DIBATTITO.

salvimaioLa difficile opposizione al nuovo governo giallo-verde
di Gianni Del Panta su La Città invisibile 4 giugno 2018
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Il cammino è stato certamente difficoltoso. Anche burrascoso in alcuni passaggi. Alla fine però, il primo governo di coalizione tra il Movimento 5 Stelle (M5S) e la Lega è diventato realtà.

Rispetto a tale esecutivo, come crediamo che tutte le forze di sinistra dovrebbero fare, ci poniamo strenuamente all’opposizione. Lo facciamo nella piena convinzione che il governo appena partorito si trovi su posizioni di destra, securitarie e palesemente anti-sociali. Lo facciamo, ancor di più, nella convinzione che le misure e le leggi che verranno varate dall’esecutivo giallo-verde saranno del tenore sopradescritto.

Eppure, quello che sembra un compito apparentemente facile – contestare l’operato di un siffatto governo – nasconde numerose insidie. Due su tutte sembrano di particolare rilevanza. Anche e soprattutto per la simbiosi che lega l’una all’altra.

Per prima cosa, il panorama dell’opposizione è insolitamente e paradossalmente governativo. Senza scomodare paragoni storici, la situazione è anomala. Questo fornisce, in prima battuta, un’insolita potenza di fuoco ai critici del governo. Accanto alle forze politiche ‘governative di opposizione’ si trova, infatti, un potente apparato mediatico che, pressoché unanime, manifesta aperta ostilità al nuovo esecutivo.

L’aspetto problematico è che tale opposizione sarà di natura liberale, liberista e favorevole allo status-quo in Europa. Detto più semplicemente, sarà la voce dei settori più rilevanti della borghesia italiana con la fondata capacità di esercitare una forte presa egemonica sulle classi medie urbane istruite. Il quotidiano la Repubblica e la sua linea editoriale negli ultimi giorni sono un buon esempio al riguardo. Dopo averci ricordato con grande enfasi le perplessità che Confindustria ha espresso sul contratto che M5S e Lega hanno siglato, il quotidiano fondato da Scalfari non ha lasciato passare giorno senza l’allarmante notizia del rialzo dello spread in testa ai titoli di apertura.

Da una simile compagnia di viaggio non abbiamo molto da guadagnare. Da un lato, contestualizza l’opposizione al governo all’interno di una cornice di senso a noi avversa, correndo anche il rischio, in caso di relativo successo, di riportare in funzione meramente passiva alcuni settori popolari al vecchio ovile del Partito Democratico. Dall’altro, fornisce ai giallo-verdi una potente batteria di argomentazioni per accreditarsi come i paladini del proverbiale uomo della strada vessato e deriso per lunghi anni da quello stesso establishment che, divenuto opposizione, sembra improvvisamente accorgersi che la situazione del paese è decisamente peggiore di quanto immaginato fino al 4 marzo.

Proprio qui, incontriamo la seconda insidia al maturare di un’efficace opposizione di sinistra. Per quanto si possa discutere, qualora si ritenga lo sforzo meritevole, la natura populista o meno dei due partner di governo, quello che sembra difficilmente contestabile è il loro essere popolari. Nel senso di aver ottenuto un consenso che per quanto interclassista non manca di abbracciare i settori meno abbienti della società. Sembra quindi scontato il serio rischio che corriamo: attirarsi le antipatie, in quanto critici del governo che hanno votato, di quanti vorremmo nei nostri ranghi. La concreta possibilità, come abbiamo visto prima, che l’opposizione si articoli lungo le linee del rispetto dei parametri europei, della tenuta in ordine dei conti e della galanteria istituzionale amplifica ovviamente questo pericolo.

In questa prospettiva può anche suonare ingiusta l’etichetta di anti-sociale che abbiamo affibbiato al nuovo governo. Dopo tutto – si potrebbe argomentare – come definire in tal senso un contratto che prevede una forte spesa a deficit e una serie di punti – pensiamo, ad esempio, alla ri-pubblicizzazione del settore idrico oppure all’impropriamente chiamato reddito di cittadinanza – che suonano chiaramente come tematiche di sinistra? Nonostante tutto, viene da dire ai molti, non vi pare che il nuovo governo sia meno anti-sociale di quelli che lo hanno preceduto?

Ci sembra che tutte queste domande siano ben poste, cogliendo dopo tutto un elemento che è innegabile. Ovvero, il Partito Democratico è stato e rimane l’espressione politica più pura della borghesia italiana nel corso dell’intera storia repubblicana. Niente è perciò così anti-sociale quanto lo sono i democratici. Questo da solo non basta però per accreditare come non anti-sociale il governo giallo-verde. L’esecutivo guidato dal professor Conte fallirà nel produrre una sensibile rottura con il passato – cosa peraltro neanche voluta in termini reali – e capitolerà su (quasi) tutta la parte sociale del proprio programma, applicandone solo alcuni elementi di contorno. Questo avverrà per la natura e gli interessi reali di cui sono espressione i due partiti di governo. Inoltre, quanto più il tentativo di rendere effettivo il contratto diverrà impossibile tanto più M5S e Lega ricorreranno all’adozione di misure propagandistiche ed effimere.

Detto altrimenti, nei prossimi mesi vivremo la contraddizione che mentre governo e (gran parte) dell’opposizione sono nient’altro che due diverse facce dello stesso mostro liberista, la seconda muoverà da posizioni liberali e rigorismo economico lasciando all’esecutivo l’arma della becera demagogia. A ruoli invertiti – nel senso che, come sembra maggiormente logico, il rigorismo governava e la demagogia faceva opposizione – è pressappoco lo stesso scenario che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni.

Visto che vorremmo una conclusione meno deludente, cosa dobbiamo fare?

Pensiamo che ci siano tre importanti passi da seguire. Per prima cosa, qualora il nuovo esecutivo dovesse riuscire a dar vita a provvedimenti di natura progressista in campo sociale – penso, ad esempio, all’abrogazione della legge Fornero – la nostra posizione dovrà essere quella di pungolo da sinistra, mostrando che è stato fatto meno di quanto promesso, che si sarebbe potuto osare decisamente di più, oppure che numerose ingiustizie rimangono irrisolte. Avendo cura, soprattutto, di non accodarsi a chi si oppone a tali misure con argomentazioni di destra – mettono a rischio i conti, contribuiscono ad innalzare il livello dello spread, o anche non sono sostenibili in termini finanziari.

In seconda battuta, e questo ci sembra il punto più importante, ogni misura anti-sociale varata dal governo dovrà essere attaccata frontalmente lungo le coordinate di classe. Quello che potrebbe costituire un buon terreno di scontro è la flat tax. Ci convergeranno in molti, crediamo. Ma il campo di gioco – quello della giustizia sociale – è il nostro manto erboso preferito. Infine, e questo è l’elemento più problematico, la stretta sull’immigrazione che, almeno a parole e gesti simbolici, la Lega vorrà mettere a proprio bilancio rischia di contestualizzare il dibattito su linee per noi complicate. Non importa quello che pensiamo individualmente della materia. Il punto di partenza reale è che – piaccia o meno – un fortissimo consenso anti-immigrati esiste tra i lavoratori. Allo stato attuale non è pensabile che tale situazione venga modificata da una campagna di solidarietà a favore dei nuovi arrivati. Chi vorrà vivere in una società meno razzista dovrà prima accreditarsi come forza credibile tra chi si vive le problematicità connesse al fenomeno. L’anti-razzismo senza anti-capitalismo è, dopo tutto, mero perbenismo individualista delle classi medie. Proprio quello che ha contribuito, tra le altre cose, alla scomparsa della sinistra.

*GIANNI DEL PANTA
Gianni Dal Panta, studioso e attivista politico, è dottorando all’università di Siena, dove si occupa della persistenza dei regimi autoritari nel mondo arabo.

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