Siamo realisti, cerchiamo l’impossibile

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Dall’utopia a un programma di governo
di Roberta Carlini.

«Perché dovrebbe importarmene delle generazioni future? Cosa hanno fatto loro per me?». Inizia così, con una battuta di Groucho Marx, un libro sul quale è bene spostare l’attenzione, distraendola dal copione delle trattative preliminari alla formazione dei futuri equilibri di potere, e spostandola sui contenuti di un’azione di governo. Il libro si intitola «L’utopia sostenibile», l’autore è Enrico Giovannini (Laterza 2018).
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Economista, statistico, già presidente dell’Istat e già ministro del lavoro (nella breve parentesi del governo Letta, quella chiusa dallo scampanellio arrembante di Renzi: sembra un secolo fa), Giovannini ha legato gran parte della sua attività nell’ultimo quindicennio al tema della sostenibilità. Lavorando, dall’Istat e dall’Onu, sulla revisione degli indicatori, poiché sono i numeri che spesso ci indicano quel che dobbiamo fare oppure ci delimitano i sentieri per farlo: dall’Istat, ha posto le basi per il passaggio dalla misurazione del Pil (prodotto interno lordo) a quella del Bes (benessere equo e sostenibile). Ha fondato l’Alleanza italiana per lo sviluppo equo e sostenibile, che diffonde la cultura della sostenibilità, tra le altre cose con un festival annuale – che quest’anno si svolgerà dal 22 maggio al 7 giugno, con eventi sparsi in tutt’Italia.
L’utopia è un non luogo, un’aspirazione, una tendenza continua che, per definizione secolare, è destinata a non realizzarsi ma a seminare futuro. Eppure, il libro di Giovannini è un programma concreto per l’utopia. È difficile che gli economisti, alle prese con i vincoli legati alle risorse scarse, si occupino di utopie. Eppure necessario, visto che – ha spiegato Giovannini qualche giorno fa nel corso di una presentazione romana del suo libro, nella sede di una biblioteca comunale intitolata a Tullio De Mauro – «la vera utopia sarebbe pensare di poter restare nella situazione in cui siamo». A quarantasei anni dall’evento che introdusse lo sviluppo sostenibile nel dibattito pubblico e istituzionale, il Club di Roma del 1972 sui limiti ambientali allo sviluppo, molte cose sono cambiate. Vertici e trattati internazionali hanno via via fissato princìpi, individuato obiettivi, vincolato i governi su carte e trattati. Nei contenuti, il salto più importante è stato nel passaggio a una concezione ampia della sostenibilità: non ci si riferisce più al solo tema ambientale. L’insostenibilità del saccheggio del pianeta è scientificamente provata, il cambiamento climatico obbliga ad azioni immediate e concrete, dunque l’ambiente resta al primo posto nell’agenda della sostenibilità. Ma questa si arricchisce di altri pilastri necessari: quello sociale, quello economico e quello istituzionale. Non è insostenibile solo il fatto che – per stare solo ai numeri italiani – ogni anno muoiono 60mila persone a causa dell’inquinamento; ma anche il fatto che 4,7 milioni di persone vivono al di sotto della soglia della povertà, oltre 2 milioni di giovani non lavorano né studiano né fanno formazione, che il 5% delle famiglie più abbienti detiene la stessa ricchezza del 75% delle famiglie meno abbienti, che il 18% delle case esistenti è abusivo e che l’80% delle specie ittiche è in condizioni di sovrasfruttamento.

retroutopia
agenda-svil-sostQuesti non sono giudizi morali o politici, ma scostamenti, statisticamente individuati e misurati, dagli obiettivi che noi stessi, come comunità, ci siamo dati: i Millennium Goals, gli obiettivi per il 2030 firmati nel 2015 nella conferenza di Parigi. Se le tendenze restano quel che sono, mancheremo la gran parte degli obiettivi. Siamo già adesso indietro quasi su tutti, in particolare per l’aggravamento della diseguaglianza sociale ereditata dalla crisi e per il nulla di fatto per la difesa dell’ecosistema e dell’acqua. Eppure, non se ne parla, come se quelle carte fossero solo un belletto messo in occasioni ufficiali, e la vera politica, i veri programmi, le cose davvero importanti si svolgessero altrove. La stessa Europa, che «è stata finora la campionessa mondiale dello sviluppo sostenibile» per gli impegni presi e scritti nelle sedi internazionali, al suo interno ha aggravato l’insostenibilità, e procede con grandissime differenze da Stato a Stato. Dando così ragione alla versione scettica e banalizzante della parola «utopia»: bei propositi, ma nel mondo dei sogni; la realtà è un’altra. E negando che, invece, proprio la realtà ci mostra la necessità e l’urgenza di muoversi. Anzi, ci siamo già mossi, però in direzione opposta a quella dell’utopia: quella che Bauman ha chiamato la «retrotopia», ossia la tendenza a cercare rifugio nel passato; di fronte all’aumento del disagio sociale, dell’incertezza sul futuro, della povertà materiale e dei dissesti ambientali, della tecnologia che crea disoccupazione e della globalizzazione che taglia le fabbriche, invocare e sognare il ritorno a un’età dell’oro che forse non è mai esistita. Un’età spesso collegata a un mondo più facile, più chiuso, nel quale si possono presidiare i confini da persone e merci, nel quale la propria Nazione era grande (l’America first di Trump e i sogni della grandezza imperiale della Brexit), e difendere un’identità rassicurante di fronte a cambiamenti tutti vissuti in modo negativo.

l’appello alla ragione contro quello alla pancia
Qui arriva la parte più interessante del libro, che è politica. Dopo aver ripercorso le tappe istituzionali e storiche della evoluzione delle «utopie sostenibili», aver chiarito e raccontato il ruolo della statistica, del potere dei numeri nel tracciare le politiche, Giovannini entra nel mezzo della questione che sta invadendo e scuotendo le nostre democrazie, mettendone a rischio la tenuta anche dal punto di vista istituzionale. Succede ogni volta che, in nome di una «retrotopia», vince chi parla al cuore (alla pancia, si dice spesso) delle tante persone danneggiate, o solamente impaurite, dagli enormi cambiamenti che tutti insieme ci sono precipitati addosso. Non si vince contro queste tendenze difendendo lo status quo o continuando a proporre ricette basate su un modello economico-politico che non funziona più, dai punti di Pil che risalgono alle spinte vecchio stile all’economia. «Mi rendo perfettamente conto – scrive Giovannini – che non si vincono le campagne elettorali spaventando gli elettori con scenari catastrofici senza indicare le possibili soluzioni, ma credo sia altrettanto evidente che vincere una campagna elettorale con promesse mirabolanti basate sul ‘vecchio paradigma’ non seguite da un significativo e duraturo miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini renderebbe estremamente difficile non solo la rielezione, ma la stessa ‘tenuta’ delle società democratiche: infatti, la sfiducia nelle istituzioni e in chiunque abbia governato in passato, a tutto beneficio di ‘facce’ o ‘storie’ nuove, comprese quelle basate su messaggi cosiddetti ‘populismi’ o ‘antisistema’, non farebbe che aumentare, con significativi rischi per l’assetto faticosamente costruito in Europa negli ultimi sessant’anni».

trasformare l’utopia
in programma di governo

Difficile non vedere in queste parole, scritte prima delle elezioni italiane di marzo, una sceneggiatura di quel che poi è successo. L’appello alla «ragione» contro quello alla «pancia» non ha perso solo perché difficile, complesso, a suo modo elitario; ma perché ha invocato una ragione smentita dai fatti, un accompagnamento dell’esistente – che basterebbe solo raccontare e gestire meglio, nell’idea della ex-sinistra che ha perso il governo – che non ne ha compreso l’insostenibilità.
Quale l’alternativa allora, per chi non vuole limitarsi ad agitare catastrofi e cavalcare paure? Nel libro, scritto per la divulgazione e non come saggio scientifico, Giovannini si sforza di trasformare l’utopia in un programma di governo, individuare obiettivi raggiungibili e i percorsi per arrivarci, chiarire quello che si può fare in una singola nazione e quello che deve necessariamente essere fatto a livello sovranazionale, europeo per cominciare. Ci sono passi concreti, politiche specifiche e passaggi con valore simbolico – come nella proposta di introdurre il principio della sostenibilità in Costituzione. Ma soprattutto quello che ci serve, scrive Giovannini, è un cambiamento di mentalità, senza il quale «non potremo realizzare la trasformazione necessaria del nostro mondo al tempo dell’Antropocene. Essere diventati così potenti da determinare addirittura le caratteristiche di un’era geologica richiede a tutti noi di assumere una piena responsabilità per la gestione comune della nuova condizione in cui ci troviamo. D’altra parte – aggiunge – questo è esattamente ciò che papa Francesco intende quando si richiama alla necessità di una ‘ecologia integrale’ in grado di tenere insieme l’ecosistema e quello che ho chiamato ‘sociosistema’». Dunque, «sviluppare tecnologie ri- solutive, migliorare la governance delle nostre società, cambiare mentalità. Difficile, ma non impossibile».
Roberta Carlini

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3 Responses to Siamo realisti, cerchiamo l’impossibile

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