Ricordando Peppino Ledda

peppino-leddaIl 9 luglio scorso è morto Peppino Ledda, l’amico nostro di sempre. Ci saranno molte occasioni per ricordarlo e ulteriormente onorarne la memoria. Oggi, a due mesi dalla sua dipartita, lo facciamo pubblicando il ricordo affettuoso e commovente che del nostro amico fece Gianni Loy nella messa del trigesimo, nella chiesa parrocchiale di Sant’Anna. Ci concediamo questo ricordo, nonostante Peppino non amasse nostalgie e rimpianti, ritenendo giusto abbandonarci per un attimo alla sua funzione bella e consolatoria.
———————————-
Peppino
L’ho incontrato per la prima volta proprio qui accanto, in via Sant’Efisio, nello spiazzo antistante l’ingresso secondario della chiesa. Avremmo avuto 7 o 8 anni. Era pallido, bianco, lungo. Diverso da noi, che il sole di generazioni ci aveva reso scuri di pelle e, d’estate, color nero-tunisino. Ci siamo incrociati per via delle fiamme, verdi o rosse che fossero. La prima volta, mi sembra di ricordare, proprio in attesa che incominciasse la riunione delle Fiamme, mi pare affidati alla sig.na Trincas. E poi, la sua carta d’identità recitava che veniva da Orbetello, che, per noi, non solo era più lontana di Pirri e di Pauli, ma addirittura si trovava oltre il mare, esotica, lontana.

Allora, ancora non sapevo che sarebbe diventato il mio primo e migliore amico, almeno per tutto l’arco più esaltante della vita, quello che attraversa tutta l’adolescenza e si inoltra nella giovinezza.
[segue]
L’unico problema era il padre militare, per questo, tutte le sere, all’ora della cena, ci piantava in asso, per presetnarsi all’irrinunciabile rito familiare. Ma dopo consumato quel rito era di nuovo libero.

Lo attendevamo nella sommità della via Azuni, di fronte alla Chiesa di San Michele, assieme a Franco, naturalmente, che aggiuntosi nel frattempo ci aveva consentito di formare un terzetto.

Franco, era di quelli che la famiglia si era trasferita fuori dal quartiere, a Is Mirrionis, in via Monsignor Parragues, era più piccolo di noi e a quelle ore, a volte, era opportuno accompagnarlo sino a casa, percorrendo il viale S. Ignazio e poi decidere, volta per volta, se proseguire per il viale Merello o inerpicarsi sino al viale Buoncammino, prima di accelerare il passo nella discesa di via Is Mirrionis.

Qualche volta, nel tempo in cui i Salesiani ampliavano i loro fabbricati, prelevavamo un mattone dal cantiere per depositarlo fuori dalla chiesa dei Cappuccini. Immaginavamo, così, di compiere la nostra buona azione quotidiana: di togliere ai ricchi, i Salesiani, per dare ai poveri, i Cappuccini. Oggi potrà sembrare ridicolo, ma ci divertivamo anche così.

E poi: notti in bianco per preparare edizioni speciali del Disco volante, delegati aspiranti, lunghi viaggi con la 500 comprata con i soldi del presalario, corse alla Madonnina, facendo a gara con don Spettu, super con filtro, ciclostile, i primi innamoramenti. Ricordo quando mi raccontò, con la consueta spavalderia, del suo problema cardiaco: avrebbe messo una firma per arrivare a 40 anni!

Amici per la pelle, abbiamo condiviso lo stesso destino, cacciati, insieme, dalla parrocchia, abbiamo messo a frutto le grandi abilità apprese in quegli anni alla scuola di Guido, di Antonello, di don Dino Pittau. Da un piccolo giornale di una parrocchia, che non concepiva l’ironia, siamo passati ad un giornale cittadino, a stampa, o anche più, abbiamo trovato altri spazi, altre praterie, altri amici con i quali condividere l’entusiasmante carica di speranza che quegli anni ci regalavano.

Prendendo a prestito le parole di Mario Capanna, mi viene da dire: formidabili quegli anni. Formidabili davvero, impegnati su tutti i fronti.

Abbiamo proseguito in piena sintonia anche in seguito, quando si incominciavano a formare le famiglie. Quante volte Luciana, del tutto ignara, ci ha dovuto seguire nelle nostre scorribande.

Nella buona e nella cattiva sorte, come quando, assieme, partimmo nella notte per scandagliare il mare assassino, non ho mai cancellato quel ricordo dalla memoria, assieme a quello, opposto, di quando ci abbandonavamo ad incontenibili risate, quelle di Peppino, ma anche quelle di Giovanna.

Poi, il tempo ci ha allontanato, a poco a poco. Le strade si sono incrociate più raramente. Ma, durante tutto questo tempo, tutte le volte che passavo sotto casa sua, non ho mai smesso di dedicargli un pensiero. Non ho mai smesso di sentirmi vicino a Peppino ed a Giovanna, di interrogarmi su quale piega avesse preso il suo destino, il loro destino, di avvertire la mancanza della sua, della loro, compagnia.

Durante tutto il tempo che il destino ci lasciato distanti, Peppino mi è mancato, ma ho continuato a coltivare ogni giorno i segni indelebili della nostra amicizia, continuerò a coltivarli per sempre.

Durante tutto questo tempo, la mia lampada è rimasta accesa. Durante tutto questo tempo, la provvista d’olio non si è mai esaurita.

(Gianni Loy)

One Response to Ricordando Peppino Ledda

  1. admin scrive:

    Da
    Elisabetta Angius

    Grazie
    Nonostante i lunghi anni milanesi che mi hanno tenuta lontana da Cagliari non ho mai dimenticato nessuno di voi.
    Anche Peppino e Giovanna hanno un posto nel mio cuore e nei miei pensieri
    Un abbraccio

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>