L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Susanna Camusso: ricostruiamo la cultura del lavoro

 di Susanna Camusso *
… Non so come finirà il dibattito in Parlamento [sulla riforma del lavoro], ma io penso che questa discussione un merito lo ha avuto: dopo tanti anni siamo tornati a parlare di lavoro  e all’insegna del lavoro come la questione fondamentale intorno alla quale si organizza il tempo che verrà. Invertire la rotta vuol dire appunto rimettere al centro e parlare del lavoro. “Un’altra vita è possibile” vuol dire ricostruire la cultura per cui il lavoro è fatto da persone, che come tali vanno rispettate e che sono quelle persone che hanno costruito ricchezza, perchè quelli che hanno pensato che la ricchezza non veniva dal lavoro hanno costruito la nostra nuova povertà e le nostre nuove disuguaglianze, mentre il lavoro nella sua storia ha costruito uguaglianza e nuovi diritti.
* tratto dall’intervento al Dibattito su “Precarietà: da dove viene e dove va”, presentazione del libro di Stefano Boi, tenutosi oggi 27 marzo presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Ateneo di Cagliari
 Intervento di Marco Meloni
 Precaria non è solo la tipologia di contratto di quasi 7 milioni di lavoratori e lavoratrici italiani, precaria è la loro vita, i loro progetti, la loro realizzazione, precaria è la loro idea di famiglia che non fanno altro che rimandare, precaria è l’aspirazione ad andar via dalla stanza in affitto, magari con contratto in nero, o dalla casa dei genitori, precario è il diritto ad una piena cittadinanza di tanti più o meno giovani in questo paese.
Un futuro precario verrebbe da dire, in realtà non sarebbe corretto, alla negazione dei progetti di domani si accompagna l’instabilità ed il disagio dell’oggi.
La flessibilità non può essere una risposta, non se prendiamo atto che sia una strada fallimentare già percorsa, non se ci soffermiamo a guardare dove essa ci abbia portato.
Non sono quelle poche tutele di chi è nel mondo del lavoro a tempo indeterminato a frenare l’ingresso dei giovani, delle donne e di tutti i disoccupati nel mondo del lavoro né tanto meno ad impedire che essi stessi abbiano delle tutele.
E badate bene che UniCa 2.0 – UDU Cagliari non rappresenta chi è già “dall’altra parte della staccionata” chi ha qualcosa da difendere. Gli studenti che credono e si riconoscono nel nostro progetto di rappresentanza studentesca stanno investendo se stessi e le risorse delle loro famiglie nella loro istruzione, stanno formandosi per un lavoro che spesso non c’è oggi e probabilmente non ci sarà domani.
 Quando lavorano lo fanno in genere costretti da un sistema di Diritto allo studio vergognoso, incapace di applicare l’articolo 34 della Costituzione italiana che garantisce il diritto dei capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi (in Sardegna abbiamo l’importo delle borse di studio più basso d’Italia, i criteri di accesso più limitanti e nonostante questo l’ERSU Cagliari riesce a coprire solo poco più della metà degli idonei a ricevere la borsa).
Spinti da questa chiara violazione di diritto gli studenti finiscono in balia del lavoro nero o dei contratti più scapestrati: collaborazione occasionale, co.co.pro, co.co.co, e tanti altri sino ad arrivare alle false Partite IVA.
Questo per dire che anche per chi nel mondo del lavoro non riesce ad entrarvi, anche per chi è marginalizzato e costretto alle forme più dequalificanti, anche per chi sa che gli aspetta un futuro precario come il loro presente, la posizione è chiara:
l’articolo 18 non può essere svuotato del suo significato il licenziamento facile non è una ricetta per la crescita del nostro paese è la pietra tombale di un diritto al lavoro già fortemente indebolito negli ultimi decenni.
Non siamo d’accordo nel merito sulla proposta del Governo ma soprattutto non siamo d’accordo che questo sia posto come priorità nell’agenda del nostro paese.
Con una crisi imperversante, con l’impoverimento diffuso, con una disoccupazione giovanile ai massimi storici, in Sardegna soprattutto, con vertenze alle quali non si da la benché minima risposta, con l’Università e la scuola pubblica allo sfascio, private di risorse e aggiogate alle logiche aziendalistiche, non può essere la riduzione dei diritti dei lavoratori la priorità del nostro paese.

  • Occorre piuttosto investire, e occorre farlo subito, sullo sviluppo, a questo paese serve creare lavoro e che esso torni ad essere la chiave di una crescita sostenibile, sia in termini sociali che ambientali. La flessibilità che ammiriamo in altri paesi sarà frutto di una sana e nutrita offerta di lavoro all’interno della quale sarà il lavoratore a scegliere.
  • Occorre detassare il lavoro, ridurre il cuneo fiscale (nessuno ne parla più), al fine di tornare a vedere il lavoro ed i lavoratori come una risorsa e non solo come un costo. Le tasse sono linfa vitale per lo Stato sociale ma non è possibile che ricada tutto su chi lavora e produce e quasi nulla su chi guadagna con le speculazioni e con le rendite finanziarie.

Vergognoso è sentire che aumentando la tassazione dei capitali scudati, attualmente ad un misero 5%, si tradirebbe un patto sottoscritto dallo stato e vedere al contempo che non si ha però alcuna remora a tradire il patto sociale con i lavoratori del nostro paese.

  • Prioritaria è la riduzione delle forme contrattuali, una giungla che inganna i lavoratori, soprattutto i più giovani e che consente la privazione di qualsiasi tutela.

Bisogna creare un sistema più chiaro che garantisca un contratto stabile a chi fa un lavoro stabile e un contratto subordinato a chi fa un lavoro subordinato; un sistema che, abrogate le forme di lavoro più precarizzanti, renda, per il datore di lavoro, il lavoro autonomo più costoso del lavoro subordinato e che imponga al lavoro discontinuo una maggiore retribuzione e insieme ad essa la previsione di tutte le tutele sociali in materia di malattia, maternità, previdenza e disoccupazione.
In questo capitolo non può essere inoltre da me trascurata la piaga degli stage utilizzati come lavoro gratuito al posto del lavoro contrattualizzato, essi insieme al praticantato dovrebbero essere strumenti di formazione e contatto con il mondo del lavoro, ma per evitare abusi servono regole e sanzioni per chi non le rispetta: gli stage devono essere rivolti a chi è inserito in percorsi di studio o li ha appena completati e devono prevedere un rimborso spese adeguato.

  • Altrettanto necessario è operare subito sul sistema contributivo e pensionistico, perché i giovani precari di  oggi non siano i vecchi poveri di domani. Serve un aumento delle retribuzioni che attualmente sfiorano o neanche raggiungono livelli di sussistenza, e al contempo occorre prevedere contestualmente da un lato una riduzione delle tasse sul lavoro e dall’altro un aumento  dei contributi versati ai fini pensionistici. Ad ogni modo lo stato deve assicurare a tutti coloro che hanno lavorato una pensione che permetta una vita dignitosa.

Parentesi: Il sistema pensionistico può essere preso ad esempio per chiarire come la precarietà oltre a danneggiare i lavoratori che la subiscono danneggi il sistema paese: il calo della natalità e il ribaltamento della piramide demografica, frutto di un’assenza del concetto di futuro tra i nostri giovani, indispensabile per mettere al mondo dei figli, rischiano di compromettere la tenuta dell’INPS, il patto intergenerazionale, senza un’inversione di rotta, è destinato al collasso.

  • Occorre infine battersi ed impegnarsi per porre fine alla ricattabilità costante nel posto di lavoro per i precari e perché i precari in prima persona possano avere voce in capitolo sulle condizioni di lavoro e sui contratti.

Per questo deve essere garantito il diritto di voto alle elezioni per le rappresentanze dei lavoratori nei luoghi di lavoro anche ai precari sia come elettorato passivo che attivo, per  poter eleggere ed essere eletti. E insieme ad esso garantire i diritti sindacali, quali il diritto di sciopero, i permessi per le assemblee e tutti gli altri previsti nei contratti collettivi nazionali di lavoro.
A questo però ritengo opportuno, proprio per rimarcare una visione generale e non settoriale, fare anche un passaggio che rimarchi l’importanza del sostegno alle giovani imprese: visti i tristi dati della disoccupazione, in Sardegna più che altrove, in particolare il nostro primato per la disoccupazione giovanile che si attesta al 40%, non è possibile immaginare che il lavoro del presente e del domani possa passare unicamente dalle aziende esistenti, purtroppo spesso in crisi. Serve quindi scommettere su nuovi progetti imprenditoriali e nuovi imprenditori, certamente non un salto nel buio, dietro il finanziamento e il supporto devono esserci idee concrete, studiate e percorribili. Ma altrettanto certamente occorre ripensare l’accesso al credito, non si può continuare a finanziare unicamente chi già possiede tanto e può offrire le garanzie necessarie che oggi le banche pretendono, dobbiamo premiare le buone idee, qualunque siano le condizioni economico-sociali di chi le propone. Indispensabile inoltre che il supporto finanziario non sia l’unico sostegno, parimenti importante è, infatti, l’accompagnamento della nuova impresa, dalla sua ideazione, alla sua realizzazione, al suo sviluppo e perché no alla sua maturazione anche sul campo dei diritti.
Ciò che ho provato ad accennare qui non è un progetto utopistico di paese, né tanto meno la richiesta che lo stato si accolli il nostro impegno o le nostre responsabilità.
Non ci vedrete mai chiedere un reddito per il solo fatto di esistere.
Noi chiediamo gli strumenti per prendere sulle spalle la nostra vita ed il nostro paese, noi chiediamo di rispettare il diritto allo studio quando studiamo, e di rispettare il diritto al lavoro quando siamo in età lavorativa e abbiamo concluso il nostro percorso di formazione.
Ci battiamo e ci batteremo per questo.
Marco Meloni, Coordinatore di UniCa 2.0

One Response to L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Susanna Camusso: ricostruiamo la cultura del lavoro

  1. Aservicestudio@gmail.com scrive:

    Ottimo

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