DIBATTITO. Dobbiamo ancora credere nell’Europa?
La linea degli Europeisti critici ma Europeisti convinti, come Umberto Allegretti.
UNIONE EUROPEA
di Umberto Allegretti, su Rocca
problemi transizioni prospettive
Col nuovo anno, la situazione in seno all’Unione Europea, che si era già così complicata nei due anni precedenti con le reazioni alle migrazioni e con il referendum britannico per l’uscita del Regno Unito dall’Unione (cosiddetta Brexit), si è fatta ulteriormente complessa e delicata. Così da suscitare gravi preoccupazioni in chi, come crediamo si debba, ritiene che questo lascito delle precedenti generazioni – la costruzione di un’Europa unita – sia positivo nonostante alcuni notevoli difetti che la affliggono. La sua creazione dopo i nazionalismi dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, che hanno condotto alle due terribili guerre mondiali, ha realizzato la pace nel nostro continente (salvo la brutta vicenda della ex-Jugoslavia). E ha dato ai popoli europei l’unico modo di essere ancora nel mondo portatori di grandi valori e capaci di farli valere autorevolmente con una propria cultura e una propria politica, di fronte alla crescita delle grandi unità – oltre che gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e gli altri giganti asiatici – presenti ormai come attori sulla scala mondiale. I singoli Stati europei non sarebbero infatti capaci di far fronte a quei grandi complessi continentali su un piano di parità, promuovendo la democrazia – per carente che sia –, il valore e la libertà della persona umana e la socialità e solidarietà fra tutti gli uomini, anch’esse carenti ma operanti e pregne di possibilità di espansione e di miglioramento.
migrazioni e reazioni
Nel 2015 e 2016 non a caso l’Europa ha rappresentato il maggior polo di attrazione delle grandi migrazioni dall’Africa e anche dall’America Latina, e non solo per l’attrazione della sua economia sviluppata. Purtroppo, a fianco di atteggiamenti complessivamente virtuosi della Germania (con l’accoglienza data a circa un milione di rifugiati), e dell’Italia, che si sta prodigando per salvare nel Mediterraneo le vite umane di tanti africani spinti verso di lei dalle loro guerre e dalla loro fame, sono andati maturando gravi comportamenti egoistici. Come quelli – per vero incredibili, vista la esiguità delle quote di rifugiati loro assegnate dalle decisioni dell’Unione – dei paesi detti di Visegrad e comunque di tutti i paesi dell’Europa centro-orientale usciti dall’esperienza comunista sovietica, a cui corrispondono anche comportamenti di rifiuto dell’immigrazione da parte di fasce e partiti delle nostre società occidentali, la cui influenza si teme possa aggravarsi con gli eventi elettorali previsti in vari paesi membri dell’Unione per il 2017.
Questo del come affrontare le migrazioni rimane uno dei massimi problemi irrisolti nell’Unione. Sembra ora che alcuni progetti in corso o avanzati potrebbero migliorare la situazione. Il piano europeo che prevede investimenti in Africa, soprattutto nella fascia del Sahel da cui provengono i più tra i migranti, dovrebbe aiutare a trattenere nei loro paesi – se gli investimenti saranno adeguati e ben sorvegliati nel loro uso a favore dei popoli e non di governi spesso corrotti – una buona parte di coloro che fuggono per i fattori sopra ricordati. Ma a che punto sia la realizza- zione non è noto. Si è poi proposto, dalla nostra rappresentante Mogherini e da altri membri della Commissione europea, un ulteriore piano di vigilanza sulle immigrazioni attraverso la Libia, che è responsabile, assieme alla traversata del deserto da UNIONE parte degli abitanti del Sahel. Il piano consiste nella diretta sorveglianza europea della costa libica contro i barconi di migranti in cui tanti muoiono; ma purtroppo richiederebbe la collaborazione di quel governo libico con base a Tripoli che l’Onu ha riconosciuto ma che non ha l’effettivo governo del vasto paese. Infatti una seconda ipotesi prevede che la sorveglianza europea – a cui comunque gli stati del centro e nord Europa dovrebbero partecipare più vigorosamente di quanto ancora non facciano, per evitare che tutto il peso ricada sulle forze italiane – si svolga nel mare non territoriale, al largo della Libia, ma sarebbe indubbiamente meno efficace. Che invece l’Europa possa vigilare i confini tra i paesi del Sahel e il Sud libico pare ancora più problematico e comunque richiede anch’esso l’accordo dei vari paesi africani.
l’integrazione e le questioni aperte
Rimane poi il problema di una vera integrazione dei migranti in Europa; e su questo punto l’Italia è ancora indietro, perché tarda ad approvare norme di legge, pur da tempo proposte, che diano la cittadinanza ai nati stranieri nel nostro paese (cosiddetto jus soli) e non dispone ancora di sufficienti mezzi di promozione dei diritti (allo studio, alla casa ecc.) degli stranieri stessi immigrati, in cambio di un lavoro e di un apporto demografico che essi danno al nostro paese.
Un secondo grande problema è quello dei modi di uscita della Gran Bretagna dall’Unione, voluto dal referendum dello scorso giugno. Le questioni aperte riguardano le due parti: la Gran Bretagna e l’Unione. Sul primo versante, la May, primo ministro inglese, comportandosi peggio della Thatcher, si è confermata, dopo incertezze e discussioni, per un’uscita «dura» («non manterremo neanche un pezzo di Ue», che prevede non solo la fuoriuscita dal mercato comune ma anche restrizioni gravi all’ingresso di stranieri anche europei nel paese, per esempio per motivi di studio. La May ha per giunta minacciato di uscire dall’unione doganale (che è cosa diversa dal mercato comune) e di abbassare le tasse sulle società, trasformando così il suo paese in un gigantesco paradiso fiscale! Vorrebbe al tempo stesso stringere con l’Unione accordi di libero scambio che diano alla Gran Bretagna uno status simile nel commercio e sul piano finanziario a quello dell’Unione e altri privilegi, non più giustificati dalla sua uscita.
Non c’è molto da sperare dalla discussione nel Parlamento inglese, di cui pure, con correttezza costituzionale, le corti inglesi hanno imposto al governo l’intervento prima di notificare ufficialmente all’Unione l’uscita stessa, notificazione non ancora avvenuta ma promessa per fine marzo. Anche se il voto parlamentare potrebbe imporre al Governo alcune condizioni più moderate per le trattative con l’Unione.
la Scozia europeista e il fattore Usa
C’è poi il problema della contrarietà all’uscita da parte di porzioni significative del Regno Unito, per prima la Scozia, che nel voto ha negato il suo consenso alla Brexit, e che nel caso potrebbe chiedere la separazione dall’Inghilterra e l’ammissione all’Unione come nuovo partner. Sul secondo versante l’Unione deve negoziare con forza le condizioni di uscita, ma per ora non lo sta facendo a sufficienza.
Poi c’è il fattore americano. Il nuovo (purtroppo!) Presidente Trump è fiero partigiano di un rapporto privilegiato con quel che rimarrà della Gran Bretagna dopo la esecuzione della Brexit, e addirittura vuole favorire la disintegrazione dell’Unione. Riuscirà la sua influenza su questa doppia problematica? Lo si può temere e però anche sperare il contrario: molto dipende dall’atteggiamento dei membri dell’Unione.
in cerca dello spirito europeo
Ci sono infine i problemi più noti. La politica dell’Unione sul terreno economico, imposta soprattutto dalla Germania, ha diviso sempre più l’Unione in due parti: un Nord leader e avvantaggiato, un Sud discriminato. A parte alcune colpe di scarsa avvedutezza imputabili al Sud (come quelle italiane) è l’egoismo del Nord che finora ha escluso una politica di crescita attraverso forti investimenti. Ora alcuni piani di investimento sarebbero pronti, ma ancora non c’è certezza, e tutto dipende da come verranno gestiti.
Insomma, gravi questioni ci aspettano e occorre perciò che in paesi come il nostro si incentivi lo spirito europeo, affinché noi possiamo dare un apporto positivo, come governo e come popolo, per la soluzione dei problemi sul campo.
Umberto Allegretti
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