POLITICA ITALIANA le maschere del condono
Il primo condono della storia d’Italia è del 9 giugno 1861. L’Italia è stata unificata solo da pochi mesi, e già condona. In questo caso, si tratta di una sanatoria per l’evasione delle tasse sulla manomorta, i patrimoni degli enti e istituti. Ministro delle finanze che firma il condono è il conte Pietro Bastogi. L’altro conte, Camillo Benso di Cavour, è appena scomparso e la carica di primo ministro sta per passare a Ricasoli, nel cui gabinetto Bastogi resterà ministro. Non si tratta del provvedimento più importante di quei primi passi dello Stato unitario italiano, ma apre una strada. Quella che porterà, da allora a oggi, a più di ottanta condoni fiscali. Ottantadue, se contiamo fino allo scudo fiscale del 2009; al quale vanno aggiunti i provvedimenti del governo Renzi di «voluntary disclosure» (autodichiarazione dei capitali all’estero) e rottamazione delle cartelle Equitalia. E a breve si aggiungerà il condono del governo Conte-Salvini-Di Maio, chiamato «pace fiscale», dalle misure ancora indefinite ma di certo di portata molto ampia. In centocinquantasette anni non è cambiato niente? L’Italia è e resterà sempre una repubblica basata
sulla furbizia, il violare la legge e farla franca? Il governo del cambiamento parte con una clamorosa conferma del carattere nazionale? In realtà, molte cose sono cambiate e sia dal punto di vista tecnico che politico non tutti i «condoni» sono uguali. Per capire com’è quello di oggi, e valutarne sia le implicazioni politiche che quelle storiche e morali, servirà un brevissimo excursus in quelli di ieri.
un poco di storia
Ci aiuta una pubblicazione della Banca d’Italia nella quale Stefano Maestra fa una storia della «tax compliance» in Italia. «Tax compliance» è un termine – non a caso – non traducibile, se non con un’espressione molto meno sintetica: l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari da parte del contribuente. L’Italia ha sempre avuto una bassissima «compliance», per vari motivi, che vanno da quelli etici a quelli tecnici (abbondanza di leggi spesso complicate) a quelli economici (alta presenza di piccole imprese e lavoro autonomo). Inizialmente, i primi condoni dello Stato unitario si limitarono ad abbonare le pene e le sanzioni: ma già questi erano dannosi, sia per l’aggravio di lavoro sull’amministrazione che per la riduzione del «prestigio della Finanza». Dunque fino agli anni Settanta lo sconto riguardava le pene e non le imposte. Nel ’73 «ci fu il primo vero e proprio condono dei debiti d’imposta», motivato dal passaggio a un sistema completamente nuovo, «che rendeva ragionevole definire una volta per tutte le situazioni createsi sotto il vecchio ordinamento». Qui nasce la definizione di condono «tombale», nel senso che cerca di seppellire per sempre il passato: il contribuente infedele si trova non solo ad avere la cancellazione delle sanzioni, degli interessi e delle eventuali pene, ma anche un notevole sconto di imposta. Ma quel che è successo dopo ci dice che «tombale» non è stato, tant’è che da allora ci sono state decine di altre sanatorie, tre delle quali altrettanto «tombali»: nell’82, nel ’91 e da ultimo nel 2002 (condono Tremonti). In sostanza da allora «pressoché tutti gli esercizi finanziari sono stati coperti da sanatorie relative all’Iva o alle imposte sui redditi», scrive l’autore del saggio. Così, «da strumento per gestire passaggi riformatori il condono è diventato un mezzo per raccogliere risorse e per tagliare i ricorrenti nodi gordiani di un contenzioso periodicamente intasato». Si è così inscritto nel codice genetico nazionale un circolo vizioso: lo Stato non riesce a far pagare le imposte, dunque ha scarso gettito; quando poi aumentano le spese e ha difficoltà a finanziarle, ricorre al condono; ma questo ingenera nei contribuenti l’aspettativa continua di nuove sanatorie e quindi riduce ancora l’adempimento volontario delle tasse.
dietro il nuovo condono
Fin qui, storia vecchia. Ma pare molto strano che il governo «del cambiamento» voglia continuarla alla grande, addirittura pensando a un condono da 20 miliardi (50, ha detto addirittura qualcuno della Lega), quando il gettito complessivo di tutti e quattro i megacondoni tombali, dal 1973 al 2002, è stato di 60 miliardi di euro (ai valori del 2008).
Inizialmente, il ricorso al condono è stato motivato dalla rivoluzione fiscale che dovrebbe arrivare con la flat tax: come nel ’73, cambia tutto il sistema e dunque offriamo a chi ha pendenze passate la possibilità di chiuderle. Tant’è che, sempre nelle intenzioni iniziali, l’aliquota del condono doveva essere pari a quella unica della flat tax, al 15%. Senonché, le voci preparatorie della manovra dicono che la flat tax è quantomeno rinviata, forse ne arriverà un primo assaggio limitato ai professionisti a partita Iva. E l’obolo da pagare sul condono, sempre secondo le voci, potrebbe essere inferiore a quel 15%, graduato in tre aliquote.
Non solo. Quando parlavano di «pace fiscale» i contraenti del patto di governo volevano far riferimento al contenzioso già presente presso Equitalia, e dicevano di volerlo limitare ai piccoli contribuenti tartassati, che non hanno pagato per errore o necessità. Ma quanti sono i debiti fiscali «incagliati» presso Equitalia, dopo che ci sono state ben due rottamazioni con il governo Renzi? Secondo due analisi fatte, su richiesta dello stesso ministero dell’Economia, da Ocse e Fmi, al 2015 erano 51 miliardi, dai quali vanno detratti gli incassi già avuti con le rottamazioni successive. Se si applicasse un’aliquota del 25% entrerebbero circa 10 miliardi: stima generosa, poiché appunto molti hanno già aderito alle precedenti «rottamazioni» e perché l’aliquota sarà modulata su tre livelli, probabilmente al 6, al 10 e al 25%.
Per aumentare l’importo del gettito – e finanziare con questo almeno una parte delle promesse elettorali fatte – i partiti al governo hanno una sola strada: rendere il condono ancora più «tombale», non limitarsi alle piccole pendenze con Equitalia. Non a caso nei giorni convulsi che precedono il varo della legge di stabilità girano ipotesi che premierebbero anche i grandi contribuenti, chi ha pendenze con il fisco anche fino a 1 milione di euro; e addirittura spunta l’idea di includere nel condono i valori depositati nelle cassette di sicurezza, che non hanno niente a che vedere con le pendenze Equitalia ma solo con tesori sistematicamente nascosti al fisco: è vero che sono molti gli italiani che hanno fatto ricorso alle cassette di sicurezza, vista la sfiducia verso le banche e i bassi tassi di interesse che da anni premiano i depositi; ma è anche vero che nell’anonimato dei caveau si possono nascondere patrimoni sottratti al fisco o addirittura accumulati illegalmente. Non a caso negli ultimi tempi sul boom delle cassette di sicurezza nelle banche italiane si è acceso il faro dell’antiriciclaggio.
le contraddizioni politiche
Tutto questo fa esplodere le contraddizioni politiche in seno alla maggioranza, non solo con quello che hanno detto agli elettori, ma anche tra le differenti rispettive posizioni di Lega e Movimento Cinque Stelle. In sofferenza entra soprattutto quest’ultimo. La Lega di Salvini, erede della rivolta fiscale del Nord della prima Lega, può ben sopportare qualche contraddizione tra la sua retorica «pro-piccoli» e la sostanza dei regali ai ricchi evasori: ha un altro cemento che tiene insieme la sua identità, ed è quello della politica anti-immigrazione. Il M5S, in balìa delle onde, ha conservato come unico tratto identitario il vecchio grido «onestà – onestà». Che ne è di quello slogan, di fronte a una manovra di bilancio che sarà basata per gran parte sulla clemenza verso quella casta di evasori che il popolo pentastellato voleva chiudere in prigione per buttare poi la chiave?
In un mondo senza vincoli di risorse, la contraddizione si potrebbe attenuare dando ai Cinque Stelle un gran vantaggio con il varo della loro misura-bandiera, il reddito di cittadinanza. Ma questo, se attuato nella versione originaria della proposta, è molto costoso e le risorse sono limitatissime, anche perché la Lega vuole segnare a sua volta un punto a suo favore varando almeno il primo capitolo della flat tax. Tra i due litiganti c’è poi il terzo incomodo, il ministro dell’economia, che ha promesso a Bruxelles che terrà molto basso il deficit pubblico, non avvicinandosi neanche da lontano a quel 3% che invece i partiti «del cambiamento» vorrebbero sfiorare o sforare.
Ragione vorrebbe che tutte queste contraddizioni esplodessero a fine settembre, con la legge di stabilità. Ma l’arte della politica economica italiana, oltre che ai condoni, ci ha abituato ad altre cose non belle: gonfiare una previsione di qua, una cifra di là; dire una cosa e farla a metà; minacciare dimissioni e fine di mondo per restare ciascuno saldamente ancorato al suo posto. Potrebbe andare così anche stavolta, con un condono abbastanza ampio camuffato da «pace fiscale», una finta spending review che abbellisce i conti, una trattativa dell’ultimora con Bruxelles… in ultima analisi, con più debito pubblico nascosto e usato non per rilanciare l’economia e curare il Paese, ma per accontetare gli opposti appetiti degli elettori di Lega e Cinque Stelle. A scapito di tanti altri, e soprattutto delle generazioni future.
Roberta Carlini
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