Valore Lavoro
Autorizzati dall’autore, pubblichiamo la trascrizione dell’intervento di Ettore Cannavera al Convegno sul Lavoro tenutosi a Cagliari nei giorni 4 e 5 ottobre u.s. Ettore è intervenuto nell’ambito del Tavolo tematico sull’Economia Sociale e Solidale il 4 ottobre. Le proposte emerse nel Convegno saranno illustrate nell’iniziativa “Incontro-dibattito” che si terrà venerdì 1° dicembre, come riportato nella locandina sotto pubblicata.
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Intervento di Ettore Cannavera
4 ottobre 2017
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Nei 10 minuti a disposizione voglio esprimere i miei pensieri quasi per battute, senza poter approfondire più di tanto. E parto dalla frase di papa Francesco, da altri appena citata, ma soprattutto ricordando la mia appartenenza alla Chiesa Cattolica… : “Il lavoro che vogliamo: Libero, Creativo, Partecipativo, Solidale”. Siamo molto lontani da questo obiettivo.
Questa aspirazione nasce dalla realizzazione del nostro essere uomini. Il lavoro non è qualcosa che possa esserci o non esserci, ma il lavoro è essenzialmente la realizzazione della nostra umanità. Permettetemi di citare Freud. La vita – secondo Freud – si realizza per il 50% nel vivere la nostra sessualità, l’altro 50% nella realizzazione delle nostre potenzialità, delle nostre capacità nel lavoro, sia intellettuale che manuale. Uno che non lavora è – oserei dire – parzialmente realizzato nella sua umanità. Ecco perché parlare del lavoro non è uno dei tanti argomenti di cui la politica possa occuparsi, ma il primissimo obiettivo di cui la politica “si deve” occupare perché deve pensare alla realizzazione dei cittadini di cui è responsabile.
Perché il lavoro ?
Perché il lavoro dà la possibilità di mettere a frutto tutte le nostre potenzialità: intellettive, manuali, artistiche, relazionali, ecc.
Ciascuno di noi è in quanto realizzato nel proprio lavoro oltre che nelle relazioni affettive.
Ecco perché è un argomento di cui non si può non parlare. Ed ecco perché noi dobbiamo richiamare i nostri responsabili politici perché lo sviluppo del mondo si realizza nello sviluppo delle proprie potenzialità. Se uno è credente può appellarsi alla visione biblica: Dio non ha creato il mondo, lo ha appena iniziato – dice così la Bibbia – e allora la realizzazione dell’umanità è nel completare il benessere del mondo realizzato dall’uomo. Ecco perché il “non lavoro” genera nel tempo una menomazione. Chi non lavora è una persona monca, manca qualcosa della sua personalità. Lo dice l’antropologia, lo dice la filosofia, lo dice la psicologia. Ecco perché non è qualcosa su cui possiamo transigere, deve essere il nostro impegno quotidiano, culturale, politico, di primo ordine. È gravissimo se penso che ci sono persone, soprattutto tra i più giovani che non possono realizzarsi nel lavoro, perché è così che si realizza la nostra umanità. Questo deve essere l’obiettivo principale della politica, non l’arricchimento di pochi, ma il lavoro arricchimento di tutti. È questo che deve essere sempre l’obiettivo principale. La parola solidarietà è una parola ambigua, a mio avviso: essere solidali molte volte è stato interpretato nel senso di beneficenza, del “volemose bene”, la solidarietà invece vuol dire riconoscere il diritto fondamentale di ciascuno di realizzare pienamente la propria umanità. E allora: quale è il nostro compito? Ebbene i cristiani, i cattolici (oggi riferendosi a questo Papa) richiamano questi contenuti. Ma non c’è un serio impegno in questo settore. Troppo spesso le nostre parole dentro le nostre chiese sono parole vuote, sono parole che non gridano al diritto fondamentale perché tutti gli uomini abbiano un lavoro. Ancora prima di avere l’accesso alla preghiera, l’accesso al tempo libero.
La mia esperienza come cappellano nel nostro carcere minorile di Quartucciu, mi ha convinto che la cosa peggiore non è la condanna della privazione della libertà, ma la più disumana è la condanna all’ozio. Che non è quell’ozio (positivo) di cui si parlava prima: è l’ozio di ragazzi dai 14 ai 25 anni, distesi nei loro letti in attesa che passi il tempo, che sia espiata la loro pena, la loro condanna. Ma la condanna peggiore è quell’ozio a cui sono condannati dentro il carcere. Anche nel nostro carcere di Uta, dei 650 detenuti lavorano solo 60-70 persone mentre tutti gli altri sono condannati all’ozio. Questa è la cosa più grave della condizione detentiva. Anche l’accoglienza dei rifugiati è orientata più verso l’assistenzialismo, piuttosto che al rispetto dei diritti spettanti a tutti gli esseri umani: il lavoro.
L’assistenza si dà a chi non è in grado di lavorare, a chi ha diverse difficoltà, ma assistere uno che arriva in Italia in cerca di dignità, perché scappa non solo dalla persecuzione, ma scappa dalla povertà, in cerca di un diritto: il lavoro dignitoso. L’assistiamo? Diamo loro un compenso per vivere? Ecco perché la destra gioca molto su questo. Perché si spende troppo per assistere queste persone che arrivano da noi. Non siamo in grado di organizzare le opportunità lavorative! Perché ancora prima del bisogno di nutrirsi hanno necessità di realizzare la loro umanità. Per questo il compito principale del nostro Governo, deve essere improntato sulla ricerca di opportunità lavorative. Nella mia esperienza nella gestione dello SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo Rifugiati) accogliamo 35 rifugiati: quale è il nostro compito principale? Quello di creare una svolta, dare loro possibilità di vivere del loro lavoro. Questo è il rispetto della dignità umana. Non assistenza, ma rispetto, con una retribuzione dignitosa, non sfruttamento. Perché questo sta capitando ai nostri rifugiati, invece ci vuole un riconoscimento del loro diritto fondamentale: il lavoro. Il nostro compito, e credo sia l’obiettivo di questo nostro incontro, è quello di avere una coscienza, di rispetto della dignità della persona che non può non passare se non attraverso il lavoro, la realizzazione delle proprie potenzialità, intellettive, manuali, artistiche. L’aspetto più importante dell’uomo è poter dire che vive del proprio lavoro. In conclusione, il convegno di stasera deve giustamente ribadire questo rispetto della dignità e dei diritti. La dignità è legata ai diritti. Il diritto fondamentale è poter vivere del proprio lavoro. E che dire del lavoro precario, del modo in cui stiamo vivendo questa situazione storica, in Sardegna e nel mondo intero? L’invito finale che vorrei fare è proprio questo: non pregare per queste persone, ma pregare perché tutti abbiano pienamente dignità nel rispetto del loro impegno, della loro capacità per poter dire che si vive del proprio lavoro. In fondo l’impegno principale di un politico nel gestire la polis non è altro che creare per tutti opportunità di lavoro. Ed è per questo che tutti noi dobbiamo batterci e credo sia il messaggio di questo convegno.
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Seconda parte
La mia aspirazione è che si prenda consapevolezza della necessità del superamento del concetto e soprattutto della pratica dell’assistenzialismo. Sto male quando i mass media pubblicano i dati delle Comunità, in particolare parlo ad esempio del Sant’Egidio di Roma, o della Caritas. dicono: “questa Pasqua siamo passati ad assistere da 3000 a 6000 persone”. Come dire “abbiamo fatto bene!” Invece lo devono dire con tristezza: più aumenta l’assistenza più vengono dimenticati i diritti. Ecco perché dico al nostro mondo cattolico: superate questa visione strabica che quasi si bea del bene fatto e non cerca di superare questa discriminazione. Se aiuto, giustamente, chi ha bisogno, nello stesso tempo devo lavorare perché non ci sia più bisogno del mio aiuto. Questo è a mio avviso il rispetto della dignità della persona, dei diritti della persona. L’assistenzialismo va superato. È ammissibile assistere solo se nello stesso tempo vado a chiedere politica perché vi sia sempre meno bisogno di assistenza, proprio perché vengono riconosciuti i diritti di ciascuno. Questa è un’azione veramente politica anche seguendo l’insegnamento evangelico perché si basa sul rispetto della dignità di tutte le persone.
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DOCUMENTAZIONE VERSO GLI ATTI DEL CONVEGNO
Tavola rotonda su Economia Sociale e Solidale
Intervento introduttivo di Franco Meloni
Abbiamo inserito tra i contenuti del nostro Convegno la tematica dell’Economia Sociale e Solidale per due ragioni: 1) perchè costituisce un settore – meglio definirlo un “mondo” – che dà molto lavoro, oggi tra quelli di maggiore espansione; 2) perchè richiama l’esigenza e in certa parte la realizza, praticandola, di una “nuova economia” diversa da quella di mercato, con cui allo stato convive, pretendendo in alcuni ambiti di esserne alternativa, fino a preconfigurarne un radicale superamento (ma questa “pretesa” potremo iscriverla a una visione utopica delle prospettive dell’economia, sia al livello di singoli paesi o contesti omogenei, sia rispetto a dimensioni planetarie).
Al riguardo ci piace riprendere alcuni concetti definitori dell’Economia sociale e Solidale da uno dei siti più accreditati (http://www.socioeco.org/)
Economia Sociale e Solidale: un’altra visione dell’economia
1. Di fronte agli effetti devastanti di una globalizzazione predatoria dal punto di vista sociale, umano e ambientale, si impone la necessità di una nuova economia che possa produrre nuovi rapporti sociali e una relazione privilegiata con il pianeta. Alcuni autori fanno riferimento a una transizione necessaria da un modello globale unico basato sulla crescita economica e su un indebitamento sempre più elevato unito al saccheggio delle risorse naturali, verso una federazione decentralizzata di economie sociali e ambientaliste.
2. Le finalità economiche e sociali dell’economia sociale e solidale: creazione di nuovi mercati, risposta a nuovi bisogni sociali, creazione di posti di lavoro, inclusione sociale, rafforzamento del capitale sociale… perseguono complessivamente un grande progetto politico di democratizzazione dell’economia.
Alcuni autori come Jean-Louis Laville (1999) definiscono l’Economia Sociale e Solidale (ESS) come «l’insieme delle attività che contribuiscono alla democratizzazione dell’economia a partire dall’impegno civile».
Emerge allora una scelta di radicale alternativa rispetto alla classica concezione dell’economia di mercato, che oggi è dominata dalla sua versione neo-liberista. Ci piace osservare come tale concezione, purtroppo egemone in quasi tutto il pianeta, contrasti con i principi della nostra Costituzione.
Costituzione della Repubblica Italiana
Articolo 42
La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
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Fatta questa premessa vediamo ora l’ambiente in cui concretamente si manifesta e pratica l’economia sociale e solidale, cioè il Terzo Settore, avvertendo che lo stesso non ne è il campo esclusivo, tuttavia il più rilevante.
Il Terzo Settore in Italia: definizione, dimensioni e complessità
Il Terzo Settore (TS) è costituito da un insieme, vasto ed eterogeneo, di aggregazioni collettive (associazioni, gruppi, comitati, cooperative, fondazioni, enti, ect). Può essere così definito:
“Complesso di soggetti/enti privati che si pongono all’interno del sistema socio-economico, collocandosi tra Stato e Mercato e che sono orientati alla produzione di beni e servizi di utilità sociale per soddisfare bisogni a cui né lo Stato né il mercato privato sono in grado di dare risposta. I destinatari dei servizi offerti nel TS sono l’enorme fetta di popolazione che rimane scoperta dall’assistenza pubblica e che non si può permettere di rivolgersi a un mercato sempre più caro” .
(Bruni, Zamagni, 2009; Weisbrod, 1977 e 1988; Hansmann, 1980).
La complessità del TS è rilevata da due fondamentali documenti che sono il Libro bianco sul TS (Zamagni, 2011) e il Terzo Censimento del non profit (Istat, 2013). Il primo, curato dal Prof. S. Zamagni, allora presidente dell’Agenzia per il TS, descrive lo stato di salute del non profit italiano, i suoi punti di forza e i nodi da sciogliere:
“La chiamano l’altra economia. È quella prodotta dal sistema del TS che arriva ormai a sfiorare il 5% del Pil, occupando in forma retribuita 750.000 persone e 3.300.000 volontari”
(Zamagni, 2011).
Il Libro bianco sottolinea che con 4 milioni di operatori, pari al 18% del totale dei lavoratori italiani, il non profit rappresenta il ‘contenitore sociale’ più grande in Italia: l’età media si aggira intorno ai 40 anni, il 60% è costituito da donne e quasi l’80% delle organizzazioni censite si è costituito negli ultimi vent’anni, a testimonianza della forte espansione che ha caratterizzato l’intero settore.
Il Terzo Censimento del non profit (il primo è del 1999, il secondo del 2001) fornisce la rappresentazione organica più aggiornata della dimensione nazionale del non profit che fotografa i dati al 31 dicembre 2011:
esso è costituito da 301.000 organizzazioni (+ 28% rispetto al 2001) ed i privati collegati al mondo non profit (volontari, dipendenti, altro) sono 5.700.000 (+46% rispetto al 2001). In particolare, sono due i segmenti più dinamici: quello a orientamento imprenditoriale (cfr. le 11.264 cooperative sociali quasi raddoppiate) e quello della filantropia (cfr. le 6.220 fondazioni più che raddoppiate) che sempre più si orienta anch’essa in senso produttivo.
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Campi di intervento.
Gli Enti del Terzo Settore perseguono finalità di interesse generale. La definizione di “interesse generale” è volutamente ampia: sono comprese le attività nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’arte e della cultura, della ricerca e della formazione, dell’ambiente e degli animali, dello sport e del tempo libero, della tutela dei diritti civili, e ovviamente della cooperazione internazionale.
Per quanto riguarda i dati regionali, il non profit cresce soprattutto nel Nord e nel Centro Italia, con punte più alte di presenza e attività in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Lazio.
Quasi la metà dei dipendenti impiegati nelle istituzioni non profit (46,9%) è concentrata in Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna.
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Fonte: Il terzo settore quale volano per l’economia dei territori
Aldo Cavadini1
1 Fondazione Sodalitas, Milano, e-mail: aldo.cavadini44@gmail.com.
Addetti e volontari per regione/provincia autonoma e ripartizione geografica. Censimento 2011, valori assoluti e rapporto di incidenza sulla popolazione. Sardegna (tra parentesi Italia)
Addetti v.a.
16.976 (680.811)
Per 10mila ab.
104 (115)
Volontari v.a.
140.794 (4.758.622 )
Per 10mila ab.
859 (801)
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Fonte: ISTAT. LA RILEVAZIONE SULLE ISTITUZIONI NON PROFIT: UN SETTORE IN CRESCITA
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DOCUMENTAZIONE sul TERZO SETTORE. Tavolo tematico Economia sociale e solidale
DECRETO LEGISLATIVO 3 luglio 2017, n. 117
Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106. (17G00128) (GU Serie Generale n.179 del 02-08-2017 – Suppl. Ordinario n. 43) – Entrata in vigore del provvedimento: 03/08/2017
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Art. 1
Finalità ed oggetto
1. Al fine di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118, quarto comma, della Costituzione, il presente Codice provvede al riordino e alla revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore.
Art. 2
Principi generali
1. E’ riconosciuto il valore e la funzione sociale degli enti del Terzo settore, dell’associazionismo, dell’attività di volontariato e della cultura e pratica del dono quali espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne è promosso lo sviluppo salvaguardandone la spontaneità ed autonomia, e ne è favorito l’apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali.
(…)
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Il Codice del Terzo settore è legge. Cosa cambia con il grande “riordino”
CSVnet 02 Ago 2017 Scritto da Stefano Trasatti
PRIMO: vengono abrogate diverse normative, tra cui due leggi storiche come quella sul volontariato (266/91) e quella sulle associazioni di promozione sociale (383/2000), oltre che buona parte della “legge sulle Onlus” (460/97).
SECONDO: vengono raggruppati in un solo testo tutte le tipologie di quelli che da ora in poi si dovranno chiamare Enti del Terzo settore (Ets). Ecco le sette nuove tipologie: organizzazioni di volontariato (che dovranno aggiungere Odv alla loro denominazione); associazioni di promozione sociale (Aps); imprese sociali (incluse le attuali cooperative sociali), per le quali si rimanda a un decreto legislativo a parte; enti filantropici; reti associative; società di mutuo soccorso; altri enti (associazioni riconosciute e non, fondazioni, enti di carattere privato senza scopo di lucro diversi dalle società).
Restano dunque fuori dal nuovo universo degli Ets, tra gli altri: le amministrazioni pubbliche, le fondazioni di origine bancaria, i partiti, i sindacati, le associazioni professionali, di categoria e di datori di lavoro. Mentre per gli enti religiosi il Codice si applicherà limitatamente alle attività di interesse generale di cui all’esempio successivo.
Gli Enti del Terzo settore saranno obbligati, per definirsi tali, all’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore (già denominato Runts…), che farà quindi pulizia dei vari elenchi oggi esistenti. Il Registro avrà sede presso il ministero delle Politiche sociali, ma sarà gestito e aggiornato a livello regionale. Viene infine costituito, presso lo stesso ministero, il Consiglio nazionale del Terzo settore, nuovo organismo di una trentina di componenti (senza alcun compenso) che sarà tra l’altro l’organo consultivo per l’armonizzazione legislativa dell’intera materia.
TERZO: vengono definite in un unico elenco riportato all’articolo 5 le “attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” che “in via esclusiva o principale” sono esercitati dagli Enti del Terzo settore. Si tratta di un elenco, dichiaratamente aggiornabile, che “riordina” appunto le attività consuete del non profit (dalla sanità all’assistenza, dall’istruzione all’ambiente) e ne aggiunge alcune emerse negli ultimi anni (housing, agricoltura sociale, legalità, commercio equo ecc.).
Gli Ets, con l’iscrizione al registro, saranno tenuti al rispetto di vari obblighi riguardanti la democrazia interna, la trasparenza nei bilanci, i rapporti di lavoro e i relativi stipendi, l’assicurazione dei volontari, la destinazione degli eventuali utili.
Ma potranno accedere anche a una serie di esenzioni e vantaggi economici previsti dalla riforma: circa 200 milioni nei prossimi tre anni sotto forma, ad esempio, di incentivi fiscali maggiorati (per le associazioni, per i donatori e per gli investitori nelle imprese sociali), di risorse del nuovo Fondo progetti innovativi, di lancio dei “Social bonus” e dei “Titoli di solidarietà”.
Senza contare che diventano per la prima volta esplicite in una legge alcune indicazioni alle pubbliche amministrazioni: come cedere senza oneri alle associazioni beni mobili o immobili per manifestazioni, o in comodato gratuito come sedi o a canone agevolato per la riqualificazione; o incentivare la cultura del volontariato (soprattutto nelle scuole): o infine coinvolgere gli Ets sia nella programmazione che nella gestione di servizi sociali, nel caso di Odv e Aps, “se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato”.
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Un esempio di incentivazione e collaborazione da parte delle Pubbliche Amministrazioni nei confronti degli Enti del Terzo Settore, previsto dalla recente legge di riordino
ARTICOLO 71 (Locali utilizzati)
1. Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.
2. Lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. La cessione in comodato ha una durata massima di trent’anni, nel corso dei quali l’ente concessionario ha l’onere di effettuare sull’immobile, a proprie cura e spese, gli interventi di manutenzione e gli altri interventi necessari a mantenere la funzionalità dell’immobile.
3. I beni culturali immobili di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, per l’uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro, possono essere dati in concessione a enti del terzo settore, che svolgono le attività indicate all’articolo 5, comma 1, lettere f), i), k), o z) con pagamento di un canone agevolato, determinato dalle amministrazioni interessate, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l’introduzione di nuove destinazioni d’uso finalizzate allo svolgimento delle attività indicate, ferme restando le disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La concessione d’uso è finalizzata alla realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la corretta conservazione, nonché l’apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione. Dal canone di concessione vengono detratte le spese sostenute dal concessionario per gli interventi indicati nel primo periodo entro il limite massimo del canone stesso. L’individuazione del concessionario avviene mediante le procedure semplificate di cui all’articolo 151, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Le concessioni di cui al presente comma sono assegnate per un periodo di tempo commisurato al raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa e comunque non eccedente i 50 anni.
4. Per concorrere al finanziamento di programmi di costruzione, di recupero, di restauro, di adattamento, di adeguamento alle norme di sicurezza e di straordinaria manutenzione di strutture o edifici da utilizzare per le finalità di cui al comma 1, per la dotazione delle relative attrezzature e per la loro gestione, gli enti del Terzo settore sono ammessi ad usufruire, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, al ricorrere dei presupposti e in condizioni di parità con gli altri aspiranti, di tutte le facilitazioni o agevolazioni previste per i privati, in particolare per quanto attiene all’accesso al credito agevolato.
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Una parte consistente del Codice (sei articoli, dal 61 al 66, pari al 14% dell’estensione del testo) è dedicata ai Centri di servizio per il volontariato (CSV), interessati da una profonda revisione in chiave evolutiva che ne riconosce le funzioni svolte nei primi 20 anni della loro esistenza e le adegua al nuovo scenario. A cominciare dall’allargamento della platea a cui i CSV dovranno prestare servizi, che coinciderà con tutti i “volontari negli Enti del Terzo settore”, e non più solo con quelli delle organizzazioni di volontariato definite dalla legge 266/91 (anche se in realtà era già cospicua la quota di realtà del terzo settore “servite” in questi anni).
I Centri – che dovranno essere di nuovo accreditati – verranno governati da un inedito Organismo nazionale di controllo (Onc) e dalle sue articolazioni territoriali (Otc), le cui maggioranze saranno detenute dalle fondazioni di origine bancaria. Sarà inoltre ridotto il numero complessivo dei Centri in riferimento ad alcuni parametri territoriali. Nella governance dei CSV potranno entrare tutti gli Ets (secondo il cosiddetto principio delle “porte aperte”), lasciando però al volontariato la maggioranza nelle assemblee. Saranno previsti nuovi criteri di incompatibilità tra la carica di presidente di un CSV e altre cariche, ad esempio ministro, parlamentare, assessore o consigliere regionale o di comuni oltre i 15 mila abitanti. I CSV, insieme alle Reti associative nazionali, potranno essere autorizzati dal ministero delle Politiche sociali all’“autocontrollo degli Enti del Terzo settore”. Viene infine centralizzato e ripartito a livello nazionale il fondo per il funzionamento dei CSV, che continuerà ad essere alimentato da una parte degli utili delle fondazioni di origine bancaria e da un credito di imposta fino a 10 milioni, a regime, che queste ultime si vedranno riconoscere ogni anno.
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Nel nostro tavolo di lavoro intendiamo rappresentare questo mondo con alcune esperienze esemplari che spaziano in più campi e con alcune riflessioni di carattere generale, affidate a:
- Ettore Cannavera
- Antonello Caria
- Gisella Trincas
- Giuliano Angotzi
- Remo Siza.
Avendo sviluppato la tematica anche in iniziative di riflessione e dibattito precedenti all’odierno incontro, anticipiamo di seguito alcune conclusioni, meglio definite come
“Proposte impegnative”.
Impegno a sviluppare in Sardegna l’Economia Sociale e Solidale (ESS), favorendo l’associazionismo e la partecipazione dei cittadini (Enti del Terzo Settore e ulteriori modalità di organizzazione dei cittadini attivi), attraverso le sinergie tra pubblico e privato.
Individuazione e utilizzo sociale dei “beni comuni”, con il coinvolgimento della finanza etica e partecipata e in particolare delle Fondazioni ex bancarie.
In materia di ESS massimo sostegno soprattutto pubblico alla ricerca scientifica e alla formazione in tutte le sue possibili articolazioni.
Obbiettivo: portare la Sardegna a raggiungere i risultati delle migliori regioni italiane, in un tempo massimo di tre anni.
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La parola dunque ai nostri interlocutori.
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[…] Gli Editoriali di Aladinews: Valore Lavoro. Autorizzati dall’autore, pubblichiamo la trascrizione dell’intervento di Ettore […]