Preoccupazioni
di Vanni Tola
Un incubo che non mi fa prendere sonno. La “vittoria” di Salvini e Di Maio che, sconfiggendo il Ministro Tria, hanno imposto un colossale aumento del deficit nazionale promettendo miracoli straordinari. L’immancabile affaccio sul balcone di palazzo Chigi, i militanti in festa nella piazza. Vedremo oggi stesso gli effetti (quelli reali) di queste scelte sui mercati internazionali e nei rapporti con l’Unione Europea. Ci sarà ben poco da stare allegri. Mi sono venute in mente due scene. La prima. Un autobus pieno di passeggeri in gita di piacere. Cantano felici e spensierati. Non sanno che alla guida del mezzo c’è un autista neo patentato al suo primo viaggio. Altra scena, magari un po’ abusata, ricorda i passeggeri del Titanic che danzavano spensierati e felici il “valzer delle candele” mentre la nave avanzava inesorabilmente verso l’iceberg. Stasera stessa, valutando le conseguenze del fatto, ci renderemo conto che molto probabilmente, piuttosto che festeggiare dovremo cominciare a preoccuparci seriamente.
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Il punto su “il manifesto”
POLITICA
Deficit al 2,4%. Tria cede, Salvini e Di Maio brindano.
Manovra. Impossibile per il ministro dell’economia opporre l’arma delle dimissioni. E dopo un duro scontro i due vicepremier incassano «reddito» e revisione della Fornero. Ma la partita è appena cominciata. Si attende la reazione della Ue: procedura d’infrazione quasi certa.
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Doveva essere un deficit al 2,4% e un deficit al 2,4% sarà. Tria si è arreso. Dopo un braccio di ferro proseguito per tutto il giorno il ministro dell’Economia ha accettato le condizioni dell’asse Salvini-Di Maio, che non era disposto ad accettare nulla di meno. I due leader esultano. «Abbiamo portato a casa la manovra del popolo che per la prima volta cancella la povertà grazie al reddito di cittadinanza, per il quale ci sono 10 miliardi», festeggia Di Maio, aggiungendo che il Def prevede anche gli interventi sulle pensioni minime, la revisione della Fornero, il risarcimento per i truffati dalle banche. Salvini spara a sua volta i mortaretti: «Sono pienamente soddisfatto per gli obiettivi raggiunti. Tasse al 15% per un milione di lavoratori, superamento della Fornero, chiusura delle cartelle Equitalia».
E’ STATO IL GIORNO PIÙ LUNGO, stavolta non solo per modo di dire. Il braccio di ferro sulla nota aggiuntiva al Def si è prolungato per ore, durissimo. Ma il fronte della maggioranza si è presentato tanto compatto quanto agguerrito. La Lega si è schierata senza più esitazioni a fianco degli alleati a 5 stelle e i due partiti non si accontentavano neppure di un asticella al 2,1%, ultimo tentativo di Tria di evitare la resa incondizionata. Volevano una manovra alla Macron e per ottenerla erano pronti a tutto. Eloquente la battuta che un leghista si lascia sfuggire un attimo prima del vertice, nel tardo pomeriggio: «Come finisce? Che o Tria cede oppure cede».
A ostacolare ogni soluzione c’era quella che in realtà si configurava da subito come la prima linea dello scontro: la Fornero. I fondi per M5S si potevano anche trovare, tutti i 10 miliardi chiesti da Di Maio, ma solo stanziando per la revisione della Fornero una cifra largamente insufficiente per consentire a Salvini di mantenere la sua promessa: quota 100 con 62 anni di età e 38 di contributi. Ufficialmente era solo questione di cifre, in realtà è molto difficile non pensare che pesasse anche quel veto della Bce che sia Draghi che i bollettini mensili della banca hanno più volte, e ieri di nuovo, confermato. La speranza di Tria e del Quirinale era che Salvini si accontentasse della rendita di popolarità assicurata dalla campagna sull’immigrazione e si rassegnasse a un intervento solo di facciata sulla Fornero. Ma il leader leghista si era spinto troppo oltre per tornare indietro e Di Maio lo ha spalleggiato. E’ stato proprio lui a respingere quell’ultima mediazione proposta da Tria: «La Fornero è nel contratto, impossibile cassarla».
La giornata di passione di Tria si era aperta sgombrando il campo da una voce che aveva tenuto banco per tutta la notte precedente: quella di una sua dipartita dal ministero di via XX settembre, o per sua scelta o per «licenziamento». Di Maio era stato il primo a smentire, poi lo stesso ministro aveva escluso le proprie dimissioni. E’ proprio l’impossibilità di risolvere il conflitto tagliando il nodo di Gordio a spiegare la situazione di stallo che si è protratta tutto il giorno. L’uscita del governo del ministro dell’Economia avrebbe comportato una tempesta di portata inaudita ai danni dell’Italia. Significa che nessuno può permettersi di metterlo alla porta, ma significa anche che lui stesso non può usare l’arma della minaccia di dimissioni. Sarebbe un rimedio peggiore di ogni male, come confermano le simulazioni nelle quali si sono prodotti ieri diversi istituti: il deficit al 2,4% aumenterà probabilmente lo spread di una quarantina di punti, riportandolo vicino alla soglia minacciosa dei 300, ma le dimissioni di Tria avrebbe avuto effetti ben più catastrofici. Il ministro non ci ha pensato per niente ma se anche lo avesse fatto a sconsigliarlo con estrema decisione sarebbe stato il Colle.
DUNQUE I CONTENDENTI sono stati costretti a trattare, ma con Tria privato della sola arma che avesse a disposizione. Negare la sua firma avrebbe reso infatti inevitabili le dimissioni con gli effetti devastanti che ciò avrebbe provocato. L’unica possibilità di evitare la rotta era dividere il fronte della maggioranza: un’impresa quasi disperata. Mercoledì sera, quando Di Maio sembrava con le spalle al muro, Salvini aveva scelto di schierarsi al suo fianco nonostante il parere di Giorgetti, il «responsabile» della Lega, pronto ad accettare una mediazione con il deficit al 2%. Era inevitabile che, quando la strategia del Mef è cambiata in extremis con l’offerta del reddito di cittadinanza a Di Maio in cambio della cancellazione di fatto della revisione della Fornero, il pentastellato ricambiasse il favore, lasciando Tria senza via di scampo.
La partita però è appena cominciata. Nei prossimi giorni sarà chiara la temuta reazione dei mercati. Poi dovrà prendere posizione la Ue e la procedura d’infrazione è già quasi certa.
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