La crisi della scuola riflesso della crisi della società
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Scuola e bullismo
articoli ripresi da eddyburg
il manifesto, Corriere della sera, eddyburg, 20 aprile 2018. La crisi della scuola è il riflesso della crisi di una società nella quale il “titolo” vale mille, mentre i contenuti dell’apprendimento valgono zero. Articoli di Alessandra Pigliaru, Alba Sasso e Antonio Polito.
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Che tristezza Michele Serra. Ragionamenti che ci portano indietro, perlomeno all’Ottocento. La risposta positiva ed efficace alle problematiche della disgregazione sociale si trova nel cammino di emancipazione delle classi povere che le Sinistre e i Cattolici impegnati nel sociale portarono avanti dagli albori del movimento operaio in poi. Il programma da attuare, valido ora più che mai, è quello contenuto nella Carta Costituzionale. Spetta ai cittadini, singoli e organizzati e alle Istituzioni dare attuazione ai valori di uguaglianza e di emancipazione che vi sono dichiarati. Al riguardo fondamentale è l’educazione civica, che va insegnata, appresa, praticata, senza lassismi e con serietà e severità. Abbiamo nella storia una quantità enorme di esempi positivi, senza ricorrere necessariamente a quelli oggi tornati giustamente alla ribalta (don Milani, Paulo Freire, ecc.). Basterebbe far riferimento alle miriadi di maestre e maestri e docenti in genere che praticano l’insegnamento e riescono a utilizzare la Cultura come fondamentale strumento di crescita e riscatto delle masse popolari. Ecco, torniamo a quei concetti e a quegli impegni (f.m.).
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- Commenti sulla pagina fb di Lucia Cossu.
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- Il commento di Vittorio Pelligra, su fb.
“Consideriamo il caso ipotetico di due studenti con un background socio-economico familiare medio. Uno studente frequenta una scuola dove la maggior parte dei coetanei proviene da famiglie abbienti; l’altro studente, invece, frequenta una scuola dove la maggior parte dei compagni proviene da famiglie svantaggiate dal punto di vista socio-economico. I dati indicano che il primo studente mostrerà, in media, in tutti i paesi dell’OCSE, una performance di lettura di 32 punti in più rispetto al secondo studente, e questa differenza supererà i 50 punti in diversi paesi, come Italia, Germania, Ungheria, Lussemburgo e Turchia”. (Equity and Quality in Education, rapporto OCSE, p. 108).
Michele Serra nel suo sgradevole e superficiale articoletto sulla scuola, cerca di sollevare un punto importante, ma lo fa in maniera superficiale e mancando in maniera clamorosa il bersaglio. La prima parte è condivisibili, con i limiti di cui sotto, mentre la seconda parte fa accapponare la pelle per il livello di qualunquismo che esprime. Tralasciando il tono classista, elitista e insopportabilmente snob, egli afferma nella parte più ragionevole del pezzo, che “Non è nei licei classici o scientifici [ma] negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore, e lo è per una ragione antica, per uno scandalo ancora intatto: il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza”. Non è vero. Il problema non è che i ricchi sono più bravi e i poveri no, ma che i ricchi scelgono scuole migliori di quelle che scelgono i poveri. Allora il problema non è tanto lo status socio-economico delle famiglie di provenienza, ma i meccanismo attraverso il quel le scuole selezionano i propri iscritti. La catena di trasmissione della diseguaglianza non sta tanto nella natura della scuola, quindi, liceo o tecnico/professionale, ma nel meccanismo attraverso il quale si accede a tali scuole. Si chiama “selezione avversa” ed è un fenomeno molto studiato in economia. Se una scuola ha fama, meritata o no, di essere difficile, selezionerà gli studenti più motivati o più interessati al prestigio, non necessariamente più bravi, ma magari quelli le cui famiglie tengono più al titolo. Spesso ciò avviene su indicazione degli insegnanti delle scuole medie che indirizzano i loro studenti e le famiglie verso certe scelte piuttosto che altre. Allora il problema non è lo stato socio-economico dei ragazzi, ma il modello di scuola che abbiamo creato, questo sì. Una scuola classista, dove le differenze iniziali, invece di ridursi, si accentuano, dove la professione dei genitori ancora influenza le valutazioni dei professori, dove la partecipazione alle attività extracutrriculari e spesso anche a quelle curricolari è a pagamento.
Mia figlia oggi mi ha raccontato una battuta, tanto geniale quanto rivelatrice, di un suo compagno. Stavano studiato il periodo ipotetico e la professoressa gli aveva chiesto di completare la frase “se gli asini volassero…” e lui ha risposto “La nostra scuola sarebbe un aeroporto”. Ecco, se le scuole vengono percepite come aeroporti per asini, faranno atterrare asini. Noi invece abbiamo bisogno di scuole che, indipendentemente dal loro status socio-economico, formino cittadini, uomini e donne del futuro, capaci di superare i limiti delle loro origini e guardare avanti, liberi dalla zavorra che il destino gli ha caricato sulle spalle. Se questo è il “populismo” che Serra biasima… mi dispiace per Serra.
PS. per quelli più interessati, qualche dato a sostegno di ciò che affermo.
www.oecd.org
OECD.ORG
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