Torniamo, con Gramsci, alla semplicità, alla sostanza delle cose, usciamo dalla retorica, torniamo alla verità, che è sempre rivoluzionaria
GRAMSCI EDUCATORE
di Piero Marcialis
Ho sempre presente il concetto gramsciano secondo il quale anche un maestro mediocre può migliorare la nostra istruzione, ma non può migliorare la nostra cultura.
Lo cito qui testualmente:
“In realtà un mediocre insegnante può riuscire ad ottenere che gli allievi diventino più istruiti, non riuscirà ad ottenere che siano più colti” (Per la ricerca del principio educativo, in Quaderni del carcere).
Gramsci, educatore non mediocre, indica le strade attraverso le quali migliorare la nostra cultura.
1. Istruirsi, certamente, ma non come fine a sè, ma come base per legarsi alla cultura degli oppressi, contadini, operai, l’umile gente che da esclusa deve diventare protagonista, per fare questo, dice Gramsci,
“avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza”.
2. Esercitare la nostra intelligenza critica, dentro una visione del mondo capace di orientarci nel “mondo grande e terribile”.
Visione generale da assumere, cioè, non acriticamente, ma misurandone efficacia e validità nell’esperienza.
Così Gramsci coglieva il “tradimento” operato da Lenin rispetto alla lezione di Marx: in una realtà in cui la situazione induce al pessismismo (mancato sviluppo industriale, assenza di una classe operaia numerosa), scegliere di agire comunque, animati dall’ottimismo della volontà.
Un grande sforzo soggettivo può sopperire nella prospettiva rivoluzionaria alle carenze oggettive dello stato di cose presenti.
Quindi aderire ad una visione del mondo per diventarne partigiani, non essere indifferenti, l’indifferenza che consiste nello staccarsi dall’impegno e dall’azione.
Gramsci, nel distinguere tra istruzione e cultura, opera anche una potente distinzione tra
“addestramento” (dare un’abilità, migliorare il rapporto con le cose)
e “formazione” (dare coscienza di sè, responsabilità di ciò che pensi e che fai, in rapporto con le persone, considerate come fine, non come mezzo).
Nella visione di Gramsci dunque la cultura si connota come “la potenza fondamentale di pensare e di sapersi dirigere nella vita”.
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Gramsci educatore si pone il problema della necessità di impiegare una certa dose di autorità nel rapporto con l’educando. Applicarsi allo studio è necessario, persino in senso fisico, addestrare il corpo alle lunghe ore a tavolino (mettere il culo sulla sedia e tenercelo, diremo più volgarmente), non esiste conoscenza senza sforzo, senza applicazione, senza sudore. Chi dice di sapere senza aver studiato, semplicemente mente.
Cito testualmente:
“Si ha a che fare con ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza anche fisica, di concentrazione psichica su determinati soggetti, che non si possono acquistare senza una ripetizione meccanica di atti disciplinati e metodici.
Uno studioso di quarant’anni sarebbe capace di stare a tavolino sedici ore di seguito, se da bambino non avesse coattivamente, per coercizione meccanica, assunto le abitudini psicofisiche appropriate?”
Gramsci educatore è eccessivamente autoritario?
No, egli si pone il problema.
“Il problema didattico da risolvere è quello di temperare e fecondare l’indirizzo dogmatico che non può non essere proprio di questi primi anni”.
Gramsci indica la soluzione del problema nei termini di autorità carismatica, di autorità liberatrice: non cercare di dominare l’educando, ma “rendersi inutile”, far sì che gradualmente gli educandi sappiano e possano fare a meno dell’autorità.
Qui la visione di Gramsci, mi appare singolarmente coincidente con quella di un grande pensatore e pedagogo francese, Lucien Laberthonnière (1860-1932).
Si tratta del teorico proprio del principio dell’autorità liberatrice. Prete modernista, animatore del movimento democratico in Francia, i suoi scritti condannati e proibiti dalla Chiesa cattolica, concepisce la fede non come sottomissione alla gerarchia, ma come esperienza di vita che comprende in sè la libertà.
Ovvio che per Laberthonnière la visione generale cui ispirarsi non è il materialismo storico, ma il messaggio evangelico, tuttavia la struttura del ragionamento è assai somigliante: aderire a una visione generale, non acriticamente, studiare, applicarsi con disciplina sotto un’autorità che lavora per renderci liberi e capaci di fare da soli, in una prospettiva di impegno democratico.
E qui mi torna bene fare una precisazione:
Quando, nella precedente relazione, ho concluso dicendo “Gramsci appartiene a noi, teniamocelo stretto”, non intendevo certo dire che Gramsci appartenga a chissà quale consorteria comunista, ma semplicemente che appartiene a quanti davvero hanno a cuore democrazia e libertà, concetti ai quali si può arrivare da strade diverse, certamente, ma non da strade che in partenza negano giustizia ed eguaglianza: ci si può allontare partendo da strade giuste e deviando per strade sbagliate, come pure si può partire da premesse diverse ma, con buona fede e giusti principi, arrivare a condividere le stesse idealità.
Tornando al tema di oggi, c’è da aggiungere che Gramsci educatore fa all’epoca sua una critica alla crisi della scuola che ben si adatta alla crisi odierna.
“…la crisi scolastica che oggi imperversa è appunto legata al fatto che questo processo di differenziazione e particolarizzazione avviene caoticamente, senza principi chiari e precisi, senza un piano bene studiato e consapevolmente fissato”.
Gramsci pone alcune indicazioni molto precise, adatte non solo all’epoca in cui scrive i suoi quaderni, ma utili ancora oggi a chi davvero volesse contrastare la desolante decadenza della scuola italiana e impegnarsi davvero per la “buona scuola”.
Uno di questi punti è molto significativo:
“lotta rigorosa contro le abitudini al dilettantismo, all’improvvisazione, alle soluzioni oratorie e declamatorie”.
Torniamo dunque, con Gramsci, alla semplicità, alla sostanza delle cose, usciamo dalla retorica, torniamo alla verità, che è sempre rivoluzionaria.
Sinnai, 22 aprile 2017.
Piero Marcialis
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