Migrazioni. Tragicamente. In nessun luogo al mondo muoiono nell’atto di migrare tante persone come nel Mediterraneo
MIGRAZIONI
numeri motivi e problemi
di Pietro Greco su Rocca.
A fine giugno 2018 erano già oltre mille i migranti morti nel Mediteraneo, secondo i dati forniti dll’Unhcr, Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di rifugiati. Dal 2014 ad oggi hanno perso la vita in quello che i romani chiamavano il Mare Nostrum, il nostro mare, all’incirca 15.500 migranti. Una media di oltre 4.000 persone l’anno. Una ecatombe.
Se un alieno proveniente da un altro pianeta avesse letto i giornali, non solo italiani, nelle ultime settimane e avesse dato credito alla quantità di spazio dedicata all’attraversamento del Mediterraneo da parte di migranti, si sarebbe fatta l’idea che quei mille morti nei primi sei mesi del 2018 sono lo scotto necessario di un assalto scomposto alla fortezza Europa e, in particolare, all’Italia.
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Ma i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), fondata nel 1951 dalle Nazioni Unite, ci prospettano una situazione affatto diversa. Nella prima metà del 2018 in Italia sono sbarcati
all’incirca 14.500 migranti: l’80% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017, quando i migranti che raggiunsero le coste meridionali del nostro paese furono oltre 64.000.
Sono troppi? Sono un numero così insopportabile da catturare in maniera pressoché monopolistica l’attenzione dei politici e dei media?
Non sono domande cui rispondere con mere dichiarazione polemiche. Conviene far parlare i dati. Quelli raccolti nella maniera più oggettiva possibile. Per esempio i dati proposti dal Global Trends. Forced Displacement in 2017 pubblicato nei giorni scorsi dall’Unhcr. Ebbene, il rapporto documenta che ogni giorno, nel 2017 appunto, 44.400 persone in tutto il mondo sono state costrette ad abbandonare le loro case a causa di persecuzioni, conflitti o violenze generalizzate. Per un totale nell’arco dell’anno di 16 milioni e oltre di persone. Un autentico record, che conferma un trend ormai consolidato.
Il numero di refugees, così vengono chia- mati nel gergo del diritto internazionale, sta drammaticamente aumentando. Erano 3,5 milioni nel 2003. Sono saliti a 5,5 milioni in media tra il 2006 e il 2011, quando hanno superato i 10 milioni per anno, subendo un’autentica impennata di cui non si intravede la fine a partire dal 2011, fino al record assoluto dei 16,2 milioni del 2017. Forse solo nell’immediato dopoguerra c’era stato un tale flusso di migranti forzati.
Certo, la guerra in Siria è stata una delle cause di questa impennata. Ma il conflitto in Medio Oriente spiega solo una parte del fenomeno e neppure la principale.
Tra tutti i migranti forzati del 2017 ben 11,8 milioni – il 72,8% del totale – sono, per usare ancora il gergo del diritto internazionale, internally displaced: significa che lo hanno trovato un qualche riparo al- l’interno dei confini del proprio paese. Il che ci fornisce un’indicazione importante: tre migranti forzati su quattro non hanno manifestato – vuoi per volontà esplicita vuoi per impedimento – alcuna tendenza a spostarsi all’estero. Sono rimasti vicini alle loro case, nella speranza di ritornarvi al più presto. Non c’è dunque – neppure di fronte alle guerre, alle persecuzioni – il tentativo di invadere altri paesi. Tanto meno l’Europa.
Certo, 4,4 milioni di migranti forzati – il 27,2% del totale, poco più di uno su quattro – hanno trovato un riparo fuori dai confini del proprio paese. Il 52% sono bambini o comunque adolescenti al di sotto dei 18 anni. Il che ci fa capire che sono stati costretti ad andare all’estero e che non c’è stata una deliberata e organizzata volontà, come pure qualcuno va sostenendo. La riprova che non c’è alcun assalto alle fortezze del ricco Occidente e men che meno all’Europa, lo dimostra un altro dato: lo scorso anno 5 milioni di migranti forzati sono riusciti a tornare alle loro case. Tra questi 667.400 avevano trovato rifugio all’estero.
Tirando le somme, sostiene il rapporto dell’Unhcr, oggi nel mondo tra vecchi e nuovi migranti forzati ci sono 68,5 milioni di migranti forzati a causa di guerre, violenze, persecuzioni. Tra loro, 40,0 milioni sono internally displaced (il 58,4% del totale) mentre 25,4 vivono fuori dai confini del loro paese.
Che l’Europa non sia sotto attacco lo dimostra il fatto che i tre paesi che accolgono la maggior parte dei migranti forzati non sono europei: la Turchia (3,5 milioni), il Pakistan e l’Uganda con 1,4 milioni rispettivamente. Tra gli otto paesi che ospitano più refugees stranieri, c’è un solo paese europeo: la Germania (con 1 milione dei refugees). Tanti quanti il Libano.
Ma in Germania, che ha 83 milioni di abitanti, l’incidenza dei rifugiati sulla popolazione è dell’1,2%. Mentre il Libano, che di abitanti ne ha solo 4,2 milioni, l’incidenza dei rifugiati sulla popolazione è venti volte tanto: il 23,8%.
Tutti questi numeri ci dicono che il problema dei migranti forzati è drammatico e generale. E che l’Europa fa la sua parte, ma non è affatto una «fortezza assediata».
non ci sono solo i migranti forzati
E, tuttavia, non ci sono solo i migranti forzati che vanno via da casa inseguiti da guerre e violenze e persecuzioni. Ci sono anche altri migranti, che vanno via per motivi ambientali. E sono addirittura di più dei refugees, perché, secondo un altro rapporto dell’Unhcr, nel 2016 i nuovi migranti a causa di disastri ambientali (terremoti, vulcani, inondazioni, siccità e quant’altro) sono stati ben 24,2 milioni, (Rocca n. 12).
Secondo l’ultimo World Migration Report, infatti, il totale dei migranti ambientali costretti a vivere lontano dai loro paesi (vecchi e nuovi) nel 2015 ammontava a 244 milioni di persone: quasi dieci volte più dei refugees. Anche loro sono in crescita: erano infatti «solo» 155 milioni nell’anno 2000.
Non è semplice distinguere tra refugees e migranti ambientali. Le leggi internazionali lo fanno: riconoscendo dei diritti ai primi e quasi nessuno ai secondi. Ci sarebbe da chiedersi, come fa papa Francesco, il perché. Perché dovrei avere meno diritti se ho perduto casa per un’inondazione invece che per una bomba?
Ma la realtà è più complessa. Molti studi sostengono, per esempio, che la gran parte dei siriani sono andati via dal loro paese sia per la guerra sia per la siccità. La stessa cosa vale per le motivazioni econo- miche, difficili da distinguere in modo netto da quelle relative alla violenza o a quelle ambientali.
Europa non è fortezza assediata
La percezione crescente che abbiamo noi in Europa di questi fenomeni largamente sovrapponibili è che tutti i migranti vengano da noi e che quasi tutti vengano dall’Africa. Nulla di più falso. l’Europa ospita solo 75 milioni di migranti internazionali. Tanto quanto l’Asia. Ma c’è una differenza. In Europa non ci sono – almeno, non ce ne sono molti – sfollati interni, gente che è stata costretta a spostarsi da una parte all’altra del paese in cui sono nati, come è successo ad alcuni (a troppi) italiani nelle zone appenniniche colpite da vari terremoti.
Ed è difficile distinguere tra migranti clandestini e gente che è emigrata con i documenti a posto, per via legale. Sta di fatto che nel mondo a qualsiasi titolo i migranti interni sono 740 milioni. Tre migranti per qualsiasi titolo su quattro, in tutto il pianeta, restano dunque entro i confini patrii. Perché non possono e, soprattutto, non vogliono andare altrove. Altro che fuga incontrollata. La gran parte dei migranti in qualsiasi modo forzati, sia internazionali o interni, sia ambientali, economici o rifugiati per motivi bellici vuole tornare a casa.
Certo, il flusso maggiore della migrazione internazionale è diretto verso i paesi più ricchi, compresi i paesi europei. Ma, in rapporto alla popolazione, l’Europa è quella che ne ospita di meno: il 10% di chi abita in Europa viene da fuori, contro il 15% del Nord America e il 21% dell’Oceania. Ancora una volta la percezione che abbiamo di un’Europa «fortezza assediata» non ha fondamento alcuno.
Il paese che ospita più migranti internazionali sono gli Stati Uniti d’America: oltre 46 milioni. Al secondo posto viene la Germania, che ne ospita 12 milioni. Certo anche l’Italia ha i suoi migranti internazionali: compare infatti nella classifica dei primi 20 paesi ospiti (all’undicesimo posto, con poco più di 5 milioni di persone). Ma l’Italia compare anche tra i primi 20 paesi da cui vanno via i migranti internazionali (siamo al ventesimo posto). E i nostri vanno via non per motivi di guerra (non sono refugees) e neanche per motivi ambientali. Vanno via per motivi economici. Cercano all’estero quello che l’Italia non sa dare loro all’interno. Con la stessa logica che i migranti che vengono dall’Africa, dal Sud America o dall’Asia su gommoni e carrette del mare o su normali voli di linea cercano da noi: quello che il loro paese non sa dare loro.
Un fatto, però, è vero. Tragicamente. In nessun luogo al mondo muoiono nell’atto di migrare tante persone come nel Mediterraneo.
Pietro Greco

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