Accordo sulle servitù militari e XVII legislatura: peggio di una Caporetto
Nei giorni scorsi i quotidiani e gli organi di comunicazione della nostra regione hanno dato grande spazio all’accordo sulle servitù militari appena firmato, così come ai presunti mirabolanti risultati della Commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito presieduta dal deputato del PD Giampiero Scanu.
Per fortuna sono apparsi anche alcuni spunti critici, prese di posizione più che condivisibili e spunti polemici su siti come www.democraziaoggi.it, www.vitobiolchini.it, su questo blog e su pochi altri, ma nei quotidiani e nei telegiornali locali si sono riportate soprattutto trionfanti dichiarazioni tipo “accordo storico” per l’accordo sulle servitù e “niente sarà più come prima” per i risultati della citata Commissione parlamentare.
Ma è veramente così?
No, quel che è successo con questa legislatura appena conclusa è un grave danno e una vera e propria beffa per la Sardegna.
Intanto si osserva una singolare coincidenza tra la fine della XVII legislatura nazionale, con la certificata fine ingloriosa della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito che non ha portato a casa nessun risultato significativo e il recente accordo firmato dal presidente della Giunta regionale Pigliaru con il Ministero della Difesa sulle servitù militari che, ugualmente, rappresenta il nulla in termini di risultati acquisiti.
A partire dalla XIV legislatura abbiamo avuto la successione di quattro Commissioni parlamentari sull’uranio impoverito. Della prima non si ricorda nulla e si stenta a credere che sia mai esistita. Della seconda, con la quindicesima legislatura, nonostante la brevità, si ricorda tra le altre cose il grande rigore morale e la sapiente presidenza di Lidia Menapace: si deve a quella commissione l’introduzione del “principio di precauzione” quale linea guida nelle prove e sperimentazioni di qualunque armamento o munizionamento da parte dei militari, sia in missioni di guerra (pardon, di pace: notoriamente l’Italia fa solo missioni di pace!) che nei poligoni militari sardi e non. In estrema sintesi, se non è dimostrata l’innocuità ambientale nell’uso di un determinato munizionamento, anche in attività militari sperimentali, per il principio di precauzione non dovrebbe essere usato da parte di nessuno e in nessun caso.
Con la XVI legislatura, la Commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito presieduta da Rosario Costa (PDL), di cui era componente l’allora senatore Giampiero Scanu, sono stati compiuti passi da gigante. Per la prima volta nella storia della Repubblica, è stato messo nero su bianco l’obiettivo del “superamento” delle servitù militari in Sardegna, con la prevista dismissione di due poligoni, Capo Frasca e Teulada, e il ridimensionamento e la riqualificazione del terzo, il Poligono Interforze del Salto di Quirra. Questi obiettivi riportati nella relazione intermedia del maggio 2012 e nella relazione finale del 2013 della citata Commissione, erano ampiamente supportati da due fatti rilevanti sotto il profilo ambientale e politico. Il primo fatto era che un’indagine ambientale promossa dallo stesso Ministero della Difesa nel 2008, certificava inequivocabilmente nel 2011 lo stato di inquinamento di circa un migliaio di ettari del PISQ, con l’individuazione di una numerosa serie di punti di prelievo dove venivano riscontrati significativi superamenti delle soglie di contaminazione secondo la normativa ambientale vigente e di conseguenza ne veniva richiesta la bonifica e il ripristino al fine del riuso di tutte le aree da parte delle popolazioni, secondo le vocazioni locali.
Il secondo fatto rilevante riguardava il processo di Lanusei ai vari comandanti e ufficiali succedutisi negli anni nella direzione del PISQ, ai quali veniva inizialmente contestato il grave reato di “disastro ambientale”. Grazie al lavoro di un magistrato coraggioso non sardo, Domenico Fiordalisi, venivano portati alla sbarra alti ufficiali delle forze armate italiane dimostrando che in Italia non vi erano (non dovrebbero esserci) aree extraterritoriali nelle quali non valgono le leggi della Repubblica.
Il processo è ancora in corso, ma come ampiamente previsto da alcuni, è stato assai ridimensionato e rischia di finire in un nulla di fatto, soprattutto per una modificazione sostanziale della situazione avvenuta nel mese di giugno del 2014 che viene riportato nelle righe successive.
Nel mese di febbraio 2013 è incominciata la XVII legislatura che ha visto la composizione di una nuova Commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito, questa volta presieduta dal già citato Giampiero Scanu.
Considerato che da componente della commissione precedente e in qualità di coordinatore del gruppo sui poligoni militari si era particolarmente distinto nell’elaborazione della relazione intermedia dedicata al superamento delle servitù militari sarde, era più che lecito aspettarsi che in questa legislatura si sarebbe finalmente messo mano al calendario di dismissioni dei due poligoni di Capo Frasca e Teulada, con l’individuazione delle risorse economiche da dedicare alle bonifiche, ai ripristini e al riuso delle aree dismesse da parte delle popolazioni locali.
Purtroppo non è avvenuto niente di tutto questo.
Il 24 giugno del 2014, tutti i parlamentari del PD (e non solo) hanno votato la fiducia al Decreto legislativo n. 91 che ha innalzato le soglie di contaminazione con l’equiparazione di tutti i poligoni militari alle zone industriali. Di fatto, le soglie di contaminazione nel caso dei contaminanti da metalli pesanti e altro, come tallio, cadmio, tungsteno, alluminio, cobalto, cromo, zinco, piombo, antimonio, rame, ferro, nichel, zirconio, tritolo e torio, a suo tempo evidenziati nella relazioni dell’ARPAS e non solo, certificati nel caso di suoli agricoli secondo la normativa di riferimento, con la trasformazione legale in aree industriali venivano per decreto innalzate fino a 100 volte in valore assoluto per cui l’inquinamento è sparito per legge. La conseguenza è che con tale decreto è sparito l’inquinamento portandosi via ogni possibilità di fare le bonifiche come richiesto da almeno 20 anni dai vari movimenti in Sardegna.
Nello specifico della Commissione uranio poi, si può dire che non sono stati difesi neanche i “minimi interessi sindacali” dei militari. Al riguardo, si è detto che con il passaggio delle cause di servizio all’INAIL e, comunque, con l’equiparazione dei militari a tutti i lavoratori italiani prevista nelle due proposte di legge predisposte dalla citata Commissione finalmente nulla sarebbe stato più come prima, invece, anche qui va detto che tutto è rimasto come prima.
Il perché è presto detto. L’ultimo atto della legislatura è stato l’approvazione della legge di bilancio. In questa legge di bilancio doveva essere approvato un emendamento che prevedeva la copertura finanziaria dei citati disegni di legge, senonché il testo dell’emendamento è stato sì regolarmente scritto e presentato, solo che mancava la relazione tecnica di accompagnamento per cui non solo non è stato approvato, ma non è stato neanche discusso.
Quindi nessuna approvazione, per cui i militari con le loro cause di servizio e quanto altro continueranno ad avere l’onere della prova nelle aule dei tribunali e sottostare alle esclusive norme del ministero della difesa e non del ministero del lavoro.
Perché è stato presentato un emendamento senza relazione?
Anche in questo caso è lecito chiedersi se si tratta di incapacità, di semplice ingenuità o di altro. Certo è alquanto imbarazzante sapere che parlamentari di lungo corso non sappiano che un emendamento va presentato con la relativa relazione tecnica di accompagnamento. Se non lo sapevano significa che sono incapaci, se lo sapevano e non l’hanno fatto vedano i lettori come la devono pensare.
Di fatto, quindi, con l’approvazione della legge di bilancio è bene anche prendere atto dell’inutilità della Commissione uranio che in questa tornata non ha raggiunto alcun risultato pratico, specialmente sul fronte della dismissione dei poligoni, argomento che non è nemmeno stato preso in considerazione.
E veniamo all’ineffabile presidente Pigliaru e al suo accordo storico, ahinoi, sulle servitù militari. Intanto una precisazione. Trattandosi di un docente universitario si deve obbligatoriamente supporre che abbia dimestichezza con la lingua italiana, ma quando si leggono comunicati ufficiali riportati nel sito istituzionale vengono seri dubbi al riguardo. Per esempio questo professore confonde il significato di “indennizzo” con quello di “contributo”: qualcuno gli spieghi che non sono sinonimi, per favore. Per lui, gli indennizzi relativi alle servitù militari diventano sempre e comunque contributi, poco ci manca che li metta a bando! Infatti nel sito istituzionale della Regione si leggono notizie come queste:
“09.05.17 – Servitù militari, Pigliaru scrive ai sindaci: Padoan ha firmato il decreto per i contributi ai Comuni”
“23.11.2017 Servitù militari, Pigliaru incontra a Villa Devoto i sindaci. Nota comune al Ministro della Difesa sui contributi”
Se fosse solo una questione di lessico potremmo dire “cavoli suoi”, ma così non è perché di fatto questa confusione nasconde una patologia politica cronica, riscontrata a più riprese anche in altri casi, che si chiama servilismo.
Infatti nel frattempo, sempre con questa XVII legislatura a guida PD e Regione a guida centrosinistra, cosa è successo?
Gli indennizzi previsti per il quinquennio 2010-2014 sono andati in perenzione come è stato ribadito dal ministro della Difesa nell’audizione del 6 dicembre perché in tutti questi anni la Regione non li ha chiesti.
Nel protocollo firmato di recente non si cita neanche per sbaglio la parola dismissione di poligoni militari, non viene restituito alle comunità locali neanche un metro quadrato dei 35 mila ettari di territorio soggetto a servitù e gli indennizzi prossimi venturi, ammesso e non concesso che si recuperino i fondi in perenzione, vengono decurtati del 10% su base annua.
Si dice che ci sarà l’impegno per pagare gli indennizzi annualmente, ma questa era una rivendicazione dei comuni da almeno 15 anni e si chiedeva anche che i fondi venissero depositati direttamente nelle tesorerie comunali per evitare i pasticci di ulteriori lungaggini, come l’attuale perenzione, a causa dell’inefficienza degli uffici regionali.
E in ogni caso, al riguardo, si parla di impegno ma non di obbligo, ovvero si tratta di aria fritta!
E quale sarebbe poi il succo dell’accordo?
Si potrà andare liberamente per quattro mesi nelle spiagge di Porto Tramatzu a Teulada, Quirra a Villaputzu e S’Ena e S’Arca nell’area del Poligono di Capo Frasca. Ma guarda che risultato storico, ma storico per chi?
Non a caso, nel Consiglio regionale, c’è chi all’interno della maggioranza si è defilato da questo accordo sciagurato definito “al ribasso” perché insostenibile politicamente, ovvero il PdS di Maninchedda e Sedda.
Anche in questo caso ricordiamo a Pigliaru e ai componenti della maggioranza in Consiglio regionale che la competenza sulle spiagge non è del demanio militare ma è sempre stata di competenza del demanio marittimo. Da quando non esiste più il Ministero della Marina Mercantile, il demanio marittimo è diventato di competenza delle Regioni e da queste è passato ai Comuni.
Per cui di cosa si sta parlando?
Quel che sappiamo è che lo spazio del demanio marittimo è sempre stato aperto alla fruizione delle comunità locali, fatti salvi i periodi delle esercitazioni militari e non il contrario, come normalmente si tende a far credere.
Le spiagge sono disponibili 12 mesi all’anno e durante i periodi di esercitazioni militari, solo limitatamente al loro effettivo svolgimento, non sono fruibili dalla popolazione per questioni di sicurezza. Non si capisce allora perché essere contenti di poterci andare, questa volta a causa della sciagurata firma dell’inquilino di Viale Trento, solo quattro mesi all’anno.
A riprova di quanto si dice, riportiamo una classica dicitura delle ordinanze annuali che vengono emesse dalle Capitanerie di Porto interessate: “All’interno delle zone di cui al precedente comma 1 (cioè spiagge e relativi tratti di mare, ndr) è consentita la navigazione finalizzata al transito (nel rispetto dei vincoli generali di cui alla presente ordinanza), nonché la balneazione ed ogni altra attività, esclusivamente nei periodi in cui non sono in corso esercitazioni militari” .
Le ordinanze che regolarmente vengono emesse stabiliscono inequivocabilmente che, al di fuori del periodo delle esercitazioni, da regolare tramite ordinanza, il litorale e le acque di balneazione sono sempre fruibili, non solo quattro mesi all’anno.
Queste ordinanze sono regolarmente emesse per litorali dei comuni afferenti ai poligoni di Capo Frasca, di Teulada e del PISQ.
Il problema è il solito: si confonde il demanio militare con il demanio marittimo. Sul demanio militare, la competenza è del Ministero della Difesa, sul demanio marittimo, le competenze che un tempo erano in capo al Ministero della Marina Mercantile, a seguito del suo scioglimento, sono passate in capo alla Regione e da questa ai Comuni (Legge N.42 del 5 maggio 2009, art.19, D. Lgs 85/2010).
I fatti qui descritti rappresentano una pagina triste, ingloriosa, senza onore e dignità, peggio della nota Caporetto. Là i generali condannarono alla sconfitta certa le nostre truppe, qua i nostri generali di stanza a Roma hanno usato le loro armi contro la Sardegna e gli alti ufficiali di stanza nell’isola, nei distaccamenti di Via Roma e Viale Trento, hanno consegnato le armi senza combattere: una resa incondizionata, peraltro non richiesta dalla controparte, peggio appunto della disfatta di Caporetto di un secolo fa.
Tra meno di tre mesi si andrà a votare per il rinnovo del parlamento italiano e tra poco più di un anno saremo chiamati a rinnovare il consiglio regionale: è auspicabile che ci si ricordi di tutto questo nel segreto dell’urna.
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Articolo molto chiaro ed esauriente, complimenti.
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