti all’Italia. Inoltre – cosa più importante – i mercati sono e restano aperti, cosa che ha già comportato la fuga dai titoli del debito pubblico italiano di quasi 70 miliardi di euro prima acquistati dall’estero. Un Paese che deve cercare, solo per il 2019, 260 miliardi sul mercato dei capitali, non può permettersi di perdere la fiducia né dei fondi esteri né dei propri cittadini. E invece questo è già successo, come le ultime aste dei titoli pubblici hanno dimostrato.
la solitudine dell’Italia
L’altro duellante, la Commissione, ha trovato nella battaglia sull’Italia una nuova coesione. In via generale la leadership europea si presenta alle prossime elezioni molto ammaccata, con i partiti nazionalisti in crescita un po’ ovunque e la mancanza di personalità in grado di incarnare e trasmettere l’ideale dell’Europa unita. Divisa sul problema dell’immigrazione, lentissima sull’unione bancaria, inesistente in politica estera, lontana da una riforma del bilancio, inefficace sulla crisi ambientale, l’Unione si presenta senza altra identità se non quella di difendere se stessa; paradossalmente i guai italiani possono aiutare, nel breve periodo, a darsi una funzione, che è ancora e sempre quella di guardiano del rigore fiscale. Ma non può bastare per sanare la frattura sociale in Europa, semmai può succedere che si trasformi in tante fratture nazionali.
Per tutto il suo cammino l’Europa ha puntato sulla politica dei piccoli passi, nella certezza che ogni passo avrebbe reso più facile quello successivo e avvicinato la meta finale dell’unione politica. Adesso, mentre i passi sono tutti all’indietro, sarebbe il momento di un balzo in avanti, con una reale democratizzazione dell’Unione europea; che però è impossibile a farsi se nessuno ci crede, nessun partito ne fa una bandiera, e quelli che lo fanno ci scrivono sopra solo le pagelle e le punizioni dell’Europa, e non i benefici, sia monetari che politici, che in tutti questi anni i suoi popoli hanno avuto dal processo di unificazione. Le grandi sfide che abbiamo di fronte sono tutte senza frontiere: quella economica, quella ambientale dovuta al cambiamento climatico, quella dell’immigrazione. Pensare di affrontarle ricostruendo i confini è più di un semplice errore: è una colpa grave, della quale i nostri figli e nipoti non ci perdoneranno.
[…] verso la sfida finale di Roberta Carlini, su Rocca, ripreso da AladinewsEditoriali. […]