Portotorres e progetto chimica verde: si diradano le nebbie
di Vanni Tola
Proseguono gli incontri dell’Eni e delle sue consociate nel progetto Matrìca finalizzate alla presentazione del piano per la chimica verde. Dopo la “giornata del cardo”, incentrata sulle potenzialità di tale coltura per il funzionamento della centrale a biomassa del polo petrolchimico di Portotorres, si sono svolti un incontro con il Presidente della Regione Sardegna sullo stato di attuazione del progetto, un incontro tecnico con l’Università di Sassari e, recentemente, l’incontro pubblico della Commissione per la Reindustrializzazione del Comune di Portotorres. Tali momenti di confronto stanno contribuendo a fare chiarezza su alcuni aspetti del progetto chimica verde finora poco noti o avvolti nelle nebbie del si dice. In particolare durante i lavori della Commissione Reindustrializzazione del Comune di Portotorres si è potuto fare il punto su problematiche particolarmente importanti quali lo stato di avanzamento delle operazioni di bonifica dell’area industriale e l’attività di realizzazione dei nuovi impianti per la chimica verde del progetto Matrìca. Per quanto concerne le operazioni di bonifica in atto, la valutazione dei tecnici dell’Eni presenti all’incontro e quelle dell’Amministrazione Comunale, concordano nell’affermare che l’attività procede in modo soddisfacente e nel rispetto dei tempi programmati. I ritardi nelle operazioni di bonifica dell’ambiente che molti denunciano sono da attribuite alle lentezze dell’apparato burocratico nel fornire le necessarie autorizzazioni per altri progetti predisposti. Particolare attenzione è stata dedicata al problema della bonifica della Darsena (per la quale si attende la conclusione di azioni giudiziarie in corso) e la bonifica dell’area denominata Minciaredda nella quale sono state rinvenute notevoli quantità di residui industriali molto inquinanti. A tale proposito i dirigenti dell’Eni hanno confermato che è stato definitivamente accantonato il progetto di costruire un “sarcofago” di cemento per seppellire in loco i rifiuti e che si procederà quindi alla bonifica dell’area con altre modalità maggiormente rispettose di quel sito, uno dei più inquinati d’Italia. I primi impianti per la produzione di monomeri e oli lubrificanti biodegradabili, quindi la centrale a biomasse e il primo stabilimento produttivo, entreranno in funzione entro il corrente anno. Nell’area interessata al progetto operano attualmente circa duecentoquaranta addetti ai montaggi (principalmente demolitori e edili) che, a regime, diventeranno trecentocinquanta. A breve saranno avviate anche le attività elettro-strumentali. I tecnici dell’Eni hanno affermato con convinzione che gli impianti della centrale a biomasse non sono stati progettati e non saranno mai destinati allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani escludendo quindi il rischio della trasformazione dell’impianto in un gigantesco termoconvertitore dei rifiuti. E’ stato pure confermato che la centrale ausiliaria dell’impianto non utilizzerà come combustibile il Fok, pericolosissimo residuo industriale della lavorazione dell’etilene, certamente cancerogeno. Ne esisterebbero grosse quantità nell’area industriale e al momento non si conoscono le modalità di smaltimento scelte. A margine dell’incontro, durante un breve colloquio con il rappresentante dell’Enimont dott. Versari, apprendiamo che è del tutto priva di fondamento la notizia diffusa sulla stampa locale relativa alla superficie di terreno agrario da utilizzare per la coltivazione del cardo che alimenterà la centrale a biomasse. Stime prudenziali ricavate con le sperimentazioni colturali realizzate dall’Enimont , consentono di affermare che la superficie agraria necessaria per le esigenze del progetto Matrìca non supererà i venticinquemila ettari (e non i trecentomila indicati in alcuni comunicati stampa locale) . La superficie agraria destinata alla coltivazione del cardo, peraltro, è notevolmente inferiore alla quantità di terreni abbandonati dall’agricoltura in questi ultimi anni (dati provinciali Istat) per cui è da escludere che la coltivazione del cardo possa in qualche maniera sottrarre superfici e risorse all’attività agricola in atto. Enimont non esclude neppure che alla coltivazione del cardo possa accompagnarsi in futuro anche la sperimentazione e l’introduzione di altre colture di piante oleacee idonee per la produzione di biomassa. E’ importante ricordare inoltre che è allo studio l’integrazione della filiera del cardo con quella del miele per la produzione di miele monoflorale di cardo. Sarà inoltre possibile realizzare la produzione di panelli proteici (dai residui della raffinazione del cardo) che possono essere utilizzati per l’alimentazione animale negli allevamenti zootecnici. E’ stato ricordato in proposito che l’isola è totalmente dipendente dalle importazioni per quanto riguarda l’alimentazione animale. Importiamo annualmente oltre centomila tonnellate di farine proteiche per animali (farina di soia generalmente OGM) che potrebbero essere sostituite dai derivati proteici del cardo. La produzione di energia elettrica della centrale a biomasse è stata dimensionata esclusivamente in relazione alle necessità energetiche degli impianti di chimica verde per cui si esclude che tale attività possa svilupparsi in funzione della vendita di energia elettrica all’esterno. Potrebbero perfino essere necessari ulteriori apporti energetici esterni che potrebbe derivare da altre energie alternative che si vanno sviluppando nell’area, in particolare fotovoltaico ed eolico. Un’ultima annosa questione richiamata durante i lavori della Commissione per la Reindustrializzazione, è quella della partecipazione e del coinvolgimento delle imprese sarde nel progetto. E’ emerso un problema fondamentale delle imprese industriali sarde che non possiamo ignorare magari trincerandoci dietro slogan sull’occupazione coloniale delle imprese esterne e baggianate simili. Dati alla mano i tecnici dell’Eni hanno potuto dimostrare che la scarsissima presenza di industrie locali nei grandi progetti è attribuibile principalmente alla mancanza di imprese locali in grado di svolgere determinati lavori (per esempio le demolizioni industriali che necessitano di grandi macchinari), la scarsa propensione delle imprese locali a consorziarsi per poter partecipare agli appalti e alla realizzazione dei lavori dei grandi progetti industriali. E’ un problema questo con il quale la nostra classe politica regionale e le associazioni degli industriali dovrebbero fare i conti, presto e bene.
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