SardegnaCheFare? Rapporto Crenos 2017: la consegna è sorridere, ma purtroppo la realtà ci dice che non c’è ragione di farlo

sardegna-dibattito-si-fa-carico-181x300UNA QUESTIONE DI ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA’ DIFFUSA
di Marco Zurru, su fb

Ho appena finito di leggere la Sintesi del 24° Rapporto Crenos, presentato ieri mattina [26 maggio] a Cagliari. Appena posso metto mano all’intero Rapporto, anche se il quadro della situazione socio-economica dell’Isola è già abbastanza chiaro e deprimente che si potrebbe magari evitare di aggravare il proprio stato di avvilimento fermandosi qui, alla Sintesi…

Dunque, l’Isola primeggia ancora come una delle 65 Regioni dell’Unione europea più povere. Uno sfascio totale: il nostro PIL è inferiore del 30% della media europea. Ogni sardo, nel 2015, si è messo in tasca poco più di 15mila euro, più o meno quanto riusciva a guadagnare 20 anni fa.

Il tessuto industriale dell’Isola è diventata cosa minuscola se non evanescente rispetto alle rispettive dinamiche nelle altre regioni meridionali (per non parlare del resto d’Italia). La pastorizia pesa ancora molto (un quarto del totale degli imprenditori sardi fa il pastore e la quota del Pil prodotto è del 5% del totale, mentre altrove sono fermi al 2%). Ma pastori e altri imprenditori non riescono ad uscire dal “nanismo” dimensionale: imprese piccole, se non formate dal solo titolare.

Una delle note conseguenze è il bassissimo volume di occupazione presente e la sua qualità: creiamo poco lavoro, poco istruito, malpagato e in settori poco strategici dal punto di vista dell’innovazione tecnologica.

L’unico settore che “va bene” (si fa per dire…) è quello pubblico: “In Sardegna i settori legati alle attività svolte prevalentemente in ambito pubblico e ai servizi non destinabili alla vendita sono responsabili di circa un terzo del valore aggiunto complessivo, mentre le imprese che producono beni e servizi destinati al mercato hanno un peso relativamente esiguo, denotando una scarsa capacità da parte del sistema produttivo isolano di creare valore”.

Tradotto: senza lo Stato, nelle sue diverse articolazioni istituzionali, il volume di occupati e i differenti investimenti, la nostra ricchezza complessiva sarebbe solo il 70% di quella che oggigiorno disponiamo. SETTANTA PER CENTO IN MENO, lo ricordi chi si espone con superficiali e poco ponderati aneliti di indipendentismo…

Invece è presente anche quel 30% statale, i soldi li abbiamo tutti e, infatti, li spendiamo: una delle poche voci col segno + è quella dei consumi delle famiglie. Quasi sicuramente, continuiamo a spendere meno per mangiare e di più per fare i fighi con gli amici mettendo in evidenza il nostro ultramegaipernuovissimo modello di cellulare del cappero…

In compenso i fattori che alimentano la crescita possono continuare a farci una sonora pernacchia, più o meno come stanno facendo da un trentennio: le nostre Università laureano appena il 18,6% dei giovani trenta/trantaquattrenni sardi. Solo Sicilia e Campania fanno peggio di noi rispetto a ciò che, mediamente, è capace di fare la UE (39%).

In compenso/bis la “produzione” di laureati nelle discipline “hard”, quelle tecnico-scientifiche – storicamente capaci di innestare processi di innovazione nelle realtà economiche – è a dir poco ridicola: 17,8%, più o meno la metà di ciò che è mediamente capace di fare l’Europa.

In compenso/ter anche le altre istituzioni dell’offerta di istruzione non se la passano meglio: il 23% dei sardi tra i 18 e i 24 anni ha interrotto il proprio percorso scolastico e formativo avendo conseguito al massimo la licenza media. Solo la Sicilia in tema di abbandono scolastico fa peggio di noi in Italia e “solo” 239 regioni europee (su un totale di 254) fanno meglio di noi…

Però il turismo va meglio e blablabla.. forse è il caso di allungare le stagioni turistiche e blablabla…

Dunque. Senza offender nessuno, è arrivato il momento di sdoganare non solo una parola, ma tutto il volume di significati che la stessa ha acquisito in quasi un secolo di produzione scientifica e non: siamo in una condizione, ormai strutturale, di SOTTOSVILUPPO.

E’ ridicolo girarci attorno, usare dizionari ah hoc, evitare di assumere toni drastici (mantenendo simpatiche, quanto pericolosamente cretine, ricette zuppe di riserve di facile ottimismo sulle nostre sorti): siamo una regione sottosviluppata.

Se siamo ancora a galla e la testa non scivola sotto il pelo della melma, è solo grazie alla produzione di ricchezza che arriva dalla componente statale. Lo Stato, piaccia o non piaccia, ha in mano la cordicella a cui è legato il salvagente a cui è disperatamente aggrappata la Sardegna.

Alle diverse latitudini istituzionali – sia di tipo politico, che amministrativo, imprenditoriale, delle rappresentanze degli interessi, universitario, scolastico – si dovrebbe pigliare seria consapevolezza della condizione di sottosviluppo dell’Isola.

Si dovrebbe iniziare ad annichilire qualsiasi narrazione e retorica sulle fasulle condizioni sociali ed economiche dell’Isola. Si dovrebbe iniziare a smettere di ragionare ed agire “a compartimenti stagni”, come se ciò che accade in un ambito non abbia rilevanti e durature conseguenze negli altri.

Si dovrebbe assumere una responsabilità diffusa, ché non è “colpa” di alcuno in particolare se siamo finiti in questa condizione, ma – anche se in modi e con pesi diversi – di tutti, sia nella sfera della produzione, che in quella politica, amministrativa, educativa e finanche in quella del consumo. La colpa è di tutti, e tutti, nei confini delle possibilità che attengono ai propri ruoli, dovremmo sentirci moralmente impegnati per il bene comune, che è di tutti, mio come tuo.

Sulle modalità e le forme attraverso cui ciò può tradursi in azione non esiste alcuna ricetta: quelle provate per risollevare le sorti della nostra Isola (che siano soldi e investimenti che arrivano da fuori, che siano strutture e modalità produttive che arrivano da fuori, che siano modalità di indurre cooperazione dal basso, etc etc..) a volte non hanno funzionato e a volte hanno funzionato, ma a cappero.

Non esiste una ricetta, ma mille modi di tradurre delle energie in azione: ma una volontà di azione senza spinta etica si riduce a banale, contingente e, spesso, opportunistica e fugace opportunità.

Per ora mi accontenterei del livello della coscienza; una piena consapevolezza del nostro stato di sottosviluppo. Poi, magari, se ci si “sprama” qualcosa nella sfera dell’etica accade, e poi in quello dell’azione… Però basta dirci balle, basta…
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