Ambiente & Solidarietà
Ormai tutti gli scienziati affermano che il cambiamento climatico, che le ere geologiche hanno visto susseguirsi in tante diverse fasi, viene fortemente accelerato dall’opera degli esseri umani e dal loro modo di intendere il rapporto con la natura: come un qualcosa non solo e non tanto da conoscere, ma soprattutto da controllare e dominare.
A monte di questo modo di rapportarsi con l’ambiente, che tanti danni sta facendo e continua a fare, c’è un’ idea di che cosa è l’ambiente molto datata che – come vedremo – che anche Papa Francesco ha implicitamente criticato nella sua enciclica Laudato si’ .
Per molto tempo con il termine “ambiente” si è indicato il risultato di una serie di processi essenzialmente naturali, considerati all’origine di tutto ciò che è e che si trova intorno all’essere umano. Inoltre anche l’origine etimologica della parola indica questo “vizio” d’origine. Il termine “ambiente” deriva infatti dal latino ambiens, che significa circondare. Lo stesso prefisso amb (simile al greco amphi) indica “intorno, da ambo i lati”. Inoltre quest’origine non va circoscritta a un unico Paese visto che è praticamente identica in diverse lingue europee: in inglese, ad esempio, environment deriva dal francese envìronnement vocabolo composto dal prefisso en (intorno) e dal verbo virer (girare), in tedesco Umwelt, è composto dal prefisso um che precede il sostantivo Welt (mondo), indicando “ciò che sta intorno”.
Quanto appena detto permette di rilevare un aspetto che ha caratterizzato gran parte della cultura europea: l’antropocentrismo. Nelle diverse etimologie del termine vediamo, infatti, che l’essere umano non è visto come parte integrante della biosfera, ma come entità che, pur ponendosi al centro del mondo, ne risulta in realtà esterno in quanto l’ambiente è ciò che sta intorno. Un passaggio non secondario e che, attraverso una serie di mediazioni (il cui elemento centrale – schematizzando – è l’inserire una differenza qualitativa sottolineata dal considerare l’ambiente come un qualcosa di esterno all’essere umano, quindi di altro da sé) porta alla necessità di controllare e – come accennato – soprattutto di dominare l’ambiente plasmandolo e gestendolo sulla base delle proprie superiori necessità. Necessità considerate eticamente accettabili in quanto, cartesianamente, l’essere umano è pensante (res cogitans o, se si preferisce, ha un’anima) mentre l’altro da sé, l’ambiente, no (è res extensa).
Col passare degli anni questa visione antropocentrica è stata parzialmente modificata dalla seconda rivoluzione industriale dell’Ottocento e in particolare dalla maggiore consapevolezza (dovuto anche al nascere di nuovi movimenti sociali in possesso di una maggiore conoscenza scientifica) del secondo dopoguerra.
In questo processo culturale, che qui, ripeto, viene tratteggiato a grandi linee, hanno avuto un ruolo anche la crescita demografica, lo sviluppo di tecnologie a forte impatto, le maggiori conoscenze scientifiche e l’iniziale diffusione di idee diverse sul ruolo e il significato dell’ambiente (da Gregory Bateson, 1904-1980, a Edward Goldsmith, 1928-2009, solo per citare due autori di formazione molto differente). Il tutto ha poi contribuito ad iniziare ad elaborare l’idea della biosfera: un “intorno a noi” di cui l’essere umano è parte da considerate come un tutto fortemente interconnesso e che rappresenta l’insieme delle zone della Terra in cui le condizioni ambientali permettono lo sviluppo della vita.
Al termine del XX secolo le tematiche hanno conquistato l’interesse dei mass media e coinvolto la sensibilità di quote sempre maggiori di popolazione ponendo con forza il discorso della sostenibilità che ha messo in discussione l’ineluttabilità dell’equazione sviluppo-alterazione ambientale e che apre anche un altro problema sul significato del termine sviluppo, che qui, però, non affrontiamo.
Questi cenni storici – ed è questo l’aspetto che voglio sottolineare – stanno portando alla messa in discussione sempre più marcata dell’altra equazione, che sottende a quella appena citata (l’ineluttabilità dell’equazione sviluppo-alterazione ambientale) e che vede una continuità e, quasi, un interscambio tra i concetti di conoscenza, controllo e dominio riferiti alla e applicati sulla natura. Mentre chi scrive pensa che questo interscambio sia profondamente e concettualmente scorretto. Vediamo.
L’approfondimento della conoscenza scientifica sta evidenziando, da un lato, come quest’ultima (la realtà della conoscenza) sia sempre più approfondita e – non sembri una contraddizione – nello stesso tempo altro dalla realtà dell’oggetto (di quel qualcosa che si vuole conoscere); e, dall’altro, che lo stesso processo del conoscere modifica la stessa realtà dell’oggetto. Con in più una sempre maggiore consapevolezza della complessità e della inter relazione tra i vari campi della realtà dell’oggetto e – dialetticamente correlati – della realtà della conoscenza. Aspetti, questi ultimi, che portano a una consapevolezza molto semplice: che il controllo diventa pura chimera per l’impossibilità di avere un quadro deterministico di un qualcosa che deterministico non è. E questo per due motivi. Non solo perché – ed è il primo motivo – il sogno di Pierre Simon Laplace (1749-1827) di poter tutto prevedere una volta avute tutte le coordinate di ciò che esiste, si è scontrato con alcune declinazioni del concetto di complessità che rendono impossibile una previsione lineare per l’incontrollabilità dell’interrelazione delle variabili in gioco. Ma anche _ ed è il secondo motivo – per l’impossibilità di determinare lo stato dell’arte della realtà in un determinato momento (basti il solo esempio della meccanica quantistica)
A questo punto, se manca la possibilità di controllo, dovrebbe venir meno anche la possibilità del dominio. E di fatto è così, se non fosse che quest’ultimo è diventato un elemento politico che tanti danni ha fatto e sta continuando a fare.
Ma non è tutto. Ridata alla possibilità della conoscenza il suo valore di approfondimento critico e sempre negoziabile della realtà dell’oggetto, va aggiunta una considerazione determinante: che tutti siamo “figli” di un’unica origine (biochimica) della vita, sia quella vegetale che non; e che tutta la complessità successiva della vita è “figlia” fondamentalmente di quattro elementi, i più abbondanti nella biosfera: idrogeno (H), ossigeno (O), carbonio (C), azoto (N)
Il che significa che anche noi siamo ambiente in quanto elementi della biosfera e in quanto non esiste alcuna differenza cartesiana, ovvero – si potrebbe provocatoriamente dire – tutti siamo res extensa, anche se infinitamente complessa. Quindi non c’è più un ambiente “che sta intorno” come “altro da noi”, ma un c’è un ambiente in cui noi – come esseri umani – siamo immersi come sua parte integrante. Aspetto presente anche nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco che, dopo aver citato “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra madre terra” di San Francesco e parlato “dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei”, precisa che “Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora”.
A questo punto si pone un altro problema o meglio, un interrogativo: se non ha più senso parlare di un antropocentrismo in cui l’ambiente è “altro da noi” e che, di conseguenza, noi stessi siamo ambiente, come è possibile fare un discorso di tutela e valorizzazione dell’ambiente senza parlare anche di tutela e valorizzazione dell’essere umano? Ed ancora: è possibile parlare di condivisione ambientale, ormai indispensabile in un mondo fortemente interconnesso (biosfera) senza una condivisione dell’essere umano, “elemento” ambientale a tutti gli effetti? Qualsiasi discorso che neghi l’inscindibilità di questi elementi diventa contraddittorio visto che l’essere umano è a pieno titolo e diritto esso stesso ambiente, arricchito e non certo sminuito dalla cultura nelle sue varie forme e declinazioni (e solo per inciso va ricordato che molti altri esseri viventi sono possessori di culture).
Da qui al passo e alla domanda successiva, il ragionamento è quasi spontaneo: è possibile fare un discorso di ecocompatibilità senza inserire la specificità culturale dell’essere umano e non parlare, quindi, di solidarietà nel senso più ampio del termine? La domanda è retorica in quanto se così fosse si arriverebbe a tutta un’altra serie di contraddizioni logiche e pratiche.
In questo quadro ecologico o se si preferisce di ecocompatibilità, infine, il termine solidarietà ci sembra perda il significato ristretto di solidarietà di gruppo (più o meno ampio) per assumerne uno intriso e fuso con l’ecosostenibilità, quindi molto più ampio e votato a superare le molteplici irrazionalità (disuguaglianze, ingiustizie ecc.) degli esseri umani.
Roberto Paracchini
[…] & Solidarietà di Roberto Paracchini, Editoriale su Aladinews. Ormai tutti gli scienziati affermano che il cambiamento climatico, che le ere geologiche hanno […]