Chiesa
Una Chiesa (un po’) più giovane
29 Ottobre 2018
di Stefano Biancu su Meic.
Il 27 ottobre scorso si è concluso il Sinodo “dei” giovani ed è dunque stato reso pubblico il documento finale. Si tratta di un testo votato dai vescovi punto per punto e a partire dal quale il papa imposterà la propria esortazione apostolica post-sinodale. [segue]
Si tratta dunque di un documento intermedio e di servizio, eppure – se si intende prendere sul serio la dimensione sinodale della Chiesa – non si tratta di un documento senza importanza. Vescovi ed esperti di tutto il mondo hanno lavorato per un mese intero, a partire da uno strumento di lavoro che era stato stilato sulla base di una consultazione ampia delle chiese locali e del popolo di Dio: non si tratta dunque del frutto del lavoro di pochi funzionari romani, ma dell’esito di un lavoro ecclesiale ampio e partecipativo. Che cosa dunque dice questo documento, non conclusivo eppure non insignificante?
Il testo è strutturato in tre parti, ispirate all’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus (Lc 24). La prima parte «cerca di illuminare ciò che i Padri sinodali hanno riconosciuto del contesto in cui i giovani sono inseriti»: si tratta di un ascolto delle domande e delle attese che giungono dalle giovani generazioni. La seconda parte è «interpretativa e fornisce alcune chiavi di lettura fondamentali» del tema sinodale. La terza parte raccoglie «le scelte per una conversione spirituale, pastorale e missionaria», ovvero le risposte che i vescovi hanno ritenuto possibile e opportuno dare alle domande e alle esigenze dei giovani, ascoltate e interpretate alla luce della fede.
Molte sono le questioni affrontate e altrettante le risposte tentate. Su tutte il documento – a differenza di quanto accaduto negli ultimi due sinodi dedicati alla famiglia – è stato approvato dalla maggioranza dei due terzi dei vescovi. Comprensibilmente, i punti che hanno raccolto meno consenso sono quelli che toccano questioni sulle quali il dibattito ecclesiale è più intenso e anche più duro: sinodalità della Chiesa, ruolo delle donne, omosessualità. Ma anche su questi temi – è importante sottolinearlo – si è avuta la richiesta maggioranza dei due terzi e il documento è stato dunque approvato per intero.
Va dato atto al Sinodo di aver avuto il coraggio di confrontarsi con questioni non semplici e non scontate: il ruolo e la pluralità delle culture, le migrazioni, gli abusi, le difficoltà legate alla vita familiare e alla paternità e alla maternità, la corporeità e l’affettività, l’orientamento sessuale e l’omosessualità, il mondo del lavoro e la cultura dello scarto, le difficoltà che i giovani hanno verso la Chiesa e la vita liturgica, il ruolo delle donne, il necessario e difficile passaggio all’età adulta, la realtà dei “single”, il primato della coscienza e la necessità di formare coscienze adulte e mature, l’esercizio e la maturazione di una capacità di discernimento, la struttura sinodale e missionaria della Chiesa.
Se il sinodo non ha avuto paura di mettere mano a questioni complicate, un’ulteriore – e legittima – domanda è se il documento finale sia all’altezza delle aspettative. Si tratta di una domanda che merita riflessione e alla quale è forse troppo presto per rispondere. Ma qualcosa la si può già dire.
Spesso la parte del documento relativa all’ascolto delle domande è più schietta rispetto alla parte in cui si tentano delle riposte: questo è certamente un limite, ma si tratta di un fatto che lascia ben sperare. Impostare bene le domande è già un modo per rispondere: la scelta di non mettere la testa sotto la sabbia porterà senz’altro – nel tempo – buone conseguenze. Non sarà più possibile, da oggi in poi, ignorare quelle domande o tacciare di eresia o di sovversione chi cerca di farsene carico. Mi pare questo il senso delle parole che il Papa ha pronunciato nell’omelia della celebrazione conclusiva del Sinodo: “Vorrei dire ai giovani, a nome di tutti noi adulti: scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto; se, anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie”.
Anche il fatto di ritrovare nel clericalismo la radice di tanti mali nella Chiesa lascia ben sperare: il fatto, per esempio, che gli abusi siano ricondotti non tanto a forme di perversione sessuale individuale, quanto a uno strutturale e ampio problema di esercizio del potere (e a una comprensione del servizio in termini di potere), non costituisce un fatto di poco conto. Per dirla con le categorie care a papa Francesco, non si tratta solo di peccati di singoli, ma di una struttura di corruzione che favorisce quei “peccati” in quanto non li riconosce come tali.
Anche la questione dell’omosessualità non ha forse ricevuto tutte le risposte che ci si poteva aspettare, ma è stata impostata bene: il battezzato o la battezzata che abbiano un orientamento omosessuale, sono battezzati come tutti gli altri, e meritano l’accompagnamento che si riserva a chiunque nella Chiesa.
Se dunque in alcuni passaggi sembra essere mancato lo slancio nelle risposte, non è però mancato il coraggio delle domande. Domande che da oggi trovano cittadinanza piena nella Chiesa, contribuendo a renderla un po’ più giovane e più fedele a se stessa.
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