Impegnati per il Lavoro. Dibattito

LAVORO E NUOVO MODELLO DI SVILUPPO
libro-costa
Industry 4.0 la sfida del lavoro ad umanità aumentata

di Marco Bentivogli su Rocca

Industry 4.0 è ormai molto più che un logo, è la formula, di paternità tedesca, che evoca l’avvento della quarta rivoluzione industriale, successiva alle tre precedenti (avvento della macchina a vapore, del motore elettrico, dell’automazione). Protagonista di Industry 4.0 è la diffusione sempre più accelerata di Internet, infrastruttura portante di una profonda riorganizzazione delle attività sociali ed economiche. Non si tratta di introdurre nel tessuto produttivo robot e automazione, che sono tra di noi da 30 anni; si tratta piuttosto di 9 tecnologie abilitanti che cambieranno tutto, dentro la fabbrica e soprattutto attorno ad essa, in quello che speriamo sia un ecosistema intelligente e sostenibile. In questo contesto anche la manifattura si trasforma radicalmente: cambiano l’organizzazione, le modalità, i tempi e l’idea stessa di lavoro. Tutto ciò provoca spesso reazioni polarizzate nei confronti della tecnologia: da un lato gli iperpessimisti, ossessionati soprattutto dagli effetti distruttivi sull’occupazione; dall’altro gli iper-ottimisti acritici. Entrambi affrontano una questione così complessa attraverso semplificazioni arbitrarie, che trovano facile eco nei media, con l’effetto di traghettare il dibattito pubblico su sponde ideologiche.
La guerra di cifre tra chi pensa che finirà il lavoro e chi pensa che con la tecnologia finirà il lavoro è veramente assurda. Se analizziamo senza preconcetti ciò che è avvenuto negli ultimi anni in Italia, ci accorgiamo che non sono stati i troppi investimenti in tecnologia a distruggere lavoro e occupazione, ma i troppo pochi. Molte delocalizzazioni e chiusure sono avvenute per questo, certo non a causa della «globalizzazione».

un sindacato nuovo per il lavoro che cambia
La sfida che abbiamo di fronte ci interpella nel profondo e richiede una seria elaborazione etica e culturale, volta a governare tali processi in una prospettiva di sostenibilità. Se davvero ci preme «umanizzare» il lavoro nella rivoluzione digitale, l’ultima cosa da fare è mettersi ideologicamente sulla difensiva. La tecnologia contiene i valori di chi la progetta, pertanto non ci resta che entrare in gioco con proposte. Molti lavori non consentono lo sviluppo, la fioritura dell’umano, come la Laudato si’ ci insegna; ma la tecnologia può aiutarci ad estendere le attività in cui l’uomo non solo cresce ma è imbattibile. Certo, è una grande sfida.
Ciò chiama in causa innanzitutto il sindacato, chiamato a svolgere una forte azione educativa, culturale e contrattuale. Serve allora un «sindacato nuovo», sintonizzato con la realtà in mutamento e rappresentativo del lavoro che cambia, in grado di valorizzare le dimensioni umane e professionali che rendono il lavoro un’esperienza significativa e di senso. Temi contrattuali come la formazione continua, la conciliazione vita-lavoro, il welfare integrativo acquistano un valore sempre più importante per dare cen- tralità alla persona nell’economia, fattore determinante peraltro per la crescita della produttività delle imprese. Nella quarta rivoluzione industriale, il capitale più importante per l’impresa è la persona!
La Fim Cisl ha scelto di misurarsi su questo terreno, essendo abituata fin dall’origine a confrontarsi positivamente con l’innovazione per aprire varchi nuovi nella contrattazione. L’immobilismo di fronte alle innovazioni è atteggiamento perdente, tipico di sindacalisti conservatori e fatalisti. Ad esempio, quando negli anni ’90 nacque lo stabilimento Fiat a Melfi, di fronte all’applicazione di una nuova organizzazione del lavoro – la lean production – il ritardo nello studiarla, nel comprenderne pregi e limiti, relegò il sindacato ad un ruolo marginale in azienda.
Ma dagli errori bisogna imparare. Per questo la Fim, quando recentemente la Fca (Fiat-Chrysler) ha introdotto un nuovo modello organizzativo, il Wcm (World Class Manufacturing), ha aperto, in collaborazione con i Politecnici di Milano e di Torino e con il coinvolgimento di oltre 5.000 persone, un «cantiere» di studio e di ricerca da cui trarre analisi e proposte utili a comprendere i bisogni delle persone, anticipando e governando i cambiamenti del lavoro. Siamo convinti che questo sia l’approccio giusto.

Il medesimo metodo l’abbiamo utilizzato quando è cominciata ad emergere la questione Industry 4.0, su cui la Fim è stata tra i primi in Italia ad aprire il dibattito, nel 2015, con un’iniziativa tenutasi presso l’Expo di Milano dal titolo «#SindacatoFuturo in Industry 4.0».
In quell’occasione i sindacalisti dei metalmeccanici si sono confrontati con i massimi esperti in materia, in uno scambio assai fruttuoso. Successivamente è nata una collaborazione con Adapt, con cui la Fim ha aperto un cantiere permanente di ricerca e monitoraggio nel settore metalmeccanico, che ha generato il Libro verde sui cosiddetti Competence Center, ossia quei centri di eccellenza nella ricerca applicata che, secondo quanto previsto dal piano Calenda, dovrebbero accompagnare le imprese nello sviluppo di Industry 4.0.
Una delle conseguenze più rilevanti di Industria 4.0 è senza dubbio l’aver richiamato il ruolo fondamentale della formazione. Che, dopo la salute, è il diritto più importante per i lavoratori: dà maggiori opportunità di salari alti, occupazione stabile e migliore qualità del lavoro; inoltre rappresenta il fattore abilitante di questa nuova rivoluzione dell’industria, che non potrà avere come obiettivo solo quello di ridurre lo skill gap tra le professioni attuali (compito cui peraltro intende rispondere l’introduzione del diritto soggettivo alla formazione nel contratto nazionale dei metalmeccanici) e arricchire le competenze dei giovani in uscita dalla scuola, ma dovrà anche fornire le competenze necessarie per affrontare la complessità del lavoro del futuro, facendo propri i paradigmi dell’economia digitale.
Con molta probabilità, anche l’idea di settore industriale non sarà più indicativa di singole filiere produttive. In questo senso, la nuova manifattura 4.0 richiede un ripensamento completo della nostra idea di produrre e del rapporto tra uomo e tecnologia e, ancor più, una valorizzazione degli elementi che insieme alla tecnologia contribuiscono a rendere rivoluzionaria Industry 4.0: la sostenibilità sociale, economica e ambientale dell’impresa, la valorizzazione della partecipazione e del talento, nonché delle relazioni.
In questa nuova realtà manifatturiera l’uomo sarà ancor più centrale, smentendo le ricorrenti profezie – da Jeremy Rifkin all’ultimo arrivato, il sociologo Domenico De Masi – su un’epoca di «fine del lavoro», nella quale l’operosità umana verrebbe sostituita dal lavoro dei robot e «indennizzata» dal reddito di cittadinanza.

il nuovo mondo di Industry 4.0
Industry 4.0 coinvolge nove tecnologie fondamentali, dette anche tecnologie abilitanti: robot autonomi, realtà aumentata, cloud computing, big data e analitica, sicurezza informatica, internet delle cose industriali, integrazione dei sistemi orizzontali e verticali, simulazione e produzione additiva. Queste tecnologie sono state già implementate singolarmente da tempo; ora però Industry 4.0 le riunisce in una sorta di ecosistema 4.0.
L’Italia è forte nella maggior parte di esse, ma molto debole nella loro integrazione industriale, in particolare nelle piccole e medie imprese. Quando operano nell’ambito di un sistema coeso, queste tecnologie hanno il potere di trasformare la produzione e modificare la natura dei rapporti tra fornitori, produttori e clienti. Al tempo stesso mutano i rapporti tra uomo e macchina, che saranno sempre più integrati attraverso la bioingegneria. Grazie all’Internet delle cose (Iot), le macchine sono in grado di comunicare tra loro mentre apprendono lavorando assieme agli esseri umani. Non basta installare qualche robot per dire che abbiamo realizzato Industry 4.0. I robot fecero il loro ingresso in fabbrica, almeno in Italia, già nella seconda metà degli anni Ottanta (ricordiamo i robot della Comau installati dalla Fiat). Non si tratta della semplice digitalizzazione, né della pura applicazione dell’informatica alla produzione e neppure dell’Iot, ovvero di internet applicato alla manifattura. Industry 4.0 cambia integralmente l’idea, la struttura e l’organizzazione dell’impresa, ma – cosa più importante – induce un contestuale cambiamento di ciò che è dentro e ciò che è fuori le mura dell’impianto: la fabbrica diventa cyber physical system, un sistema interattivo che integra e connette elementi computazionali, esseri umani ed entità fisiche.
Senza un ecosistema 4.0 e senza la persona, la fabbrica intelligente non funziona. Il sindacato non può rassegnarsi a un atteggiamento passivo. Deve perciò avviare progetti di ricerca per produrre analisi e proposte che anticipino il cambiamento anziché subirlo. Non c’è alternativa al giocare d’anticipo.

avanguardie e innovatori «moderati» nella sfida di Industry 4.0
Il piano di rilancio dell’industria promosso dall’Europa da qui al 2020 prevede 100 miliardi di euro per portare al 20% il Pil prodotto dalla manifattura. Uno dei principi alla base della strategia proposta dalla Commis- sione Europea riguarda proprio l’impegno che i paesi devono garantire a favore dell’in- novazione della base industriale.
Come in altri campi, anche in Industry 4.0 all’avanguardia c’è la Germania. Il governo tedesco sta investendo milioni di euro in questo settore, anche per la formazione dei rappresentanti sindacali di fabbrica: l’obiettivo è prepararli al cambiamento. La Germania si candida così non solo a produrre con il metodo smart factory, ma anche a vendere le tecnologie con cui realizzarlo altrove. Anche la Cina sta investendo miliardi di dollari su questo versante. E la Germania, tutt’altro che chiusa in se stessa, sta cooperando con i cinesi nell’ambito di un programma specifico, che si chiama «Made in China 2025».
Il rischio per l’Italia è di rimanere tagliata fuori, specie se non si lavora a fare poche cose ma fatte bene e insieme. In una recente classifica l’Italia, malgrado resti la seconda manifattura del continente e tra le prime 10 al mondo, è collocata tra gli innovatori «moderati». I dati dell’Ocse ci dicono inoltre che nel 2014 la spesa totale del nostro Paese per ricerca e sviluppo è stata dell’1.3% del Pil, contro quella della Germania (2.8%), la media dei paesi Ocse (2.3%) e la media Ue (1.9 %). La partita di Industry 4.0 si gioca anche e soprattutto sul terreno della politica industriale. Ciò richiede una classe politica lungimirante, in grado di varare politiche sociali, formative e industriali tra loro coordinate. Quella che si dice capacità di «fare sistema».
Il piano Calenda, con cui il governo sta provando ad accompagnare le nostre imprese verso Industry 4.0, va nella giusta direzione, operando in una logica di neutralità tecnologica, grazie alla scelta di fiscalizzare gli incentivi. Sarebbe necessario anche riorganizzare il sistema di incentivi già disponibili, per evitare che vengano dispersi, ed effettuare una selezione per assicurarsi che quelle risorse vadano effettivamente ad innovare

la manifattura 4.0.
Nel guidare il sistema verso l’approdo alla fabbrica digitale la contrattazione può fare molto, specie per le piccole e medie imprese. Il nuovo contratto dei metalmeccanici, da questo punto di vista, ha aperto la strada superando la sovrapposizione tra i due li- velli della contrattazione, nazionale e azien- dale, e avvicinandola così all’impresa, vale a dire al luogo in cui si produce la ricchezza e si distribuiscono ai salari gli incrementi di produttività. Ma perché questa svolta possa definirsi completa c’è bisogno che sia accompagnata da una contrattazione territoriale in grado di coinvolgere le piccole e medie imprese.

Competence Center
Il rapporto redatto a dicembre 2016 da un gruppo di lavoro della «Digitising European Industry» all’interno della Commissione europea, indica chiaramente che i Digital Innovation Hub non sono solamente un luo- go fisico, ma un network di attori regionali che – offrendo a piccole e medie imprese i servizi di orientamento, formazione e nuo- ve strategie di business – concorrono alla realizzazione di un ecosistema volto a favorire l’innovazione connessa al digitale.
I Competence Center sono invece il «cervello» di questi hub, cioè il soggetto tecnico-organizzativo con il quale le Pmi devono interfacciarsi per essere supportate nella ricerca applicata, nella sperimentazione pra- tica di tecnologie 4.0 e nello sviluppo di progetti in termini di nuova competitività. I Competence Center non si dovrebbero dunque occupare solamente di attività di trasferimento tecnologico, ma operare con le aziende offrendo loro una gamma di servizi più ampia, anche nell’ambito dei nuovi modelli di implementazione delle tecnologie, di sviluppo organizzativo, business e marketing.
A confronto con tutto ciò, in Italia la situazione presenta margini di ambiguità. Il decreto ministeriale sui Competence Center parla infatti della costituzione di «centri di competenza ad alta specializzazione aventi lo scopo di promuovere e realizzare progetti di ricerca applicata, di trasferimento tecnologico e di formazione su tecnologie avanzate». Il principale limite del Piano Nazionale Industria 4.0 è dunque quello di non chiarire la natura complementare e la continuità funzionale tra Competence Center e Digital Innovation Hub. Il testo pare piuttosto evocare l’esperienza dei Research Cam- pus tedeschi, esperienza di per sé positiva ma circoscritta all’attività di ricerca che, da sola, non collegata con la realtà delle im- prese, rischia di rivelarsi insufficiente a portare il nostro Paese su buoni livelli di com- petitività industriale. Ancora, non si capisce se e come verranno coinvolti nel piano i parchi scientifici, i poli tecnologici, i distretti e i cluster. Non possiamo continuare a ripe- tere, magari con nomi suggestivi, esperien- ze del passato su cui sono state investite generose somme di denaro pubblico, spesso per finanziare attività i cui risultati hanno però tradito le aspettative.

Ecosistema 4.0: l’ultima occasione per riportare la manifattura al centro
Il vero anello debole è rappresentato dal sistema delle piccole e medie imprese italiane dell’industria, ancora lontane, salvo qualche eccezione, dal sintonizzarsi sulle frequenze della fabbrica intelligente. Questo per la Fim è un terreno di nuovo protagoni- smo, perché può aprire spazi alla crescita alle capacità innovative delle PMI attraver- so un forte impulso alla partecipazione, de- clinato anche nella nuova contrattazione aziendale. Occorre inoltre un sistema formativo, un sistema duale che renda davvero operativa ed efficace l’alternanza scuola-lavoro.
Un altro aspetto importante è la possibilità – concretizzata, ad esempio, con gli accordi con Fca a Pomigliano e con Whirlpool – di creare le condizioni per il back-reshoring (rimpatrio di attività produttive). La crescita di produttività consentita da Industry 4.0 può cioè permettere il rientro di produzioni che sono state delocalizzate negli anni scorsi.
È per questo che all’Europa servirebbe soprattutto un Industrial Compact, oltre al Fiscal Compact. Ma per raggiungere gli ambiziosi obiettivi del Piano Juncker non sono state stanziate le risorse necessarie. Entro il 2020, si dice, il settore manifatturiero do- vrebbe rappresentare il 20% delle economie dei Paesi europei (l’Italia è posizionata ab- bastanza bene, con un 18%, mentre la media europea è del 15%). Ma ciò che conta non è soltanto il dato quantitativo: sarà de- terminante capire se le quote di manifattu- riero conquistate entro il 2020 saranno ad alto tasso di innovazione, se cioè saranno ottenute attraverso un processo di selezio- ne. Se l’Italia non saprà inserirsi in questo filone di innovazione rischierà di perdere molto velocemente posizioni in classifica. Urgono perciò scelte e impegni di politica industriale all’altezza della sfida.
Molte sono le cose da fare a livello politico ed economico per difendere il lavoro. Occorre liberarsi dal dogma del pareggio di bilancio, che non ha nulla a che fare con l’equilibrio di bilancio, e superare la grande crisi di investimenti (pubblici e privati) nel nostro Paese, puntando anche su banche etiche e di territorio che abbiano la mission di sostenere gli investimenti produttivi e ad alto impatto socio-ambientale.
Servono poi riforme istituzionali che sostengano innovazioni dal basso, nate sul territorio, attraverso Competence Center, definendo però a livello centrale le linee guida, i tempi e l’obbligatorietà della convergenza dei territori in ritardo, per innescare circoli virtuosi.
Serve, infine, un sindacato smart, retto da personale competente e preparato ad ogni livello, a partire dai temi dell’organizzazione del lavoro e della formazione continua. Il paradigma 4.0, tra l’altro, offre una grande occasione per riqualificare il lavoro sindacale e rilanciare una forte politica dei quadri da trasformare in veri e propri «fattori abilitanti» per la costruzione di un nuovo sindacalismo confederale. Ancor più importante è che il sindacato riparta da dove è nato, dai luoghi di lavoro, recuperando la capacità di analizzarli, descriverli e cambiarli, per radicarsi con forza nel territorio.

Marco Bentivogli

Bibliografia
Adapt, Fim 2016 – Libro verde, Industria 4.0 Ruolo e funzioni Competence Center, Adapt University Press 2016.
Adapt, Fim 2017 – Libro Bianco su lavoro e competenze in impresa 4.0, Adapt University Press 2017. Barbetta 2007 – G.P. Barbetta, G. Turati, Organizzazione industriale dei sistemi di welfare. Terorie e verifiche empiriche dell’efficienza compara- ta di imprese con diverse strutture proprietarie, Vita e Pensiero 2007.
Baldoni 2015 – R. Baldoni, R. De Nicola, Il Futu- ro della Cyber Security in Italia. Un libro bianco per raccontare le principali sfide che il nostro Paese dovrà affrontare nei prossimi cinque anni, CINI 2015.
Bentivogli 2015 – M. Bentivogli, D. Di Vico, L. Pero, G. Viscardi, G. Barba navaretti, F. Mosconi, #SindacatoFuturo in Industry 4.0, ADAPT University Press 2015.
Bentivogli 2016 – M. Bentivogli, Abbiamo rovinato l’Italia L’Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato, Castelvecchi 2016.
Pero 2012 – L. Pero, Processi di riaggiustamento industriale in Italia, Eddiesse 2012
Simone 2012 – R. Simone, Presi nella Rete, Garzanti 2012.
Seghezzi 2016 – F. Seghezzi, Lavoro e relazioni industriali in Industry 4.0, Adapt University Press 2016 – Bollettino n. 1/2016.

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