Vogliamo il Lavoro!
La rivista della Diocesi di Ales-Terralba, Nuovo Cammino, dedica gran parte del numero del mese di ottobre all’imminente Settimana dei Cattolici italiani, che si terrà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre, sul tema “Il lavoro che vogliamo: Libero, Creativo, Partecipativo, Solidale”. Tra gli articoli sulla tematica del Lavoro ve ne sono due che danno conto sinteticamente dei contenuti e delle conclusioni del recente Convegno sul Lavoro organizzato dal Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria in collaborazione con Europe Direct Sardegna. Gli articoli a firma di Franco Meloni e Fernando Codonesu sono di seguito riproposti nella loro versione integrale. Si ringrazia Nuovo Cammino – e segnatamente il direttore Petronio Floris e il vice direttore Mario Girau – per l’autorizzazione a pubblicare a nostra volta i due citati interventi, nello spirito di collaborazione che caratterizza il rapporto tra le nostre due testate.
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Lavoro. Troppe parole, vogliamo fatti!. Intanto occorre sperimentare il Reddito di Cittadinanza.
di Franco Meloni
Il lavoro, specie quello che non c’è, è in testa alle preoccupazioni degli italiani. Ancor più dei sardi che di lavoro ne hanno drammaticamente poco e sempre meno, tanto da costringere i giovani a cercarlo in altre regioni italiane e all’estero. E ad andare via sono soprattutto diplomati e laureati, privando questa nostra terra di “risorse pregiate”. Ma questo non è un destino ineludibile. Ci abbiamo riflettuto in modo approfondito nel recente Convegno, aperto dalla relazione di Fernando Codonesu, che ne dà conto nell’articolo che segue. Infatti, tra gli altri, sono intervenuti numerosi imprenditori, per lo più giovani, che hanno illustrato le loro iniziative d’impresa sul fronte dell’innovazione che producono reddito e lavoro. Sono espressione di realtà importanti, che non risolvono certo il problema del lavoro e dello sviluppo della Sardegna, ma che, tuttavia, si compongono, anticipandolo rispetto a una compiutezza ancora da raggiungere, in un “ecosistema favorevole allo sviluppo del lavoro, in condizioni di equilibrio dinamico con l’ambiente e con le continue trasformazioni della società e del mondo”. L’economia sociale e solidale, di cui le entità del Terzo settore sono concreto strumento, è un altro grande sistema da sviluppare come consistente opportunità di creazione di lavoro. A tutto questo puntiamo, utilizzando tutte le risorse disponibili, a partire proprio dalle persone. Prima che sia troppo tardi. Che fare allora? Innanzitutto, come sostiene Papa Francesco, occorre “aprire processi”, combattendo i vari “cerchi magici” che escludono la maggioranza dei sardi, per dare voce e potere ai cittadini, fornendo loro tutte le opportunità di partecipazione, in tutti i luoghi e a tutti i livelli. Liberare energie creative che possano essere messe in gioco a vantaggio di tutti. Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti. Per arrivare a questo traguardo occorre intervenire subito col Reddito di Cittadinanza, Dividendo sociale o come altro si vuole chiamare?
È possibile: ma che si superi la fase pur necessaria del parlare e si passi all’operatività!
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Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti
di Fernando Codonesu
Il 4 e il 5 ottobre il Comitato di Iniziativa Costituzionale e Statutaria in collaborazione con Europe Direct ha organizzato a Cagliari un importante convegno sul lavoro dal titolo “Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti”.
Intanto occorre chiedersi perché un comitato di cittadini e non le solite forze politiche o sindacali hanno organizzato un convegno di questo tipo e la risposta è semplice: il lavoro caratterizza tutta l’esistenza umana per cui non si può più pensare che sia un tema da specialisti. Riguarda tutti gli uomini, non solo i decisori politici o quelli che normalmente vengono individuati come “classe dirigente”. E’ anche necessario ribadire che è propria a causa dell’incapacità generalizzata della classe dirigente, dei partiti politici e delle stesse organizzazioni sindacali che oggi più di prima è necessario il contributo attivo della cittadinanza per affrontare il tema del lavoro nella sua complessità e nelle sue diverse articolazioni.
Viviamo un presente di grandi trasformazioni, un presente in cui si vivono, come sempre nella storia, elementi di futuro e si progettano visioni di futuro, che a loro volta diventeranno il presente di domani. In queste trasformazioni, che possiamo anche vedere come veri e propri sconvolgimenti, bisogna inquadrare i diversi aspetti del lavoro con i relativi punti di vista.
Per la nostra terra pensiamo ad un lavoro pulito, per questo nel titolo del convegno abbiamo messo l’accento anche su “Lavorare meglio”. Un lavoro che innanzitutto deve essere basato su un’economia di pace, per cui rifiutiamo lavori che si pongono in contrapposizione con l’ambiente, la salute umana e il benessere degli altri esseri viventi.
In tale accezione, ci sia permesso di ricordare in questa sede che la produzione di armi, peraltro presente nella nostra isola, non è accettabile come occupazione in quanto contraria ai principi costituzionali, alle direttive europee e alle stesse leggi italiane.
Così come riteniamo inaccettabile continuare con un’industria caratterizzata da produzioni inquinanti che hanno portato ad un uso devastante del territorio, con gravi riflessi negativi sulla salute delle popolazioni e sulla qualità dei prodotti agroalimentari dei territori interessati.
Lavorare meglio significa aspirare ad un lavoro che sia il più possibile scelto da ciascuno di noi, un lavoro che ci permetta di autorealizzarci.
L’attività lavorativa che distingue e rende singolare l’uomo come fondamento positivo della polis, è il lavoro che implementa l’idea trasformandola in progetto, in dispositivo, sistema, impresa, il lavoro come atto libero e liberatorio, ovvero è l’opus di latina memoria.
Per tale motivo, considerato l’attuale sviluppo dell’informatica e della robotica, la cosiddetta civiltà delle macchine, dobbiamo eliminare dal lavoro lo sforzo, la fatica, la ripetitività per arrivare ad un lavoro liberato dalla necessità e dalla paura della povertà.
Il lavoro di cui parliamo, quindi, è un lavoro che promuove e rende possibile lo sviluppo delle proprie capacità, delle proprie passioni che si trasformano in progetti e professioni, un lavoro cioè che è anche piacere, sviluppo di potenzialità di ciascuno, autorealizzazione nell’arte, nella scienza, nelle tecnologie, un lavoro senza divisione tra mezzo e fine, tra produzione e consumo, quale fondamento dell’etica sociale. A tale riguardo bisogna ripensare il mondo in cui viviamo per costruire una società più giusta, con regole di vita che permettano l’autorealizzazione e che ci facciano vivere come individui sociali, con relazioni e affettività individuali e collettive.
Siamo sicuri che parlare di lavoro oggi, compiutamente, significhi avere piena consapevolezza della complessità in cui siamo immersi.
La ripresina in atto viene troppo spesso cantata come strutturale, nel senso che ci saremmo lasciati definitivamente alle spalle i dieci anni della crisi.
Intanto la disoccupazione giovanile italiana continua ad essere superiore al 35%.
Si contano i nuovi posti di lavoro, ma si dimentica di analizzarne la qualità. Al riguardo ci soccorre l’INPS che ha certificato che del milione di nuovi contratti di lavoro attivati nell’anno in corso, solo il 24% sono a tempo indeterminato, per il 76% si tratta di contratti a tempo determinato, cioè di contratti precari.
E’ questo il lavoro che si continua a proporre?
E’ di questi lavori che hanno bisogno i nostri giovani?
In tali condizioni possono essere create nuove famiglie, si può pensare di mettere al mondo figli, si può pensare al futuro?
No, non si può e basta ragionare sulla demografia e l’indice di natalità per convincersene incontrovertibilmente. L’indice di natalità dell’Italia è pari all’8 per mille, il più basso d’Europa, l’indice di natalità della Sardegna è pari al 6,9 per mille, con 1,1 figli per donna, il più basso d’Italia. L’aumento di residenti che si registra complessivamente in Italia e ugualmente in Sardegna è dovuto solo all’immigrazione, considerato che annualmente il numero dei morti supera ampiamente il numero di nuovi nati.
Se non si fanno figli non è per scelte ideologiche o strane congetture, ma perché non ci sono le condizioni economico-sociali per poterlo fare, non esiste una politica per la famiglia e non si intravede un futuro: per tali motivi si emigra, e una volta emigrati è molto improbabile che si torni indietro.
Allora la crisi è davvero finita?
No, per niente, soprattutto in Europa, Italia e Sardegna.
In un articolo pubblicato recentemente, il quotidiano il Sole 24 Ore ha stimato che l’emigrazione della popolazione italiana scolarizzata, e specificatamente quella nota come fuga dei cervelli, costa al paese ben 14 miliardi di euro all’anno. I dati evidenziavano che dall’Italia nell’ultimo decennio si è avuta una emigrazione di laureati e diplomati pari a circa 30.000 persone all’anno.
In Sardegna si osserva lo stesso fenomeno rilevato a livello nazionale, con un ulteriore aumento del rapporto percentuale che si discosta notevolmente dal rapporto tra la popolazione sarda e quella dell’intero paese. La popolazione sarda rappresenta solamente il 2,8% di quella nazionale. I dati dell’emigrazione sarda tra il 2007 e il 2016 ci dicono che ben 21.746 sardi sono emigrati all’estero e nell’ultimo il numero di emigrati è in crescita fino a 3.370, circa il 10% del dato nazionale annuo riportato dall’articolo su citato.
In generale emigrano i giovani, laureati e diplomati, e quando non hanno un’alta scolarizzazione si tratta comunque di persone che hanno voglia di intraprendere e investire nel proprio futuro.
La sconfortante e inevitabile constatazione al riguardo è obbligata: senza i giovani preparati che emigrano e senza componenti rilevanti di popolazione con capacità tecniche e professionali e voglia di affrontare nuove sfide, come si fa in tale contesto ad avere fiducia nel futuro e a ipotizzare un modello di sviluppo sostenibile per la nostra isola?
Quali strumenti, quale organizzazione, quale formazione dobbiamo avere in questo mondo caratterizzato dalle relazioni, dai servizi e dai bit e non più dalla proprietà, dai beni e dagli atomi?
Il convegno si è posto anche queste domande con l’obiettivo di fornire alcune risposte.
Si è fatta passare la precarietà per la flessibilità. Si è precarizzata la vita di un’intera generazione a cui è stato sottratto il futuro e reso impossibile vivere il presente, e di questo si è fatto un racconto come un effetto della modernizzazione della società.
Oggi in tanti settori produttivi, nonostante la conclamata modernità, si hanno contratti di lavoro al limite della semi schiavitù.
E quanto allo spostamento della ricchezza, a partire dagli anni ‘90 del secolo scorso, si è avuto uno spostamento di ricchezza dal lavoro al capitale, dai poveri ai ricchi, con un aumento vertiginoso delle disuguaglianze come non si era mai registrato nella storia.
Per quanto riguarda l’organizzazione del convegno, è da questo quadro che è nata l’esigenza di organizzare fondamentalmente tre grandi temi di intervento:
- Il primo è l’economia sociale e solidale in quanto paradigma del periodo in cui viviamo, dove diventa sempre più forte l’esigenza di un’economia nota come terzo settore, caratterizzata dall’etica, dal riferimento ai valori umani e non al solo profitto; un’economia anche per gli ultimi, per gli strati sociali più marginali, fragili e indifesi, un’economia per tutta quella pluralità di servizi alla persona in ogni età della vita che vanno pensati, organizzati e gestiti.
- Il secondo è rappresentato dall’interrogativo sul futuro prossimo della Sardegna, con testimonianze dirette di alcuni attori dello sviluppo locale, che ci hanno parlato di filiere produttive, imprese, istituzioni, sindacati.
Abbiamo chiamato a testimoniare alcune esperienze significative che vengono svolte in quelle azioni ascrivibili alle politiche attive del lavoro, ma soprattutto abbiamo dato spazio a una parte di quella Sardegna resistente, adattativa e resiliente su cui contiamo di più e da cui provengono forza, idee e progetti per il nostro futuro.
- Il terzo, infine, che per noi è la pietra di volta di tutto: la scuola, l’istruzione, la formazione, l’università e la ricerca, convinti come siamo che la flessibilità dei tempi attuali possa essere affrontata adeguatamente solo con una formazione larga e alta, una formazione di tipo generale, basata su fondamenta solide, con contenuti delle varie discipline così approfonditi da creare profili di uscita nei vari livelli formativi come cittadini in grado di affrontare ogni problema della vita adulta e ogni possibile occupazione offerta dal mercato del lavoro e con capacità reali di creare impresa e occupazione.
In un convegno di tale importanza non poteva mancare una riflessione più generale, che definiamo alta perché alto è il tema del lavoro, e su questo, tra altri autorevoli interventi, conosceremo e discuteremo gli autorevoli punti di vista del filosofo Silvano Tagliagambe, dell’economista Gianfranco Sabattini e del sociologo Domenico De Masi.
Quando come Comitato di Iniziativa Costituzionale e Statutaria abbiamo deciso di organizzare questo convegno abbiamo pensato che dal confronto di variegate posizioni e punti vista sul tema, dalla viva voce degli attori che giorno per giorno si misurano con questo mercato del lavoro, dalla pluralità di idee che si scontrano e si incontrano nel nostro vivere quotidiano possano nascere le migliori condizioni per creare un ecosistema favorevole allo sviluppo del lavoro, in condizioni di equilibrio dinamico con l’ambiente e con le continue trasformazioni della società e del mondo.
E’ perché come esponenti della società civile, come cittadinanza attiva, sganciati da logiche di partito o di appartenenza politica, siamo convinti che non ci possano essere soluzioni individuali ai problemi posti dalla crisi, ma vadano ricercate collettivamente con il confronto delle idee, è per tali motivi che intendiamo concorrere con le nostre energie al processo di creazione di un ecosistema favorevole al lavoro, che abbiamo fortemente voluto questo convegno e abbiamo deciso di dedicarlo in particolare ai giovani che, più di altri, vedono minacciata la propria vita e il proprio futuro.
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