Presentato oggi il Rapporto Caritas Italiana 20188

DOCUMENTAZIONE primo_piano_rapporto_poverta17 ottobre 2018 | Giornata mondiale di lotta contro la povertà POVERTÀ IN ATTESA
Rapporto Caritas Italiana 2018 su povertà e politiche di contrasto

Il volume “Povertà in Attesa” di Caritas Italiana si compone di due parti, il diciassettesimo Rapporto sulla povertà e il quinto Rapporto sulle politiche di contrasto. INFOGRAFICA. [segue] Particolare attenzione è data nel rapporto al tema della povertà educativa, un fenomeno principalmente ereditario nel nostro Paese, che a sua volta favorisce la trasmissione intergenerazionale della povertà economica. I dati nazionali dei centri di ascolto, oltre a confermare una forte correlazione tra livelli di istruzione e povertà economica, dimostrano anche un’associazione tra livelli di istruzione e cronicità della povertà. Esiste uno “zoccolo duro” di disagio che assume connotati molto simili a quelli esistenti prima della crisi economica del 2007-2008, con la sola differenza che oggi il fenomeno è sicuramente esteso a più soggetti. Si tratta, dunque, di un “esercito di poveri” in attesa, che non sembra trovare risposte e le cui storie si connotano per un’ allarmante cronicizzazione e multidimensionalità dei bisogni.
1| La povertà assoluta: il profilo socio-anagrafico dei poveri
In Italia il numero dei poveri assoluti (cioè le persone che non riescono a raggiungere uno standard di vita dignitoso) continua ad aumentare, passando da
L’evidente particolarità di questi anni di post- crisi riguarda la questione giovanile: da circa un lustro, infatti, la povertà tende ad aumentare al diminuire dell’età, decretando i minori e i giovani come le categorie più svantaggiate (nel 2007 il trend era esattamente l’opposto). Tra gli individui in povertà assoluta i minorenni sono 1 milione 208mila (il 12,1% del totale) e i giovani nella fascia 18-34 anni 1 milione 112mila (il 10,4%): oggi quasi un povero su due è minore o giovane.
L’istruzione continua ad essere tra i fattori che più influiscono (oggi più di ieri) sulla condizione di povertà. Dal 2016 al 2017 si aggravano le condizioni delle famiglie in cui la persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza elementare (passando dal 8,2% al 10,7%). Al contrario i nuclei dove il “capofamiglia” ha almeno un titolo di scuola superiore registrano valori di incidenza della povertà molto più contenuti (3,6%).
1
4 milioni 700mila del 2016 a 5
milioni 58mila del 2017, nonostante i timidi segnali di ripresa sul fronte economico e occupazionale. Dagli anni pre-crisi ad oggi il numero di poveri è aumentato del 182%, un dato
che dà il senso dello stravolgimento avvenuto per effetto della recessione economica.
12 10 8 6 4 2 0
Incidenza della povertà assoluta per titolo di studio (%) – Anno 2017 – Fonte: Istat
10,7
Licenza elementare, nessun titolo
9,6
Licenza di scuola media
3,6
Diploma e oltre
Per quanto riguarda la cittadinanza, la povertà assoluta si mantiene al di sotto della media tra le famiglie di soli italiani (5,1%), sebbene in leggero aumento rispetto allo scorso anno, mentre si attesta su livelli molto elevati tra i nuclei con soli componenti stranieri (29,2%). Lo svantaggio degli immigrati non costituisce un elemento di novità e nel 2017 sembra rafforzarsi ulteriormente. Volendo semplificare, tra i nostri connazionali risulta povera una famiglia su venti, tra gli stranieri quasi una su tre.
2 | I volti dei poveri incontrati dalla Caritas
Nel corso del 2017 i “volti” incontrati dalla rete Caritas sono stati 197.332. I dati e le informazioni provengono da 1.982 Centri di ascolto (il 58,9% del totale) collocati in 185 diocesi (che corrispondono all’ 84,8% delle Caritas diocesane italiane). Rispetto al 2016 si registra un calo del numero medio di persone incontrate in ciascun centro (da 113,9 a 99,6) e al contempo un incremento del numero medio di ascolti (dal 3,2 a 6,6). Diminuiscono dunque le storie di povertà intercettate ma queste risultano più complesse, croniche e multidimensionali. Delle persone incontrate il 42,2% è di cittadinanza italiana, il 57,8% straniera. Nelle regioni del Settentrione e del Centro le persone prese in carico sono per lo più straniere (rispettivamente il 64,5% e il 63,4%), mentre nel Mezzogiorno le storie intercettate sono in maggioranza di italiani (67,6%). In termini di genere il 2017 segna il sorpasso dell’utenza maschile su quella femminile, dovuto alle trasformazioni delle dinamiche migratorie, quali il calo delle migrazioni dai Paesi dell’Est, per lo più di donne impiegate nel badantato, e di contro, l’incremento di richiedenti asilo e profughi provenienti dai Paesi africani, che vede come protagonisti soprattutto uomini. Il 42,6% delle persone incontrate nel 2017 sono nuovi
utenti; il 22,4% è in carico ai centri di ascolto da 1-2 anni; il 12,3% da 3-4 anni. In aumento la quota, piuttosto alta, di chi vive situazioni di fragilità da 5 anni e più (22,6%).
L’età media delle persone incontrate è 44
anni. I giovani tra i 18 e i 34 anni
rappresentano la classe con il maggior
numero di presenze (25,1%); tra gli italiani
prevalgono le persone delle classi 45-54
(29,3%) e 55-64 anni (24,7%); i pensionati
costituiscono il 15,6%. Per quanto riguarda lo stato civile le persone incontrate risultano per lo più coniugate (45,9%) e celibi/nubili (29,3%). Aumentano le storie di solitudine e, di contro, diminuiscono le situazioni di chi sperimenta una stabilità relazionale data da un’unione coniugale. Il 63,9% delle persone ascoltate, circa 89mila persone, dichiara di avere figli. Tra loro oltre 26mila persone vivono con figli minori, un dato importante se rapportato al numero corrispondente di nuclei familiari. Risulta preoccupante la situazione dei minori coinvolti in tali situazioni di fragilità, alla luce del fatto che tali deprivazioni materiali penalizzeranno irrimediabilmente il loro futuro, sul piano economico e socio-educativo. Si attivano spesso dei circoli viziosi che tramandano di generazione in generazione le situazioni di svantaggio. Per quanto riguarda l’istruzione, la stretta connes2sione con lo stato di povertà è evidente se si considera che oltre i due terzi delle persone che si rivolgono alla Caritas ha un titolo di studio
40 30 20 10
0
Incidenza della povertà assoluta per cittadinanza (%) – Anno 2017 – Fonte: Istat
29,2
Stranieri
5,1
Italiani
62,5 50,0 37,5 25,0 12,5
Persone ascoltate per storia assistenziale (%) Confronto 2016 – 2017- Fonte: Caritas Italiana
48,6 42,6 0,0
Nuovi utenti
Anno 2016
1-2 anni
3-4 anni
Anno 2017
5 anni e più
21,4 22,4
11,3 12,3
18,7 22,6

basso, pari o inferiore alla licenza media (il 68,3%); tra gli italiani questa condizione riguarda il 77,4% degli utenti. La situazione dei giovani della fascia 18-34 anni desta ancor più preoccupazione: il 60,9% dei ragazzi italiani incontrati (fuori dal circuito formativo e scolastico), possiede solo una licenza media; il 7,5% può contare appena sulla licenza elementare.
70,0 52,5 35,0 17,5
0,0
Giovani (18-34 anni) ascoltati nei Cda per titolo di studio e cittadinanza (%) Anno 2017- Fonte: Caritas Italiana
0,2
1,2
1,8 4,0
0,6 1,1
Altro
6,6
7,2
7,5 15,2
Lic elementare
Italiani
60,9 38,4
Licenza media inferiore
12,910,2
Diploma professionale
14,917,3
Analfabeti Nessun titolo
Licenza Laurea media
superiore Stranieri
I dati nazionali dei centri di ascolto, oltre a confermare una forte correlazione tra livelli di istruzione e povertà economica, dimostrano anche una associazione – confermata dalla statistica – tra livelli di istruzione e cronicità della povertà: coloro che hanno un titolo di studio basso o medio-basso oltre a cadere più facilmente in uno stato di bisogno, corrono anche il rischio di
vivere una situazione di povertà cronica non risolvibile in poco tempo.
In stretta correlazione al tema dell’istruzione è poi la condizione occupazionale. I disoccupati ascoltati nel 2017
rappresentano il 63,8%; tra gli stranieri la percentuale sale al 67,4%.
Bisogni e interventi
In linea con gli anni precedenti, nell’analisi dei bisogni spiccano anche per il 2017 i casi di povertà economica (78,4%), seguiti dai problemi di occupazione (54,0%) e dai problemi abitativi (26,7%), questi ultimi in aumento rispetto al 2016. All’interno di questa categoria si nota un evidente incremento, dal 44,3% al 52,5%, della situazione di chi è privo di un’abitazione. Alle difficoltà di ordine materiale seguono poi altre forme di vulnerabilità che in molti casi si associano alle prime: problemi familiari (14,2%), difficoltà legate allo stato di salute (12,8%) o ai processi migratori (12,5%). Su 100 persone per le quali è stato registrato almeno un bisogno quasi 40 hanno manifestato 3 o più ambiti di difficoltà. Solo il 36,5% ha manifestato difficoltà riferite ad una sola dimensione di bisogno (percentuale in calo rispetto all’anno precedente); le situazioni più frequenti di sovrapposizione di bisogni sono quelli in cui si combinano povertà e disagio occupazionale. Tuttavia non ci si rivolge alla Caritas esclusivamente per aspetti di povertà materiale o per problematiche lavorative: il 46,1% degli utenti non manifesta esplicitamente problemi occupazionali; il 4,2% del totale ha addirittura fatto riferimento ai centri di ascolto per problematiche che esulano sia da problemi economici che lavorativi (es. malattia mentale, depressione, separazioni, divorzi, morte di un congiunto, difficoltà nell’assistenza di familiari, problemi di detenzione e giustizia). Tuttavia le richieste più frequenti sono quelle relative a beni e servizi materiali (362,1%), in crescita rispetto al 2016. Per quanto riguarda gli interventi e le risposte realizzati, la forma di aiuto più frequente è stata l’erogazione
sottolineare che hanno connotato l’anno 2017 c’è da evidenziare l’incremento delle persone senza dimora e delle storie connotate da un minor capitale relazionale (famiglie uni-personali); il
fatto che ancora oggi la rottura dei legami familiari possa costituire un fattore scatenante nell’entrata in uno stato di povertà e di bisogno; si riscontra poi una certa stabilità dei cosiddetti
Tra gli altri elementi da
working poor.

di beni e servizi materiali (62,9%), in aumento rispetto al passato. Tra queste prevalgono le distribuzioni di pacchi viveri, di vestiario e l’erogazione di pasti alla mensa. In valore assoluto nel 2017 sono stati realizzati circa 2 milioni 600mila interventi, in lieve diminuzione rispetto al 2016.
3 | La povertà educativa e culturale in Italia
Il legame tra povertà educativa minorile e condizioni di svantaggio socio-economico risulta nel nostro Paese particolarmente accentuato. La povertà educativa rimane, in Italia, un fenomeno principalmente ereditario, che riguarda in gran parte famiglie colpite dalla tradizionale povertà socio-economica. Ad esempio si evidenziano situazioni di maggior svantaggio in tal senso (sia sul fronte dei servizi che delle possibilità individuali) proprio nelle regioni del Mezzogiorno che registrano i più alti livelli di povertà assoluta. Al Sud e nelle Isole c’è una minore copertura di asili nido, di scuole primarie e secondarie con tempo pieno, una percentuale più bassa di bambini che fruiscono di offerte culturali e/o sportive e al contempo una maggiore incidenza dell’abbandono scolastico. Sul fronte
della cittadinanza gli alunni stranieri evidenziano tassi di povertà educativa maggiori rispetto ai loro coetanei autoctoni. La differenza è già molto evidente nel primo anno di corso: all’esito di giugno, il tasso di non ammissione degli studenti stranieri è pari al 22,9%, mentre quello degli italiani è decisamente più basso (10,8%): quasi uno studente straniero su quattro non è ammesso all’anno successivo.
Il confronto con l’Europa
Nell’ambito della Strategia Europa 2020 l’Italia ha raggiunto l’obiettivo relativo all’area educazione/istruzione, superando nel 2016 di poco la soglia richiesta del 26% di laureati tra la popolazione 30-34enne con +8,3 punti percentuali dal 2007. Tale incidenza rimane comunque al di sotto della media europea a 28 Paesi (39,9%) nel 2017. Al confronto con gli altri Paesi, l’Italia si colloca al penultimo posto in
Europa per presenza di laureati, solo prima della Romania. Pur registrando un trend in crescita, l’Italia evidenzia quindi un basso livello di capitale formativo nella generazione dei giovani adulti. É stato raggiunto anzitempo anche il secondo obiettivo 2020, nel settore educativo-scolastico: la riduzione al di sotto del 16% della quota di popolazione
(l’obiettivo europeo è pari al 10%). Il 4
20 10 0
18,1
Non ammessi all’esame finale Stranieri
Esiti degli scrutini per anno di corso degli studenti con cittadinanza italiana e non (per
100 scrutinati) – A.S. 2016/2017 – Fonte: Miur
14,7
Non ammessi a giugno Italiani
6,9
8,2
70,0 60,0 50,0 40,0 30,0 20,0 10,0
0,0
Percentuale di popolazione 30-34 anni in possesso di laurea (%) – Anno 2017 – Fonte: Eurostat
58,0
39,9
26,9
di età compresa tra 18
e 24 anni che possiede al massimo la licenza media inferiore

trend storico appare confortante: nel 2007 il 19,5% della popolazione 18-24enne italiana possedeva al massimo la licenza media inferiore; dieci anni dopo, tale incidenza è diminuita di 5,5 punti percentuali (14,0%). Tuttavia anche in questo caso a livello europeo la situazione è migliore: il tasso di abbandono precoce degli studi tra i giovani europei è infatti passato dal 14,9% del 2007 al 10,6% del 2017 (-4,3 punti percentuali). L’Italia si colloca al quarto posto in Europa per incidenza di abbandono precoce degli studi (14,0%), dopo Malta, Spagna e Romania.
La povertà educativa degli adulti in difficoltà
Un’indagine sperimentale sull’utenza Caritas in Germania, Grecia, Italia e Portogallo ha indagato il tema della povertà educativa degli adulti. Limitando l’analisi ai tre Paesi che condividono una comune classificazione dei livelli scolastici (Grecia, Italia e Portogallo) si conferma una situazione di forte debolezza scolastica degli utenti Caritas: in media, l’11,4% è analfabeta o non possiede nessun titolo scolastico. Solo una esigua minoranza del campione (10,2%) è in possesso di un titolo di scuola media superiore, che nei Paesi occidentali possiamo considerare ormai come il livello formativo minimo richiesto per poter trovare un lavoro ed evitare fenomeni di esclusione sociale. Il titolo di studi più diffuso in tutti i Paesi esaminati tuttavia è la licenza media inferiore (38,1%). L’analisi comparativa realizzata mostra una forte correlazione tra l’assenza di titoli di studio e situazione reddituale della famiglia. Se nel campione complessivo quasi la metà delle persone (il 43,4%) risulta privo di una fonte stabile di entrate economiche, l’assenza totale di reddito appare più preoccupante nel caso delle persone che hanno un capitale formativo molto basso: si giunge infatti a sfiorare l’ottanta percento delle persone senza titoli di studio che, allo stesso tempo, non possono godere di nessun tipo di entrata economica. Si tratta di una popolazione di elevata marginalità sociale, in quanto all’assenza di lavoro si somma la quasi totale insufficienza del capitale formativo. In termini assoluti, questo tipo di utenti, in evidente situazione di esclusione sociale, è pari al 4% dell’intero campione. Si tratta quindi di un piccolo gruppo di persone per le quali è tuttavia necessario un duplice intervento, per favorire la ricerca di un lavoro e al tempo stesso il raggiungimento di un livello formativo idoneo.
4| L’attuazione del REI. A che punto siamo
Il percorso di attuazione del Reddito d’Inclusione (REI) ha avuto inizio il 1 dicembre 2017. Fino al giugno 2018 lo ha ricevuto il 60% degli aventi diritto (poco più di 1 milione su 1,7 milioni totali). É una percentuale significativa per una misura relativamente “giovane” e un risultato che segnala un buon attecchimento iniziale del REI nei territori. Dal 1 giugno 2018 sono venuti meno i criteri familiari e la grave povertà costituisce l’unico requisito d’accesso. Questo significa che la platea degli aventi diritto si è allargata fino a raggiungere la quota di circa 2,5 milioni d’individui, cioè la metà di quei 5 milioni in povertà assoluta oggi presenti in Italia. Il dato indica la strada ancora da percorrere per approdare alla misura universalistica, estendendo il diritto all’altra metà di poveri oggi ancora scoperta. Le analisi sulla situazione dopo il 1 giugno mostrano anche che il diritto al REI non viene assicurato in tutte le aree geografiche del Paese in maniera corrispondente alla presenza della povertà assoluta (in Italia il 44% delle famiglie in povertà assoluta ha diritto al REI; nel Sud e nel Centro la percentuale si colloca tra il 50 ed il 54% dei nuclei indigenti lì presenti, mentre nel Nord è tra il 31% ed il 33%). L’importo medio del REI risulta oggi pari a 206 euro mensili, una somma ancora lontana dal permettere di uscire dalla povertà assoluta, coprendo la distanza tra il reddito disponibile delle famiglie e la soglia di povertà assoluta. Tradotto in cifre, si tratta di salire in media dagli attuali 206 euro mensili a 396; ciò significa, ad esempio, per una famiglia di una persona passare da 150 a 316 euro e per un nucleo di quattro da 263 a 454. Per quanto rigu5arda l’infrastruttura dei servizi per l’introduzione di una misura nazionale per il welfare locale, sinora mancata, alcuni segnali positivi già si sono
palesati, ma va comunque detto che l’effettiva realizzazione dell’azione di infrastrutturazione ha mostrato sinora alcune criticità evidenti. Primo, è partita in ritardo. Secondo, non è ancora chiaro quale sarà l’impegno del Governo nella cruciale materia del monitoraggio. Terzo, mentre si è verificato un investimento rilevante per l’infrastrutturazione dei servizi sociali dei Comuni, lo stesso non si può dire per i Centri per l’impiego. Per quanto riguarda il welfare locale, è ancora troppo presto per trarre qualunque conclusione in merito all’impatto dei percorsi d’inclusione sociale e lavorativa sulle condizioni degli utenti. Le evidenze raccolte nei territori, tuttavia, trasmettono alcuni messaggi sulle direzioni che tali processi stanno seguendo. Primo, la “normalità” delle difficoltà attuative. Secondo, la necessità di continuità nelle politiche nazionali, e il mantenimento dell’impianto strutturale e delle linee di sviluppo già insite nel REI, da ampliare e migliorare in tanti aspetti, ma non smontare allo scopo di dar vita ad una nuova misura con un profilo radicalmente differente. Una scelta simile assesterebbe infatti un colpo fatale alla possibilità di dar vita ad incisive politiche contro la povertà nel nostro Paese. Terzo, la necessità di discontinuità positiva nei territori, ovvero di introdurre riorientamenti nelle prassi operative dei soggetti che contribuiscono a livello locale a realizzare la misura, a seconda delle situazioni iniziali dei diversi contesti. Quarto, il rischio di aspettative eccessive. La sfida, infatti, è quella di riuscire a far convivere le aspettative (realistiche e non miracolistiche) e l’entusiasmo con le difficoltà attuative e la necessità dei tempi lunghi. L’annunciata introduzione del Reddito di Cittadinanza è destinata a portare con sé novità di rilievo che ci si augura tengano conto dell’esperienza maturata nell’attuazione del REI di cui si parla nel rapporto. Questa esperienza sia nei suoi punti di forza così come nelle sue criticità rappresenta un prezioso patrimonio di sapere concreto, che merita di essere valorizzato. Un patrimonio, si spera, dal quale il legislatore non vorrà prescindere al momento di disegnare le prossime tappe della lotta alla povertà nel nostro Paese.
Identikit delle persone incontrate nei centri di ascolto Caritas

• Cittadinanza: italiana (42,2%), straniera (57,8%)
• Classe di età: 18-34 (25,1%) 35-44 (23,7%) 45-54 (24,1%) 55-64
(16,8%) >65 (8,3%)
• Storia assistenziale: Nuovi utenti (42,6%) in carico da 1-2 anni (22,4%), in carico da 3-4
anni (12,3%); in carico da >5anni (22,6%)
• Stato civile: coniugati (45,9%) celibi/nubili (29,3%)
• Senza dimora: 21% del totale
• Genitorialità: con figli (63,9%) di cui 26mila persone con figli minori
• Istruzione: uguale o inferiore alla licenza media inferiore (68,3)
• Condizione professionale: disoccupati (63,8%)
• Principali vulnerabilità: povertà economica (78,9%), problemi di occupazione (54,0%),
problemi abitativi (26,7%).
• Multidimensionalità del disagio: il 39,2% delle persone incontrate manifesta
problematiche afferenti a tre o più ambiti di bisogno (tra: povertà economica, occupazione, casa, salute, problemi familiari, handicap, problemi di istruzione, dipendenze, problemi legati all’immigrazione, detenzione e giustizia)
6
——————-ALTRE FONTI———–
- Il fatto quotidiano: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/10/17/poverta-rapporto-caritas-2018-nel-2017-in-200mila-si-sono-rivolti-a-noi-molti-i-giovani-al-nord-e-al-centro-piu-stranieri/4699118/
—-
- Rai News: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Caritas-in-Italia-un-esercito-di-poveri-che-continua-ad-aumentare-fff272dc-cd44-47f9-acb1-31717725745c.html
—-
Vita: http://www.vita.it/it/article/2018/10/17/multidimensionale-cronicizzata-colpisce-i-giovani-la-poverta-nel-rappo/149422/

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