Reddito di Cittadinanza: si parta dal ReI (Reddito di Inclusione sociale)

mese-diritti-2018
lampadadialadmicromicroNell’ambito del Mese dei diritti umani (10 novembre – 10 dicembre 2018) venerdì 30 novembre p.v. si terrà un Incontro-dibattito sul tema delle misure di contrasto alla povertà, che nel dibattito politico odierno e nell’iniziativa governativa (soprattutto per impulso del M5S) vede proporsi lo strumento del “Reddito di Cittadinanza”. L’iniziativa – che si pone in continuità a quella organizzata da CoStat-Anpi-Amici sardi della cittadella di Assisi-Assotzius Consumadoris Sardigna il 19 ottobre, con nuove ulteriori adesioni – mira a appoggiare il Reddito di Cittadinanza, in continuità con l’attuale strumento del ReI (Reddito di Inclusione sociale). Si sostiene cioè che non si può buttare a mare un’esperienza recente e tutto sommato positiva, quella del ReI, ritenendo necessario migliorarla in qualità e nell’aumento della platea dei beneficiari, fino a coprire almeno la totalità dei cittadini che versano in condizioni di povertà assoluta (oltre 5 milioni di persone). E’ per questa ragione che abbiamo appoggiato il documento dell’Alleanza contro la povertà in Italia, che esprime con chiarezza tale impostazione. Al riguardo riportiamo di seguito un intervento del prof. Cristiano Gori, ideatore e responsabile scientifico dell’Alleanza contro la povertà in Italia, che sintetizza i “principali punti di attenzione per l’attuazione del Reddito di Cittadinanza, a partire dalla capitalizzazione dei saperi e delle esperienze pregresse” del ReI.
logo_alleanza_sitoReddito di Cittadinanza: le principali questioni poste dall’Alleanza contro la povertà
welforum-it
di Cristiano Gori | 30 ottobre 2018
Una novità per l’Italia
L’assistenza – che serve ad assicurare uno standard di vita minimo ai poveri ed a sostenerli in percorsi di inclusione sociale e/o lavorativa – è storicamente la cenerentola del nostro welfare, la cui spesa complessiva si colloca intorno alla media europea. L’anomalia risiede invece nella distribuzione, poiché si attribuiscono risorse a molteplici gruppi sociali trascurando sistematicamente i poveri. Non a caso siamo stati, insieme alla Grecia, l’ultimo Paese europeo a adottare – nel dicembre 2017 – un intervento nazionale di contrasto alla povertà, il Reddito d’Inclusione (Rei), peraltro ancora parziale e insufficiente.
Le tante facce della lotta alla povertà
La priorità positivamente assegnata ai poveri richiede politiche opportunamente disegnate, indirizzate a chi – in Italia 5 milioni di persone – è in povertà assoluta, cioè senza le risorse necessarie a garantirsi la sussistenza. Il loro principale obiettivo consiste nel fronteggiare la povertà nelle sue molteplici dimensioni (economiche, relazionali, familiari, lavorative, psicologiche, abitative ed altre). Benché oggi si insista molto in proposito, incrementare direttamente l’occupazione degli utenti rappresenta uno dei fini e non certo l’unico. Sovente si rafforzano progressivamente le competenze dei beneficiari a bassa occupabilità, ma solo in alcuni casi si può (re)introdurli nel lavoro. A livello internazionale, si registra un esito positivo quando 1/3 degli utenti trova un impiego, 1/3 risolve problemi di varia natura e costruisce nuove condizioni per migliorare la propria vita, 1/3 riesce almeno a vivere decentemente. La realtà dei poveri e del mercato del lavoro italiano suggerisce che un simile risultato sarebbe ottimo per il nostro Paese. L’impressione è che la definizione degli obiettivi, e il ruolo dell’inserimento occupazionale tra questi, rappresenti lo snodo principale su cui si giocherà il destino del RdC.
La riforma della riforma
Il Rei è stato introdotto meno di un anno fa avviando una riforma ampia e composita, la cui attuazione sta richiedendo notevoli sforzi a tutti i soggetti del welfare locale coinvolti. Modificarne strutturalmente l’impianto significherebbe costringerli – con gran dispendio di tempo ed energie – ad un’ulteriore mole di cambiamenti e adattamenti, che li distoglierebbe proprio dall’obiettivo di offrire risposte adeguate ai poveri. Si ripeterebbe così l’errore commesso tante volte in passato, quando i nuovi Governi hanno stravolto riforme varate dai predecessori al fine di marcare la propria diversità. Questa diffusa mancanza di stabilità nei percorsi d’innovazione è stata una causa decisiva dei numerosi fallimenti incontrati nei tentativi di modernizzare le politiche pubbliche italiane.
Una giusta risposta ad ogni povero
Come procedere, dunque, nella costruzione del RdC? L’Alleanza contro la Povertà propone di partire dal Rei senza stravolgerne l’impianto complessivo, migliorandolo e estendendolo per arrivare a fornire le risposte necessarie a chiunque si trovi in povertà assoluta. In tal modo non si disperderebbero gli sforzi compiuti sinora e si raggiungerebbe un risultato – una misura capace di dare una giusta risposta ad ogni povero – insperabile con i precedenti Governi.
Molteplici sono le azioni da compiere. Innanzitutto, assicurare il diritto alla misura a tutti i 5 milioni di poveri, rispetto ai 2,5 attuali. Poi elevare i contributi economici affinché permettano di colmare la distanza tra la soglia di povertà e il reddito disponibile delle famiglie; ciò richiederebbe un importo medio mensile di 396 Euro.Vari anche gli interventi necessari per i Comuni, cominciando dalla diffusione di progetti che consentano agli utenti temporaneamente non occupabili di impegnarsi in attività utili alla collettività, ad esempio in ambito ambientale, culturale e sociale.
Il ruolo dei Centri per l’Impiego
I Centri per l’Impiego (CpI) sono oggi responsabili dell’inserimento lavorativo per gli utenti del Rei.
Tuttavia, gli investimenti statali dedicati a questa misura li hanno sinora trascurati, concentrandosi sul potenziamento dei servizi sociali comunali. L’annunciato rafforzamento dei CpI è, dunque, assai positivo. Il punto è seguire anche qui una logica che parta dall’impianto esistente, ne individui le lacune ed agisca per superarle.
Diverso sarebbe se i CpI sostituissero i Comuni nel coordinamento complessivo della misura, ribaltandone l’impostazione; secondo alcune ipotesi, i Centri diventerebbero gli unici interlocutori degli utenti marginalizzando i servizi sociali comunali. Solo questi, tuttavia, detengono le competenze necessarie a affrontare la multidimensionalità della povertà. Inoltre, almeno nell’immediato, si presenterebbe il rischio del caos organizzativo dato che il rafforzamento dei CpI, strutturalmente deboli, richiederà tempo. Nondimeno, si ridurrebbe paradossalmente la possibilità di elaborare efficaci percorsi d’inclusione lavorativa poiché l’attività di coordinamento assorbirebbe ai CpI molte forze, distogliendoli inevitabilmente da questo obiettivo.
Il nodo dei finanziamenti
Benchè un incremento degli stanziamenti sia necessario sin dal prossimo anno, è sconsigliabile portarlo subito – anche se fossero disponibili – ai circa 5,8 miliardi annui aggiuntivi necessari per rispondere adeguatamente a tutti i poveri. Il RdC, qualunque sarà la sua forma definitiva, si basa su un mix di contributi economici e progetti personalizzati costruiti dai servizi territoriali, innanzitutto Comuni e CpI; entrambi però non sarebbero in grado, in così breve tempo, di elaborare progetti per tutta la popolazione target. Pertanto, rivolgersi già nel 2019 ad ogni povero produrrebbe confusione e/o svilimento del RdC a puro contributo economico, danneggiandone oltretutto la credibilità. L’imminente Legge di bilancio dovrebbe prevedere che – al massimo entro un triennio – il Rdc sia dotato stabilmente di tutte le risorse necessarie, mentre l’utenza andrebbe progressivamente ampliata a partire del 2019.
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Cristiano Gori, ideatore e responsabile scientifico dell’Alleanza contro la povertà in Italia, sintetizza i principali punti di attenzione per l’attuazione del Reddito di Cittadinanza, a partire dalla capitalizzazione dei saperi e delle esperienze pregresse.
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