SardegnaCheFare?
Renzi, il Qatar e la Sardegna
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto/ 21 marzo 2017/Società & Politica/
Quel sasso ad ovest di Civitavecchia chiamato Sardegna ha un posto di rilievo negli interessi italiani. Vittorio Malagutti sull’Espresso di questa settimana racconta di un breve viaggio di Matteo Renzi il 19 gennaio in Qatar. Renzi in questo momento è solo un ex presidente del Consiglio, l’ex segretario del PD in attesa di riconferma; libero quindi di andare e venire dall’emirato arabico o dove gli pare e piace.
Però, se vogliamo, un suo viaggio anzi questo suo viaggio del quale nulla si sa, qualche interrogativo lo pone. Renzi è privato cittadino, ma ancora non lo è del tutto, visto che sul suo partito, sul gruppo parlamentare, sul governo, mantiene la sua influenza politica essendo un leader in attività.
Nell’articolo si raccontano i molteplici interessi reciproci tra Italia e la monarchia assoluta di Al-Thani. Il Qatar paese grande quanto l’Abruzzo, con una popolazione di 2,6 milioni di abitanti, di cui il 60% immigrati senza diritti, è una delle potenze finanziarie mondiali con un fondo di investimento che muove svariate decine di miliardi di euro. Uno dei paesi più ricchi del mondo. Renzi non fa altro che proseguire una politica italiana nei confronti del Qatar, cominciata con Berlusconi nel 2010, è di quell’anno la firma di un contratto di collaborazione con la difesa emiratina, proseguito con Monti, Letta e rafforzata con Matteo Renzi.
Il Qatar in Italia ha investito a piene mani. Ha acquistato alberghi di lusso, stabili importanti. L’Italia con quel paese ha fatto ottimi affari specie nel campo della difesa, togliendo agli amici-rivali francesi un mercato che tradizionalmente era loro. La marina emiratina ha firmato un contratto con Fincantieri e Leonardo-Finmeccanica per la produzione di 4 corvette, 2 pattugliatori, una nave appoggio, più le dotazioni di bordo, artiglierie, sensori, sistemi di combattimento, missili, per un valore di 5 miliardi di euro, compreso l’addestramento del personale.
La Marina Italiana e quella del Qatar nelle scorse settimane hanno firmato un accordo di collaborazione, i marinai arabi saranno ospitati nelle navi italiane. Fin dal 2010 le forze speciali italiane garantiscono l’addestramento della scorta dell’emiro, forse anche l’ultima linea di protezione del monarca. In tempi di ritorno a Westfalia, non ci si dovrebbe scandalizzare, la realpolitik fa premio su qualsiasi sensibilità rispetto ai diritti umani.
E’ così con il Qatar come con la Cina o altri paesi come la Turchia, che nonostante facciano strame delle opposizioni, e quindi infrequentabili per un paese democratico, sono utili nelle strategie geopolitiche e come sbocco di mercato. Da che mondo è mondo, politica estera e quella di penetrazione nei mercati coincidano. E chie istat male chi si acontzet, recita un nostro proverbio.
In questi accordi la Sardegna come bene da vendere gioca un ruolo importante. Il Qatar sta per acquistare il 49% di Meridiana, che vorrebbe rilanciare. Potenza degli affari, i qatarioti, sunniti, fautori dell’Islam intransigente dei Fratelli Musulmani, non hanno difficoltà a trattare con l’Aga Kan, capo spirituale degli ismaeliti, confessione religiosa ramo dello sciitismo, considerata dagli integralisti al pari degli apostati.
Non solo Meridiana, ma l’ospedale Mater Olbia, rilevato dal fallito San Raffaele, che dovrà diventare un centro sanitario di eccellenza mondiale. Ospedale imposto da Roma alla Sardegna, tanto che sono stati concessi 250 posti letto in deroga. Non sarà però un regalo, quella struttura peserà sul bilancio della sanità sarda per circa 50 milioni di euro all’anno. Questo mentre si chiudono gli ospedali di prossimità nelle aree interne, i centri nascita di La Maddalena e Sorgono; si limitano i tempi di ospedalizzazione nel resto dell’isola per mancanza di posti letto.
Altro aspetto le forniture di gas per l’isola. Fallito il gasdotto con l’Algeria, mai fatto il collegamento con la penisola italiana, la regione ha scelto di realizzare un impianto un rigassificatore per la produzione di gas liquefatto, nel porto canale di Cagliari. Un affare milionario che potrebbe essere l’ulteriore tassello della qatarizzazione della Sardegna. L’emirato è il secondo produttore di gas al mondo, la loro società la RasGas Company Limited, aveva già dichiarato che stavano lavorando ad un progetto sul Mediterraneo che aveva nella Sardegna il punto centrale.
E poi la Costa Smeralda, rilevata da Tom Barrak, nei progetti dei fondi sovrani di Al-Thani una delle pedine importanti per diventare uno dei protagonisti mondiali del turismo di lusso. I qatarioti però sono impazienti, le regole del PPR Sardegna non permettono di realizzare allargamenti delle strutture che sono presenti in quel compendio turistico.
Quello che non è riuscito all’Aga Kan, a Tom Barrak, riuscirà ai nostri decisori poltici?
Nel DDL della Giunta regionale, all’art 31, si dà la possibilità di incrementi volumetrici del 25% nella ristrutturazione di stabili che insistano dentro i 300 metri dalla battigia e i 150 nelle isole minori. Articolo pro loro? Nessuno lo ammetterà mai, ma se non altro ci sia consentito il sospetto.
Il PPR già oggi permette la ristrutturazione degli stabili entro la fascia protetta, ma non certo l’allargamento. Il PPR è legge costituzionale, per cui è molto difficile che quell’articolo venga mai applicato. L’ultima sentenza del Consiglio di Stato su Tuvixeddu, pubblicata integralmente in questa rivista, ha ribadito che nessun interesse privato può essere superiore ai beni culturali pubblici. Il contrario è anticostituzionale.
È triste constatare che l’eterno comportamento delle èlite dominanti in Sardegna, abbia una continuità plurisecolare: unico fattore di sviluppo l’allineamento agli interessi altrui e la svendita della Sardegna. Ancora una volta la sola carta da giocare è il destino personale? Unica possibilità per mantenere il potere, una volta feudale e oggi neofeudale.
Non possiamo immaginare che un presidente di Regione che nella vita è professore universitario non sia consapevole che il governo può impugnare quanto ha decretato o è certo che non accadrà? Ma sa anche che può ricorrere qualsiasi soggetto organizzato o espressione degli interessi diffusi.
Sic est, e non ci piace per nulla il DDL sulla legge urbanistica. Contiamo sulla massima assemblea sarda. L’esito e il cospicuo assenteismo nelle ultime tornate elettorali e il recente risultato del Referendum ci fanno sperare molto nei cittadini, nei comitati, nei sindaci sempre più sensibili alla sostenibilità, in ultima analisi, nelle comunità della Sardegna.
Ci fanno sperare gli esempi luminosi di Tuerredda, Gonnosfanadiga, Tuvixeddu, figli dell’opinione pubblica che esiste, e, perchè no, anche quei politici ed intellettuali che furono protagonisti di una stagione in cui il paesaggio della Sardegna era il centro del mondo.
Auguri a noi tutti e soprattutto a nostra madre Sardegna che sì è nostra ma soprattutto di coloro che verranno dopo di noi. Ce l’hanno solo prestata e a loro renderemo tutti conto.
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EuropaCheFare?
SOCIETÀ E POLITICA »EVENTI» 2015-ALTRA EUROPA
L’Europa per salvarsi deve ritrovare la democrazia
di Luciana Castellina, su il manifesto
«Il problema dell’Unione europea non è il recupero della sovranità nazionale, ormai puramente mitica, ma il recupero della democrazia». il manifesto, 25 marzo 2017 (c.m.c.)
Al momento delle sue ultime elezioni l’Olanda è stata irrisa da tutti perché si è saputo che concorrevano ben 28 partiti. In realtà non c’era niente da ridere: grazie al privilegio di una legge rigorosamente proporzionalista, senza trucchi maggioritari, gli olandesi, con quei loro 28 partiti, hanno potuto rendere esplicita la crisi di rappresentanza che ormai percorre l’Europa, sconvolgendo antiche e storiche costellazioni politiche, producendo una varietà di fenomeni sbrigativamente catalogati col termine di populismo. La crisi del sistema democratico appare ormai in tutta la sua evidenza.
Di questo sarebbe bene che i rappresentanti dei 28 stati europei riflettessero oggi a Roma. Perché larga parte delle responsabilità di questa ormai profonda crisi di fiducia stanno proprio nel modo come è stata gestita l’Unione in questi sessant’anni che oggi invece si festeggiano.
Non lo faranno, ne sono certa: ricorreranno, come sempre, alla più insipida retorica.
Nel parlare di questo anniversario ci sarebbero mille cose da dire. L’elenco dei problemi all’ordine del giorno è lungo e drammatico. Non vi accenno, perché sono noti a tutti e tutti i giorni ne parliamo.
Temo che dal vertice celebrativo di Roma non uscirà nulla di serio, casomai solo qualcosa di preoccupante, come la già sbandierata proposta di rafforzare la nostra comune potenza militare (peraltro già ragguardevole, contrariamente a quanto si pensa), come se il possesso di un numero maggiore di cannoni potesse darci maggiore sicurezza contro il pericolo terrorista. O più autonomia dagli Stati uniti.
In realtà per riavviare qualche interesse per l’Unione europea, in un momento in cui più scarso non potrebbe essere, ci vorrebbe proprio una riflessione sul perché le tradizionali forze europeiste – di sinistra ma anche di destra – hanno a tal punto perduto la fiducia dei loro elettori.
E’ accaduto per molte ragioni ma essenzialmente perché si è andato sempre più confondendo il progetto europeo con quello della globalizzazione: l’Europa anziché smarcarsene, riaffermando la sua positiva specificità (a cominciare dal welfare ma soprattutto dalla sua storica maggiore distanza dalla mercificazione di ogni aspetto della vita), vi si è piattamente sempre più allineata.
E allora, perché l’Europa? Che senso ha, se resta niente altro che un pezzetto anonimo del mercato mondiale?
Costruire una nuova entità supernazionale, dotata di una qualche omogeneità culturale, sociale, economica e dunque politica, non è obiettivo facile. Tanto più se si pensa che la storia dell’Europa è storia delle sue nazioni, diverse in tantissime cose, a cominciare dalla lingua che vi si parla. Ma proprio per questo bisognava aver cura della società e non impegnarsi tecnocraticamente a costruire una pletorica macchina burocratica totalmente anti-democratica.
Senza un soggetto europeo, un popolo europeo in grado di diventare protagonista, dotato di quei corpi intermedi che danno forza all’opinione pubblica – sindacati, partiti, media, associazioni – come si può pensare di chiedere redistribuzione di risorse, solidarietà anziché competizione, comune sentire? Il problema dell’Unione europea, insomma, non è il recupero della sovranità nazionale, ormai puramente mitica, ma il recupero della democrazia.
Torno a richiamare la riflessione su un ultimo esempio: un mese fa la Bayer ha comprato la Monsanto, un puro accordo commerciale privato internazionale. Che avrà però per tutti noi conseguenze pesantissime, molto più rilevanti di qualsiasi altra deliberazione parlamentare.
Crediamo davvero che un’ Italietta che riacquista la propria totale sovranità nazionale potrebbe esercitare un controllo su simili decisioni? Se c’è una speranza di recuperare qualche forma di de-privatizzazione delle decisioni ormai assunte dai colossi operanti sul mercato internazionale l’abbiamo se daremo più forza a una delle entità in cui la globalizzazione potrebbe articolarsi, l’Europa, per l’appunto. Ma non una Europa qualsiasi, non l’attuale, bensì solo a una entità politica che abbia ridisegnato un modello di vera democrazia adeguato alla nostra epoca. Che ha come premessa il diritto-potere del popolo di contribuire alla determinazione delle scelte che lo riguardano.
Un tempo si chiamava “sovranità popolare” ed era intesa come “nazionale”; ora dobbiamo coniugarla come “europea”, ma senza, per questo, perdere la sostanza del termine sovranità e popolare.
Per questo è importante l’iniziativa delle tante associazioni, a cominciare dalla “mia” Arci, che, con il titolo “La nostra Europa”, ha promosso seminari e incontri in questi due giorni e oggi la marcia che parte alle 11 da piazza Vittorio.
E’ diversa da tutte le altre in programma: perché vuole dire sì all’Europa ma insieme che deve cambiare profondamente. E anche che per dare consistenza a questo obiettivo bisogna cominciare a dare protagonismo ai cittadini europei, non come individui, ma come soggetto collettivo. “La nostra Europa” ne è l’embrione.
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