Che succede? Migheli: Viviamo un tempo di democrazia assediata. Saraceno: I professori umiliati e il rispetto da insegnare

img_5681Insegnante minacciato in aula
I professori umiliati e il rispetto da insegnare

di Chiara Saraceno su Repubblica 19.4.18
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Il ritorno degli ottimati
di Nicolò Migheli su SardegnaSoprattutto.
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Insegnante minacciato in aula
I professori umiliati e il rispetto da insegnare

di Chiara Saraceno su Repubblica 19.4.18

Uno studente di un istituto tecnico di Lucca ha reagito a una insufficienza prima ingiungendo in malo modo al professore di dargli sei, poi, di fronte al rifiuto, ha chiesto retoricamente chi comandasse e ha ingiunto al professore, che si è ben guardato dall’obbedire, di inginocchiarsi. Il tutto tra le risate dei compagni, registrate nel video che ha ripreso la scena. Di che cosa ridevano?
Del professore che vedevano umiliato dall’atteggiamento di un loro compagno, o di quest’ultimo, del suo modo così sgraziato, così eccessivo e “fuori di testa” di reagire a un brutto voto da farlo apparire psicologicamente disturbato? O di tutti e due?
Qualcuno si sarà forse anche spaventato.
Qualcuno avrà fatto finto di nulla. Non si è sentito nessuno consigliare al compagno di smetterla, quasi aspettassero di vedere come andava a finire. Chissà, forse l’insegnante spaventato avrebbe obbedito all’ingiunzione di inginocchiarsi; o invece avrebbe preso il ragazzo per il bavero, mettendosi dalla parte del torto.
O forse quel ragazzo è considerato dai compagni come uno non “dei loro”, uno di cui ridere quando ne fa una delle sue e da mettere alla gogna sui social. Non ne sappiamo nulla, a parte quel video, che insieme documenta un fatto drammatico e ne cela origini e contesto, oltre alla ragione per cui il video stesso è stato girato e fatto circolare: per divertirsi? Per mettere alla gogna il compagno? Per denunciare un professore di non sapere tenere la classe? Per passare il tempo?
Quel ragazzo che ha minacciato l’insegnante ha certamente problemi comportamentali, deliri di onnipotenza.
Appare un esempio eclatante di quella zona di guerra che troppo spesso sembrano diventati la scuola e il rapporto tra insegnanti, alunni e genitori, dove gli insegnanti appaiono sempre più delegittimati, privati di qualsiasi autorevolezza.
Ma anche i compagni che assistono, ridono, girano video, come se fossero spettatori di qualche cosa che non li riguarda, mentre altri forse si ritirano spaventati, non sono del tutto estranei a questa strisciante delegittimazione del rapporto educativo. Non sfidano gli insegnanti con comportamenti irriguardosi, eseguono i compiti e le azioni richieste. Ma se ne stanno come ostaggi passivi del lungo tempo scolastico, da vivacizzare con gli imprevisti del comportamento dei compagni o degli insegnanti, documentati dal video di un cellulare usato come schermo difensivo rispetto alla noia, ma anche a un coinvolgimento in prima persona. Come se si ponessero in una situazione di estraneità rispetto alla relazione educativa, decidendo a priori che non ne può venire nulla di interessante e sorprendente per sé stessi.
Il ritiro dell’attenzione interiore, della curiosità, della disponibilità a farsi coinvolgere, è meno drammatico della violenza verbale e fisica. Ma, mentre può costituirne il terreno di coltura, non è meno problematico per il rapporto educativo che costituisce la ragione stessa dell’insegnamento. Punire gli atteggiamenti violenti e non consentire la mancanza di rispetto è doveroso e necessario. Ma non elimina la questione del come educare al rispetto, all’attenzione, anche alla passione per l’apprendimento e al superamento dei fallimenti, a scuola e in famiglia.
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Il ritorno degli ottimati
di Nicolò Migheli su SardegnaSoprattutto.

By sardegnasoprattutto/ 22 aprile 2018/ Culture/

Un noto giornalista scrive su La Repubblica: Il populismo è prima di tutto un’operazione consolatoria, perché evita di prendere coscienza della subalternità sociale e della debolezza culturale dei ceti popolari. Il popolo è più debole della borghesia, e quando è violento, è perché più cerca di mascherare la propria debolezza, come i ragazzini tracotanti che fanno la voce grossa con i professori per imitazione di padri e madri ignoranti, aggressivi, impreparati alla vita.

Vorrebbe essere una riflessione sull’insegnante bullizzato di Lucca; scritta il 20 aprile del 2018 e non del 1888. Berlusconi dopo il rifiuto del M5S di trattare con lui afferma che gli italiani hanno votato male, non secondo la sua razionalità. Viviamo un tempo di democrazia assediata, fuori dall’Europa imperano autoritarismi come quelli russi e anticipi di totalitarismo in Turchia.

Il populismo- categoria vaghissima che dovrebbe includere i nazionalismi cripto fascisti polacchi e ungheresi, la Brexit, Marie Le Pen, la Lega e l’M5S, l’AFD tedesco, Trump, fino agli indipendentisti catalani- è il nuovo spettro che si aggira per l’Europa.

Un miscuglio di movimenti, umori e rancori che spaventa l’élite europea che più che classe dirigente è diventata dirigente di una classe: quella degli inclusi, di chi ha saputo cogliere le opportunità della globalizzazione economica, di chi ha studiato e ha potuto utilizzare i legami familiari e i suoi rapporti di classe. Sì, di classe, per garantirsi migliori opportunità. Il tutto condito con il mito della meritocrazia. Però se interi gruppi sociali vengono esclusi dalle opportunità di base di che meriti cianciamo?

D’altronde sono vent’anni che in luoghi come la Sardegna la mobilità sociale data dagli studi è sostanzialmente scomparsa. Senza uguaglianza non vi è democrazia, sostiene il prof. Settis in un articolo rilanciato da Sardegna Soprattutto. Però l’uguaglianza così cara agli illuministi e ai marxisti è stata scientemente esclusa, sacrificata all’altro mito del nostro tempo: quello della competizione. Società che accrescono il numero degli emarginati che poi producono scelte elettorali conseguenti. Ogni tempo ha il suo ideologo e anche questo l’ha trovato.

L’università della Confindustria, la Luiss, pubblica Contro la democrazia del politologo Jason Brennan docente nella Georgetown University. Lo studioso sostiene che la democrazia è stata sopravvalutata, produce risultati inattesi, il corpo elettorale è determinato da individui manipolabili. Ad esempio la Brexit, causata dalla falsa notizia dei 350 milioni di sterline risparmiati che sarebbero stati destinati al sistema sanitario britannico.

Per cui non più democrazia, governo del popolo, bensì epistocrazia, il governo di chi sa e conosce. Secondo Brennan ci sarebbero tre tipi di elettori. Gli Hobbit, che non sanno e non vogliono sapere, che non votano e quando lo fanno agiscono d’impulso sulla base di informazioni sommarie apprese in più luoghi.

Le reti sociali e la tv sarebbero gli spazi preferiti di documentazione. Gli Hooligan, i tifosi, militano in un partito, zoccolo duro ideologico che vota sempre. Infine i Vulcaniani, i razionali, quelli che sanno, interessati al bene comune, consapevoli delle compatibilità, immuni alla false promesse. Quelli che una ventina d’anni fa venivano definiti ceto medio riflessivo. Stando così le cose, secondo il politologo americano, bisognerebbe istituire dei metodi di selezione degli elettori e solo chi ha fatto certi studi, o dimostra di conoscere bene i temi del dibattito politico, può votare e contribuire così alle scelte.

Tesi che stanno provocando dibattiti accesi perché mettono in crisi uno dei principi cardine delle democrazie contemporanee: il suffragio universale. Non c’è da meravigliarsi troppo, è la conseguenza dei processi economici accettati dalla politica come inevitabili, quelli che negli ultimi trent’anni hanno distrutto la classe operaia, le sue organizzazioni di rappresentanza, che hanno predicato la disintermediazione e prefigurato comunità di destino uniche tra finanzieri, imprenditori e dipendenti in stato di continuo precariato.

Persone, queste ultime, vittime della competizione ossessiva e trasformate in plebe, in clientes. Le tesi di Brennan non minano la democrazia liberale nata come consesso degli ottimati, di chi per censo e reddito poteva rappresentare ed essere rappresentato.

Posizioni che non intaccano la libertà economica che può vivere ovunque, anzi nei regimi autoritari prospera meglio, come dimostrano il Cile di Pinocet e la Cina. Quindi non più democrazia ma di nuovo aristocrazia mascherata da epistocrazia. Le responsabilità delle sinistre di governo per questo stato di cose sono gigantesche, aver rinunciato all’uguaglianza per essere accettati nei circoli che contano, per l’attico e la villa nelle spiagge giuste. La democrazia corre il rischio di essere una parentesi nella storia europea. I sistemi preconizzati dai reazionari alla Jason Brennan il futuro.

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