Verso l’incontro-dibattito con Domenico De Masi. Domani venerdì 5 ottobre a Cagliari. Si parlerà anche di reddito di cittadinanza, ReI e dintorni.
Il sociologo del lavoro: “Il ‘reddito’ in una carta per gli acquisti? Geniale. Ce la copieranno anche gli altri Paesi”
Il professor Domenico De Masi spiega perché la misura voluta dai Cinquestelle “è doverosa per limitare la povertà in Italia”. E spiega: “E’ scandaloso che i governi precedenti non abbiano potenziato i centri per l’impiego. La Germania lo ha fatto anni fa”
Un’immagine di Domenico De Masi (ripresa da Tiscali.it)
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di Antonella Loi su TiscaliNotizie.
Più una carta acquisti che un reddito di cittadinanza vero e proprio. Con i 780 euro concessi a determinate condizioni si potranno acquistare solo beni di prima necessità e solo nel territorio italiano. Pena l’intervento della Gdf che, ex post, potrà sanzionare l’uso “improprio” della carta. Quindi sì ad abbigliamento, cibo e affitto, no a sigarette e gioco d’azzardo. Il beneficio – probabilmente fruibile via tessera sanitaria – raggiungerà circa 5-6 milioni di persone le quali, attraverso i centri per l’impiego, potranno trovare un lavoro. Nel frattempo l’importo dovrà essere speso per intero, perché l’altro obiettivo è sostenere i consumi e quindi l’economia. “Se non lo usi lo perdi”, è l’ultimo avviso ai naviganti. Il risparmio, anche minimo, non è previsto: inibito dal “divieto di cumulo mensile”. Un “reddito di cittadinanza” quanto meno originale. Materia da sociologo del lavoro.
Professor Domenico De Masi, aggiornamenti quotidiani sulla misura bandiera dei 5S.
“Guardi che il reddito di cittadinanza è un Rei (Reddito di inclusione sociale introdotto da Renzi ndr) [*] allargato, con in più i centri per l’impiego che ti aiutano nella ricerca del lavoro. Lì si assistevano un milione e mezzo di persone, qui molte di più. E’ una misura contro la povertà necessaria, un primo passo ovviamente. Continuiamo a chiamarlo reddito di cittadinanza, ma è un reddito di inclusione che è cosa diversa”.
Il nome serve a smarcarsi dai predecessori.
“I Cinquestelle lo chiamavano così nella loro proposta di legge del 2013 e così hanno continuato. Ma è un reddito di inclusione, dietro dimostrazione di alcune attività: corsi di formazione, 8 ore di lavoro alla settimana nel proprio comune. E questo serve sia per dare un reddito a chi non lo avrebbe perché non ha un lavoro sia per aiutarlo a trovarlo un lavoro”.
Però siamo di fronte a una sorta di carta acquisti.
“Sì, lo Stato dà dei soldi e vuole assicurarsi che questi anzitutto siano spesi e in secondo luogo siano spesi bene, cose utili e non superflue, perché così si accelera il circolo produzione-consumo e l’economia migliora. Né droga né beni in nero, per dire. Mi pare che se do dei soldi a mio figlio ho il diritto di dirgli cosa deve comprare e cosa no”.
Un ruolo paternalistico da parte dello Stato può sembrare eccessivo. Non va a ledere la libertà di scelta del singolo?
“Ma questo lo Stato lo fa continuamente. Quando scrive leggi che sono l’indicazione di comportamenti, quando dice che madre e figlio non si possono sposare e così via non è la stessa cosa?”.
Ma il reddito di cittadinanza negli altri Paesi è diverso.
“Bé quello tedesco è molto simile a quello che si vuole fare in Italia. E per certi versi anche quello francese”.
Lì però ti danno i soldi e decidi tu come spenderli.
“Io trovo molto più intelligente questo. Una volta tanto abbiamo avuto un’idea intelligente e le dico che quando l’ho letto mi sono meravigliato: è un’idea geniale e ce lo copieranno anche gli altri Paesi. Perché una volta tanto non dobbiamo essere noi all’avanguardia?”.
C’è chi obietta che con il “reddito” il soggetto non è accompagnato verso lo sviluppo di personalità e attitudini proprie: lo Stato ti trova il lavoro e ti dice cosa devi fare.
“Cominciamo col metterci d’accordo su cosa significhi ‘assistenzialismo’. Se lei ha un incidente stradale arriva l’ambulanza e la soccorre, le fa l’assistenza immediata. Il reddito di cittadinanza è la stessa cosa: è un’ambulanza, un pronto soccorso contro la povertà. Ma le sembra giusto che un Paese come l’Italia, una delle più importanti economie del mondo, abbia 6 milioni di poveri? In Germania c’è questo tipo di assistenza e i poveri sono infinitamente di meno”.
Anche gli stranieri residenti da almeno 10 anni in Italia avranno diritto al reddito. E’ giusto?
“Giustissimo, mi fa molto piacere che abbiano corretto il tiro. Avrebbero certamente violato qualche norma costituzionale. Escludere gli stranieri era un’idea di Salvini che tenta sempre di violare norme costituzionali”.
L’obiettivo dichiarato di dare occupazione, creare occupazione e aumentare i consumi sarà raggiunto?
“Credo che il primo obiettivo sia quello di aiutare chi ne ha bisogno e contemporaneamente incrementare determinati consumi e avviare al reinserimento nel mercato del lavoro”.
Sosterrà l’economia secondo lei?
“Quando si dice di aiutare i poveri in genere si dice che l’economia non regge, quando si tratta di aiutare i ricchi l’economia regge. L’anno scorso abbiamo fatto 2,4% di deficit/Pil e ci è stato approvato perché dovevamo aiutare le banche, quest’anno lo stesso 2,4 non va bene perché dobbiamo aiutare i poveri. Io non so se lei sia ricca o povera, ma se fosse povera sarebbe contenta”.
I centri per l’impiego svolgono un ruolo fondamentale: senza questi non parte nulla.
“Sono fondamentali, altrimenti il mercato del lavoro non funziona ed è assurdo che i precedenti governi non abbiano creato dei centri decorosi. Intanto i dati: in Germania dove la disoccupazione è al 3,8 per cento, contro il nostro 10, i centri hanno 111.000 dipendenti e il costo per mantenere le strutture è di 12 miliardi all’anno, tolti i sussidi, solo per i centri per l’impiego. In Italia abbiamo 9 mila punti e il costo per mantenerli è di 680 milioni, quindi come vede siamo lontanissimi dagli standard degli altri Paesi. Tutti i governi precedenti avrebbero dovuto impegnarsi per migliorare i centri per l’impiego che invece sono stati abbandonati e oggi sono uno schifo, carenze assolute sulle strutture informatiche, pochi dipendenti e non adeguatamente formati. Bisogna ripartire da lì”.
4 ottobre 2018
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[*] A onor del vero il REI (Reddito di inclusione) è stato introdotto dal Governo Gentiloni alla fine della passata legislatura, con il decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147. Il decreto legislativo rendeva operativa la legge 15 marzo 2017, n. 33, recante: «Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali»;
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