Ieri al mercato di San’Elia. Comprando e pensando.

img_4715di Tonino Dessì, su fb.
Ieri, quando mi sono recato al Mercato civico di Sant’Elia, sono stato preso da una sorta di malinconia apprensiva.
Ci vado spesso per affezione, come pure mia moglie, per comprare soprattutto pesce, frutta e verdura.
Abbiamo vissuto bene per quindici anni, io e lei, nella nostra prima casa di proprietà realizzata dalle cooperative edilizie del PdZ “San Bartolomeo-Sant’Elia” nei primi anni ‘90 (che strano pensare: del secolo scorso!).
Io poi sono cresciuto in un quartiere popolare di Nuoro e da studente universitario ho abitato prevalentemente, a Cagliari, in appartamenti della zona di Is Mirrionis e di San Michele, perciò un tratto psicologico e culturale urbano, ma popolare, fa parte del mio imprinting umano individuale, consapevolmente introiettato.
La ragione dell’apprensiva malinconia che ho provato deriva dal fatto che via via i box del Mercato civico vanno chiudendo e che la struttura, pur moderna, funzionale, ben collocata sotto il profilo urbanistico, versa in palese agonia.
I loro titolari hanno costantemente lamentato una storica ingenerosità degli abitanti dei quartieri circostanti, Sant’Elia vecchio e nuovo, San Bartolomeo vecchio e nuovo, La Palma-Quartiere del Sole, i quali hanno sempre prevalentemente preferito fare, anche molto fuori zona, non solo le provviste generali nei discount e nei centri commerciali, ma anche la spesa corrente e spicciola, compresi appunto gli alimentari come carne, pesce, frutta, verdura, pane, salumi, formaggi, nei supermarket.
Un più sentito radicamento viceversa sta consentendo di mantenere in attività, nonostante le difficoltà, il Mercato civico rionale di Via Quirra, nella parte nordoccidentale, anch’essa popolare, della città.
Non mancano di ricordare, gli esercenti superstiti, che non sono state soddisfatte le aspettative di collocamento e di mantenimento nel grande stabile di servizi quali uno sportello bancario, un ufficio postale, magari una farmacia, gli uffici circoscrizionali amministrativi, che ne avrebbero rafforzato la funzione di infrastruttura civile urbana di zona. (Segue)
Confermano gli interessati che i canoni e le quote di spese generali richiesti dal Comune, già alti in origine, non sono stati rivisti dalla civica amministrazione nè in considerazione dell’obiettivo di mantenimento e di rilancio competitivo del mercato, nè in considerazione della flessione dei consumi e degli acquisti, dovuta alla prolungata crisi economica che ha ovviamente colpito l’utenza di reddito medio-basso.
Mi informano che anche recenti scelte compiute in altri ambiti della gestione urbana hanno una diretta incidenza sul presente e sulle prospettive del mercato.
La realizzazione dello Stadio Arena per il calcio, pur nella sua annunciata provvisorietà, ha occupato a tempo indeterminato la vasta area dei parcheggi antistanti, fra il mercato e il vecchio Stadio Sant’Elia, eliminando quel fattore di competitività rispetto ad altri nodi commerciali pubblici e privati che era appunto costituito dall’ampia disponibilità di posti macchina per l’utenza.
Infine, la nuova destinazione urbanistica data alla vicinissima area ex Ersat, fra Viale Poetto e Viale San Bartolomeo, ceduta alla proprietà di una grande catena commerciale privata che vi ha già avviato i lavori per la realizzazione di un ipermarket (o forse di un vero e proprio centro commerciale), suona per il Mercato civico di Sant’Elia come il definitivo rintocco di una campana a morto.
Non sono un esperto di politica e di pianificazione commerciale urbana.
Certo non mi sfugge che la funzione dei mercati civici pubblici non può più essere quella storica di calmierazione dei prezzi al consumo dei generi di prima necessità.
Presumo tuttavia che un loro rilancio utile e prezioso in chiave contemporanea, di alternatività competitiva con le grandi strutture private della distribuzione, potrebbe essere quello connesso ai filoni della qualità, del biologico, del chilometro zero, delle produzioni tipiche e locali, delle specialità alimentari di eccellenza e che questa caratterizzazione potrebbe costituire una funzione di raccordo e di sbocco per le produzioni dell’hinterland e più in generale del Sud della Sardegna e dell’Isola intera.
Un rilancio dell’intera rete delle strutture commerciali pubbliche che certo avrebbe come testimonial e come capofila il Mercato di San Benedetto, ma che non sarebbe limitata a questa pur prestigiosa realtà storica cagliaritana.
Forse nell’Amministrazione cittadina e in quella metropolitana qualcuno ci sta pensando. Però non si direbbe. Non ne abbiamo notizia pubblica alcuna, almeno.
Come non ne abbiamo più in generale su programmi o progetti di ampio respiro per la città e per la conurbazione.
Non tratto spesso le questioni politiche cagliaritane anche per questa opacità politico-programmatica che impera nella seconda consiliatura di centrosinistra, sardista e sovranista.
Non si sa bene di cosa parlare, infatti, a Cagliari, da un bel po’ di tempo.
Apprezziamo tutti, credo, le realizzazioni in campo di decoro e di arredo urbano, non ho difficoltà ad ammetterlo.
E non dico neppure che questo saprebbe farlo qualunque buona amministrazione. Quella Floris, per esempio, non brillava neppure per questo.
Alcuni servizi funzionano bene, mi pare, come i trasporti pubblici, così come il traffico e la circolazione mi paiono ben gestiti.
Sulla gestione dei rifiuti mantengo una riserva in attesa che decolli la raccolta domiciliare porta a porta.
Poco mi convince che un ecocentro sia previsto proprio in un’area del quartiere di Sant’Elia neppure troppo distante dal Mercato civico e comunque a ridosso delle abitazioni, ma insomma, vedremo.
Però cresce l’impressione che Cagliari continui a rattrappirsi verso il centro, che quello stesso centro vada assumendo prevalentemente i tratti economici e urbanistici della prevalenza delle attività di ristorazione, che il commercio, anima storica e identitaria del capoluogo regionale, si stia contraendo e dequalificando, che non decollino nuove dimensioni economiche tipiche dell’urbanesimo più contemporaneo, tecnologico e telematico, che noi tutti, più che cittadini, stiamo diventando turisti in casa nostra, contemplatori un po’ spaesati, forse anche compiaciuti, ma non partecipi, anzi quasi estranei, dell’allestimento di scenografie fredde, destinate a un’utenza di transito.
E questo mi immalinconisce ancora di più.
(Segnalo questa riflessione, fra gli altri, ad Alan Batzella, Gianni Agnesa, Roberto Mirasola, Guide-Sardegna Anto, Pino Calledda, Luisa Sassu, Aldo Lino, Nicolò Migheli, Piero Marcialis, Franco Meloni, Franco Mannoni).
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- Il post di Tonino Dessì e il dibattito che ne è scaturito.

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