FASE POLITICA. Riflessioni interessanti ospitate dalla rivista Rocca
aiuto, aiuto
la sinistra non c’è più!
di Aldo Antonelli su Rocca
Più che un terremoto, l’ultima tornata elettorale è stato uno tsunami che ha cancellato anni di storia e rivoluzionato la geografia politica dell’intero Paese. «Più che una semplice sconfitta elettorale, scrive il vicedirettore di Huffington Post Alessandro De Angelis, è la certificazione di uno sradicamento storico della sinistra dal paese».
Lasciamo agli esperti e, soprattutto, ai responsabili del Partito Democratico, il compito di analizzare la situazione, confidando nella necessaria capacità riflessiva ed autocritica che li tenga lontani dai facili mea culpa e dagli stucchevoli giochini delle reciproche scomuniche.
Noi, da parte nostra, siamo tentati di innalzare bandiera bianca e gridare all’aria che c’è un solo vincitore, non solo in Italia, ma nel più vasto mondo: l’ideologia libertina e truffaldina che scambia la libertà per libertinaggio, persegue il possesso senza interrogativi, compone e scompone persone/monadi come fossero birilli in vista del gioco del momento, impone sogni impedendone la realizzazione, degrada il popolo in una massa liquida spendibile sul banco della politica muscolare di chi fa carriera politica in nome dell’antipolitica. I muscoli al posto del cervello e la volontà di potenza al posto della coscienza sono i nuovi fattori della democrazia telecomandata! Ma a che pro lanciare queste denunce?
È possibile andare oltre gli esclamativi che inchiodano il pensiero all’inazione e imbalsamano la coscienza nella rassegnazione impotente e fatalista?
Ecco: forse porsi delle domande potrebbe rimetterci in gioco con i nostri sogni e le nostre convinzioni.
Noi incominciamo ad avere il sentore che il Partito Democratico sia stato strozzato da un nodo scorsoio nel quale sono confluiti, intrecciandosi e divorandosi a vicenda, tutti i fili che a suo tempo costituivano il tessuto della Sinistra e che il mercato globalizzato e affrancato da ogni tutela statale ha corroso, quattro in particolare: il Popolo, il Lavoro, il Pensiero e il Progetto.
Su ognuno di questi temi apriamo una finestra che offra la possibilità di un rinnovato coinvolgimento per la ricostruzione.
il popolo
Si è fatto di tutto, in questi ultimi decenni, per far diventare plebe del web il popolo della Costituzione. Il popolo non esiste in natura. Non è un aggregato sociale e tanto meno una classe. È prima di tutto una costruzione politica che i politici hanno da tempo dismesso.
il lavoro
«Viviamo in un’epoca nella quale le merci sono diventate le protagoniste della storia mondiale, mentre il lavoro che le produce viene ricacciato in una sorta di purgatorio dell’irrilevanza», denunciava Piero Bevilacqua, docente di storia contemporanea presso La Sapienza già nel lontano 2008.
il pensiero
La fatica del pensiero è stata soppiantata dalla facilità del sentimento ripiegato in risentimento… e non a caso, se Adolf Hitler soleva ripetere: «Che fortuna per i governanti che gli uomini non pensino».
il progetto
Da tempo sono scomparsi dalla politica i progetti di ampio respiro dentro i quali gestire i singoli problemi, scambiando il «Governo della cosa pubblica» con la «governance» di thatcheriana memoria, cosicché l’azione politica è ridotta alla gestione, a ciò che nei manuali di management viene chiamato «problem solving». Cioè alla ricerca di una soluzione immediata a un problema immediato, cosa che esclude alla base qualsiasi riflessione di lungo termine fondata su principi e su una visione politica discussa e condivisa pubblicamente. Dalla politica siamo scivolati verso un sistema (quello della governance) che tendiamo a confondere con la democrazia.
Su questi temi, purtroppo, la sinistra è stata latitante, se non assente.
Ma è su questi temi nodali che noi come cittadini e la sinistra come politica dovremmo lavorare per ritrovare le Parole necessarie per una nuova narrazione.
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ROCCA 15 LUGLIO 2018
ECOLOGIA
se l’ambiente non passa per la Costituzione
di Ugo Leone su Rocca
Come avviene praticamente ogni anno, quale più quale meno, il 2018 ricorda e addiritura celebra alcuni «compleanni». Tre in particolare vedo collegabili perché uniti, senza forzature, dai temi
ambientali: il 70° della Costituzione e il 50° del «Sessantotto» e della nascita del «Club di Roma».
Comincio da quest’ultimo per ricordare che quel «club», di Roma perché fondato a Roma, fu ideato da Aurelio Peccei, ex manager di Fiat e Olivetti, e costituito da un gruppo internazionale di personalità del mondo scientifico, economico e industriale, che si dichiararono «individualmente preoccupati della crescente minaccia implicita nei molti e interdipendenti problemi che si prospettano per il genere umano». Per questi motivi promossero una serie di rapporti sui «dilemmi dell’umanità» affidandone la realizzazione ai ricercatori del Mit (Massachusetts Institute of Technology), il primo dei quali, del 1970, è noto come Rapporto sui Limiti dello Sviluppo. Uno sviluppo che veniva considerato irrealizzabile senza tener conto della qualità del suo ambiente: la Terra con i suoi miliardi di abitanti.
la contestazione ambientalista
Questa preoccupazione e la sensibilità verso le problematiche definibili «ambientaliste» si era già cominciata a manifestare nella università californiana di Berkeley dalla quale partirono i primi «movimenti di contestazione giovanile». Questi erano caratterizzati anche da una chiara connotazione ambientalista che, «importata» oltreoceano, a Parigi innanzitutto, diventò «il Sessantotto» e si andò progressivamente diffondendo. Prima e innanzitutto nei paesi economicamente più sviluppati, poi anche in quelli in via di sviluppo nei quali il deterioramento ambientale presentava aspetti non meno allarmanti di quelli che avevano caratterizzato le economie dei paesi industrializzati. Questa è quella che lo storico Ferdinand Braudel definì «rivoluzione culturale»; una rivoluzione che, come scrisse il sociologo Pierre Fougeyrollas, significava «una rivoluzione nella ma- niera di sentire, agire e pensare, una rivo- luzione nelle maniere di vivere, insomma una rivoluzione della civiltà». In ciò non mi sembra una forzatura vedere i presupposti di quella che sarebbe stata auspicata come «rivoluzione ecologica della società». La componente ecologista del movi- mento ha avuto grandi meriti nella sensibilizzazione di crescenti «masse» di popolazione ai problemi dell’ambiente ed ai rischi connessi con una crescita puramente quantitativa che non si traducesse in reale sviluppo economico e sociale.
Anche in Italia dove, preoccupati soprattutto della ricostruzione post bellica e del rilancio della crescita economica (che fu poi definita il boom degli anni Sessanta), non ci si preoccupò del come tutto ciò si stava realizzando: con quale impatto negativo su ambiente e territorio. E, quindi ignorando quanto tutto ciò stava avvenendo in modo «incostituzionale». Trascurando cioè di sapere e ricordare che la Carta Costituzionale all’articolo 9 prevede che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Come si vede è un articolo ricco di «parole chiave» di eccezionale importanza: cultura, ricerca scientifica, paesaggio, patrimonio storico e artistico. Ma privo di un’altra: la parola ambiente.
Un’assenza ben «giustificabile» perché all’epoca – era il 1947 – non si parlava di ambiente. Non come se ne sarebbe cominciato a parlare dal ’68 e come se ne parla oggi e non con le preoccupazioni con le quali questo argomento si affronta da una cinquantina di anni.
il valore paesaggio
La ricostruzione fisica delle fabbriche distrutte e delle abitazioni rase al suolo dalla guerra avvenne, soprattutto per l’edilizia abitativa, in modo assolutamente incurante dell’importanza del valore paesaggio. E furono messe, non solo a Napoli, «le mani sulla città» così ben documentate nel 1963 nel film di Francesco Rosi. In non pochi casi ne ha negativamente risentito anche il patrimonio storico, artistico e naturale. Basta osservare le manomissioni in non pochi siti archeologici della Magna Grecia quali, soprattutto, Calabria e Sicilia e in aree naturali di eccezionale valore come ad esempio il Vesuvio e i Campi Flegrei. Il che significa che ne ha complessivamente risentito non solo il paesaggio, ma l’ambiente di vita in generale. Cioè ciò che ci sta intorno che è il più genuino significato della parola ambiente.
Anche per questo non ci sarebbe, non ci dovrebbe essere, bisogno di ricorrere alla Costituzione per riconoscere la incostituzionalità di comportamenti che quasi quotidianamente compromettono la qualità della vita dei cittadini. Perché qualità dell’ambiente e sicurezza del territorio sono temi che qualunque governatore della cosa pubblica, dal governo centrale al più piccolo degli ottomila comuni del Paese, dovrebbe avere in cima ai suoi obiettivi di gestione dei cittadini che è stato chiamato ad amministrare.
La conclusione è che non manca niente nella Carta costituzionale per difendere e pretendere che sia difeso l’ambiente. Anche se questa parola «manca» o, meglio, non è presente nell’articolo 9.
Ugo Leone

ROCCA n. 14, 15 LUGLIO 2018
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