La superpotenza riluttante

img_3861di Roberta Carlini, su Rocca

Per molti anni, durante la costruzione del processo di unificazione europea, i tedeschi sono stati molto più europeisti dei francesi. Più aperti, sia nel dibattito culturale che in quello politico, a una prospettiva federalista. I francesi, dal canto loro, hanno sempre fatto prevalere l’idea di un’unione tra Stati sovrani, e hanno diffidato della prospettiva federalista. Nella diversità di approccio, sui due lati dell’asse che con le sue alterne vicende ha retto l’Europa, c’era ovviamente la tradizione politica e lo stesso assetto istituzionale dei due Stati: centralista quello francese, federalista quello tedesco. L’unificazione della Germania prima, e la costruzione dell’impossibile assetto della moneta senza Stato sancita a Maastricht, hanno cambiato le carte in tavola – fino a far traballare il tavolo, sotto i colpi della grande crisi del 2008- 2009 e quel che ne è seguito. La potenza tedesca, rafforzata dall’euro e dalle condizioni in cui si è realizzato, ha preso la leadership economica dell’Unione, senza mai decidersi ad assumerne anche la guida politica; anzi minandone al tempo stesso le basi, sia per lo squilibrio economico portato dal suo avanzo commerciale che per la riluttanza a farsi carico del ruolo di locomotiva. Adesso, nell’anno in cui l’inesistente Europa politica è entrata nel processo elettorale franco-tedesco, il processo si è compiuto e le parti si sono completamente invertite. Almeno all’apparenza: il nuovo presidente francese ha inaugurato il suo mandato a maggio facendo precedere le note dell’inno europeo a quelle della Marsigliese, mentre il risultato elettorale delle elezioni tedesche a settembre ha buttato nel panico le cancellerie di tutt’Europa, per l’inedita prospettiva di una instabilità politica del Paese-guida.

una crisi mai sperimentata in precedenza
All’indomani del voto, è parso chiaro che la Germania non era immune dalle malattie politiche di tutto il continente: il declino dei grandi partiti tradizionali (democristiani e socialdemocratici, che a dire il vero solo lì erano sopravvissuti dal Novecento), la sconfitta del governo di turno, l’emersione di un forte movimento antisistema, di destra e xenofobo. Era successo lo stesso in Francia, e se il risultato ha preso un segno diverso lo si è dovuto solo alla capacità di Macron di lucrare sul disastro del partito socialista, e al differente sistema elettorale francese. Era successo, in forme ancora differenti, anche con la sorpresa Brexit, che ha messo la Gran Bretagna in un pasticcio da cui non riesce a uscire. Ed era successo, e probabilmente succederà, ancora, da noi, dove Lega e Movimento Cinque Stelle fanno razzìa dei voti anti-sistema e li mettono allegramente insieme a quelli della destra xenofoba, e l’instabilità storica del quadro politico prende la forma nuova di un campo perfettamente diviso in tre parti. Chi si aspettava – o sperava – che dal voto tedesco uscisse una Merkel più forte, e quindi finalmente disposta a comportarsi da grande statista e salvare l’agonizzante costruzione europea dal suo crollo altrimenti inevitabile, è rimasto deluso. In particolare, preoccupa il fatto che tutta la politica europea resterà appesa alle trattative per formare il governo tedesco, e che questo processo sarà molto lungo e incerto. Non solo: potrebbe anche finire con un’alleanza inedita, tra Cdu, liberali e verdi (la cosiddetta «coalizione Giamaica»), nella quale sono presenti tutte le posizioni possibili sull’Europa, e dunque non se ne prenderà nessuna. Angela Merkel, che non ha voluto far entrare il futuro dell’Unione europea nella campagna elettorale per non portare acqua al mulino dell’Afd, la cui bandiera più popolare è stata proprio quella dell’anti-europeismo (prima della crisi dei rifugiati, che l’ha portata poi a rafforzare ancora di più le sue posizioni xenofobe), adesso potrebbe trovarsi con gli euroscettici moderati come alleati, e gli eurocontestatori più agguerriti all’opposizione. Motivo per cui, temono in molti, per qualche tempo l’Europa con i suoi problemi sparirà dai radar della politica tedesca, chiusa in se stessa a cercare la quadra di una crisi mai sperimentata in precedenza.

i difetti di fabbrica dell’Unione
Ma anche se le cose fossero andate o andassero diversamente, cosa potrebbe fare oggi la Germania per l’Europa? La politica tedesca può ancora pesare sul futuro dell’Unione attraverso due strade. La prima, che al momento sembra chiudersi, è quella delle riforme istituzionali e politiche che intervengano sui difetti di fabbricazione dell’Unione: la mancanza di una politica economica comune, o almeno di un coordinamento tra le politiche degli Stati; la crisi del sistema dei rifugiati, con la riscrittura del Trattato di Dublino; l’assenza di una comune difesa. Sono i punti su cui il presidente Macron ha insistito ancora all’indomani delle elezioni tedesche. La seconda strada attraverso la quale la politica tedesca entrerà nella nostra e in tutte le altre sedi europee è quella della politica economica interna che farà il futuro governo, quando arriverà. Il voto del 24 settembre mostra anche, nella mappa dei successi dell’estrema destra e della sconfitta di Cdu e Spd, una protesta che viene dalle zone più povere del Paese più ricco: i lander dell’ex Germania Est, soprattutto. Il miracolo economico tedesco che ha preceduto gli anni della crisi, ed è a questa brillantemente sopravvissuto, ha un suo lato negativo, fatto di riduzione dei salari, lavori saltuari e poco pagati (i mini-job), aumento della polarizzazione sociale. Mentre il Paese cresceva, rafforzando la sua posizione internazionale soprattutto nell’asse con l’Est europeo, e maturando un avanzo commerciale record, i salari non tenevano il ritmo, e la finanza pubblica continuava in un severo rigore.

adesso che succederà?
Può darsi che il nuovo governo abbandoni i rigori dell’ex ministro Schauble e adotti una politica del bilancio pubblico un po’ più espansiva, per la quale ha ampi margini di azione. Per una eterogenesi dei fini, in questo caso il governo meno europeista della storia tedesca recente farebbe, almeno in parte, quel che tutta Europa, a partire dalla Bce di Francoforte, gli chiede: mettere carburante nella locomotiva, trainare un convoglio altrimenti in affanno. D’altro canto, potrebbero invece rafforzarsi le posizioni dei «falchi», contrari a qualsiasi misura di compensazione degli squilibri presenti tra le economie europee perché considerate un cedimento al lassismo degli opportunisti di turno (greci, italiani, spagnoli). E in ogni caso, il rinvio sine die dell’agenda delle riforme più importanti, quelle sul funzionamento dell’Europa e sulla gestione dei suoi confini, lascia poco ottimismo. A meno che Angela Merkel non trovi nelle difficoltà interne quel coraggio sulla scena internazionale che, da leader trionfante, le è mancato.

Roberta Carlini

ROCCA 15 OTTOBRE 2017
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One Response to La superpotenza riluttante

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