ScuolaCheFare?
Alternanza scuola-lavoro La protesta degli studenti
di Fiorella Farinelli su Rocca
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«Questa alternanza non la vogliamo, il tempo è nostro e ce lo riprendiamo». Il 13 ottobre sono scesi in piazza migliaia di studenti della scuola superiore e dell’università. Settanta, secondo gli organizzatori, le città coinvolte. In testa, un po’ ovunque, i ragazzi dei licei. Sugli striscioni le tante cose che non vanno, i tetti che crollano, le borse di studio che mancano, il numero chiuso in un paese in cui i laureati sono solo il 18%.
Ma il centro della protesta è un altro. È nelle provocatorie tute da operaio che tingono di blu i cortei, e negli slogan contro un lavoro che mangerebbe tempo ed energie senza alcuna utilità. Nel mirino, l’alternanza studio-lavoro che la legge 107 sulla «Buona Scuola» ha esteso obbligatoriamente a tutti gli indirizzi della scuola superiore, 400 ore nel triennio dei tecnici e professionali, 200 nei licei. Una buona idea, o meglio un’idea quasi universalmente apprezzata – imprese e sindacati, pedagogisti e economisti, opinion maker e politici – per ridurre lo scollamento tra formazione scolastica e mondo del lavoro, ma anche un piglio decisionale, nel parlamento e nel governo, troppo ambizioso e forse spericolato. Troppo poca la preparazione e troppo scarso il tempo per passare da un’esperienza che prima della legge era per lo più limitata al comparto tecnico-professionale all’intera scuola superiore. Dai 273mila studenti allora coinvolti a 1 milione e mezzo nell’arco di tre anni. Ma vediamo meglio.
apprendere facendo
Cos’è successo nel primo anno di attuazione, cosa si è stati capaci di mettere in piedi nelle scuole che non avevano esperienze pregresse né rapporti consolidati con i contesti produttivi, è su questo che bisogna ragionare. Oltre che, è ovvio, sulle caratteristiche dimensionali, organizzative e culturali delle strutture di accoglienza, imprese ed enti. La denuncia dell’alternanza come «sfruttamento» da parte delle imprese, e come tempo rubato agli studi, allo sport, al divertimento, agli amici è solo un riflesso delle paure di una generazione che nel suo futuro vede anni di stages, tirocini, precariarietà prima di trovare un’occupazione? Che ha l’incubo di un lavoro, se ci sarà, probabilmente incoerente con gli studi, le vocazioni e gli interessi? C’è di sicuro anche questo nella protesta del 13 ottobre, e perfino inquietanti sfumature di ignoranza e di disprezzo sociale in slogan piuttosto infelici come il «Siamo studenti, non siamo operai», ma è anche possibile che a far scattare la protesta sia anche, o principalmente, la delusione per un’alternanza attuata male. Forse improvvisata per inesperienza e impreparazione. Forse compromessa da errori, limiti, incapacità sia delle scuole che delle strutture ospitanti. Forse, in qualche caso, colpevolmente permeabile a convenienze e interessi impropri dell’uno o dell’altro dei protagonisti. Bisogna vederci chiaro. Monitorare, analizzare, valutare. E soprattutto ascoltare. Le scuole, le imprese, e anche gli studenti, le loro opinioni, le loro proposte. Quello che si vede a occhio nudo non basta. Da un lato ci sono studenti che apprezzano il contatto diretto col lavoro, sono soddisfatti di poter imparare quello di cui nelle aule scolastiche non c’è traccia, il mettersi alla prova, l’apprendere a lavorare in gruppo, capire le proprie attitudini, saper risolvere insieme i problemi. Responsabilizzazione, competenze trasversali, orientamento, occupabilità. Dall’altro ci sono casi sconcertanti, nel settore privato e in quello pubblico, di superficialità, approssimazione, disorganizzazione. Casi, persino, di studenti che devono pagarsi in proprio i mezzi di trasporto per raggiungere il luogo dell’alternanza. E poi, al di là dell’apprendimento di singole prestazioni, non siamo affatto sicuri che ci sia sempre chi insegna ai ragazzi come queste si collochino nell’organizzazione complessiva del lavoro in quei determinati contesti, che curi con metodi appropriati l’«apprendere facendo», che costruisca i ponti necessari tra tutto ciò e la didattica in aula. Ci sono sempre, o solo in alcune realtà, tutor scolastici e aziendali preparati, capaci di progettare l’esperienza, di condurla a buon fine? E la didattica in aula, gli insegnanti, tengono davvero conto di quello che si impara lavorando, lo integrano nel curricolo e nelle modalità di insegnamento/apprendimento?
Non serve, come qua e là succede, interpretare la protesta degli studenti (una parte soltanto, certo, ma non per questo irrilevante) come uno dei tanti effetti delle contraddizioni all’interno della sinistra politica, e di un antirenzismo multicolore pronto ad utilizzare ogni occasione, anche impropria come in questo caso, per schiaffeggiare il governo Renzi e la «Buona Scuola». Non perché la politica non c’entri o non debba entrarci, con i cortei del 13 ottobre, ma perché se l’alternanza non convince gli studenti perché la sua attuazione ne tradisce talora le finalità, sarà bene capirne i dove e i perché per poterla reindirizzare e migliorare. Prima che anche questa innovazione, come è avvenuto per altre, tracolli sotto il peso delle sue criticità. E di sempre probabili strumentalizzazioni politiche.
che ne pensano gli studenti È interessante, a questo proposito, la ricerca sulla percezione dell’alternanza da parte degli studenti svolta da un sindacato studentesco affiliato alla Cgil e presentata qualche giorno fa alla Camera (1). Intanto perché è la Cgil stessa, che pure ha dato un giudizio positivo sull’innovazione, a manifestare atteggiamenti e opinioni difformi, offrendosi talora come struttura ospitante e contemporaneamente sostenendo la protesta del 13 ottobre (e c’è da augurarsi, quindi, che le indagini e le riflessioni del suo sindacato studentesco la aiutino a venirne fuori). Ma l’interesse sta soprattutto nel metodo usato – prima un’indagine sulle caratteristiche dei modelli di alternanza attuati, poi i questionari somministrati a 4.000 studenti –, nella ricerca accurata e scientificamente sostenuta delle correlazioni tra giudizi e modelli, nelle riflessioni e nelle indicazioni che se ne possono trarre. Un esempio positivo, insomma, di un approccio laico, pragmatico, costruttivo.
È questo che serve, e il quadro offerto è di quelli che aiutano a capire. Tra gli studenti intervistati, intanto – un campione significativo di tecnici, professionali e licei di tutte le aree territoriali – ce n’è un buon terzo che l’alternanza non la boccia ma la rimanda «a settembre» con giudizi severissimi. Un dato che, assommandosi alla reazione degli istituti scolastici (un’attivazione che supera il 96%), dice che «il sistema non ha rifiutato l’innovazione», e che tuttavia le criticità sono davvero tante. Forse – ammettono i ricercatori – meno di quante si sarebbero potute rilevare se il Sud non risultasse un po’ sottorappresentato perché è qui, notoriamente, che ci sono più problemi di accoglienza degli studenti per la minore presenza di strutture produttive e, di conseguenza, più rischi per le scuole di dover accettare qualsiasi proposta pur di adempiere alla legge.
Ma anche così non è certo da sottovalutare che più del 33% degli studenti interpellati abbia dato voti negativi all’esperienza fatta. Informazioni importanti vengono inoltre da alcune correlazioni. La prima è che ad essere nettamente più scontenti sono gli studenti dei licei rispetto a quelli dei professionali e dei tecnici, forse perché il comparto tecnico-professionale ha avuto meno difficoltà a transitare da un’alternanza per pochi a un’alternanza per tutti, e forse anche – ma qui le evidenze sono meno certe – perché nei licei le aspettative degli stessi studenti rispetto al lavoro sono diverse, più generiche e remote, forse anche più inquinate da pregiudizi culturali, rispetto a quelle dei colleghi dei tecnici e professionali che il lavoro lo vedono più vicino, e capiscono meglio la differenza tra occupazione e occupabilità, tra le competenze tecnico-professionali di un lavoro che al momento si può solo in parte prevedere e le competenze trasversali, importanti per ogni lavoro, che ne rendono più facile l’accesso. L’analisi evidenzia comunque dei dati oggettivi. La maggiore insoddisfazione, per lo più nei licei, si ha dove il modello attuativo dell’alternanza ha privilegiato il lavoro fuori dell’orario e del calendario scolastico (week-end, pomeriggi, estate), dove i tutor scolastici sono stati nominati casualmente e senza preparazione specifica (69% nei licei, 22% nei tecnici e professionali) o non ci sono affatto (5% dei casi, per il 66% nei licei). Tutti segni di un’alternanza in troppi casi relegata ai margini per non disturbare la didattica ordinaria, o per convinta contrarietà alla possibilità di apprendere anche fuori dall’aula scolastica. Ma se non ci credono le scuole, se l’alternanza è per molti insegnanti solo uno dei soliti «adempimenti» più formali che sostanziali, perché dovrebbero crederci gli studenti?
la questione tutor/insegnanti
Ancora più problematica – e anche qui sono i liceali a denunciarla di più – è la situazione dei tutor di azienda, spesso coincidenti con i datori di lavoro (nelle microimprese) o con dipendenti non distaccati dalle loro ordinarie prestazioni, quindi poco disponibili e solitamente non preparati ai nuovi compiti. Ma qui la questione è anche un’altra, e ampiamente nota. Si tratta dell’assenza, in gran parte delle imprese italiane, delle condizioni organizzative e professionali necessarie alla formazione dei propri lavoratori, una situazione tanto più problematica, quindi, quando a dover essere formati sono soggetti altri come gli studenti. Tutt’altra realtà, quindi, da quella delle grandi imprese, le magnifiche 26 cui il Miur ha affidato il ruolo di testimonials della nuova alternanza studio-lavoro.
in attesa degli «Stati generali»
Il ministro Fedeli ha annunciato che entro l’anno si terranno gli «Stati generali» dell’alternanza, uno approfondimento pubblico e a più voci dell’esperienza in corso. C’è da sperare che non prevalgano, come succede spesso, le voci del trionfalismo, le resistenze ad ammettere le forzature dall’alto e le approssimazioni dal basso, e che ne vengano invece fuori analisi puntuali e indicazioni utili a proseguire il cammino in modo più accurato e intelligente. C’è parecchio da correggere, in effetti, nell’attuazione dell’alternanza. E ci sarebbe anche molto da fare, per chi il lavoro lo rappresenta, perché i più giovani imparino, nell’occasione, a conoscere il valore, la responsabilità, l’intelligenza, il rapporto con le tecnologie che c’è anche in quello manuale, anche in quello di chi fa le fotocopie, cura i parchi, sorveglia i musei, aggiorna i cataloghi, produce in fabbrica e nei campi. Quello apparentemente non creativo e di scarsa qualità. All’occupabilità ci si prepara anche così. Il lavoro, si sa, se non lo conosci ti evita.
Fiorella Farinelli
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Nota
(1) www.fondazionedivittorio.it
ALTERNANZA SCUOLA – LAVORO? RIMANDATA A SETTEMBRE.
12 Ottobre 2017
Inchiesta sullo stato e la percezione dell’Alternanza scuola – lavoro in Italia è stata svolta durante l’A.S. 2016/2017 e pubblicata nell’ottobre 2017.
I dati emersi dal monitoraggio sull’alternanza scuola – lavoro sono stati presentati alla Camera dei deputati nel corso di una conferenza stampa. Il monitoraggio è stato svolto congiuntamente dalla Fondazione Di Vittorio, dalla Rete degli Studenti Medi, con il supporto di CGIL e FLC.
Sono stati coinvolti circa 4000 studenti da nord a sud del paese per vedere quale è la reale situazione nel paese dopo un anno di obbligatorietà. Quello che è emerso è uno strumento che va a due velocità e necessità di interventi e programmazione da parte del MIUR, cosa che non è stata certamente fatta finora. Necessita anche di maggior controllo e formazione a partire dai luoghi dove viene svolta, ma anche all’interno delle nostre scuole.
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[…] Gli Editoriali di Aladinews. ScuolaCheFare? Alternanza scuola-lavoro La protesta degli studenti. di Fiorella Farinelli su Rocca, ripreso da Aladinews. —————————————————————————————————- […]