Pubblica amministrazione: al di là del bene e del codice penale
Una settimana particolare, le notizie scorrono veloci, si fa fatica a rincorrerle tutte. Ma è importante non dimenticare.
La settimana appena trascorsa è stata caratterizzata da due vicende particolari, la scissione del Pd e la vicenda del M5S alle prese col progetto del nuovo stadio di Roma. Inevitabilmente altre notizie, pure importanti, sono passate in secondo piano, vicende da cronaca locale lette frettolosamente e poco commentate. Una di queste merita di essere ripresa e approfondita, ha per protagonista la Corte dei Conti e la Sardegna. Come ogni anno, l’inaugurazione dell’anno giudiziario è stata accompagnata dalla relazione della Corte. Che cosa è emerso? In Sardegna si sono verificati sprechi di ogni genere e natura, assunzioni senza concorso, posti assegnati e carriere regalate per vicinanza politica, nascita di società miste pubbliche-private costituite appositamente per operare al di fuori dei controlli, appropriazione di denaro e incarichi. Insomma, riassume la Corte “una sostanziale inadeguatezza dell’amministrazione a prevenire e reprimere tempestivamente condotte antigiuridiche che producono pregiudizi anche ingenti, dei quali gli organi amministrativi vengono a conoscenza soltanto al momento dell’avvio delle indagini”. Basterebbero queste poche frasi contenute nella relazione della Corte dei Conti per autorizzare chiunque a invocare provvedimenti urgenti e incisivi per mandare a casa l’intera classe politica e dirigenziale dell’isola. A parere della Corte dei Conti i casi di cattiva amministrazione hanno quasi sempre carattere diffuso e sistemico che si traducono in ingenti danni erariali. Scendendo nel dettaglio la Corte precisa e definisce meglio alcuni aspetti parlando di inaudita gravità dei fenomeni rilevati, di raffinate tecniche elusive utilizzate da politici e amministratori pubblici e ne elenca alcuni. Opere pubbliche incompiute, costose apparecchiature diagnostiche acquistate e mai utilizzate nel comparto sanitario, acquisti e affitti di immobili a prezzi superiori al valore reale e spesso inutilizzati. Ci sono poi le assunzioni clientelari e senza concorso pubblico realizzate su criteri di spartizione partitica dei posti disponibili con ciò ne consegue in termini progressiva dequalificazione delle prestazioni erogate ai cittadini. Ma ciò su cui sarebbe fondamentale riflettere è il fatto che “si registra ormai tra la gente una certa tendenza a considerare mere leggerezze e a tollerare le deviazioni del sistema fatte di legami, di reti di connivenze, di commistioni tra pubblico e privato, di fedeltà in cambio di favori, che costituiscono il substrato sul quale si regge la manifestazione del potere”. A scanso di equivoci e sottovalutazioni i giudici della Corte precisano ulteriormente: “Siamo in presenza di condotte indirettamente elusive del fine pubblico, attuate con comportamenti apparentemente legittimi ma sostanzialmente indirizzati a realizzare interessi illeciti o ingiusti, se non anche di natura personale e comunque divergenti da quelli individuati dalla norma”. Fin qui il quadro, non certo rassicurante, tracciato dalla relazione magistrati della Corte dei Conti. I politici, a caldo, si limitano a prendere atto. Non potendo smentire i fatti denunciati si trincerano dietro una dichiarazione del vice presidente della Regione Paci, il trionfo dell’ovvio. “Il ruolo di controllo della Corte dei Conti è importante per il costante controllo del rigore dell’utilizzo delle risorse pubbliche, i soldi che arrivano dalle tasse dei cittadini devono essere spesi con correttezza”. Purtroppo cosi non avviene. I servizi di cronaca giornalistica che accompagna il racconto della relazione della Corte, lo documentano ampiamente e con dovizia di particolari. Il cattivo impiego delle risorse pubbliche è sotto gli occhi di tutti. La Corte dei Conti la sua parte l’ha fatta ma occorrerebbe ben altro, una presa di coscienza collettiva. Nel 2016 sono stati recuperati 20 milioni per danni erariali arrecati alla collettività, sono state emesse 50 sentenze di responsabilità (delle quali 42 di condanna) e 41 giudizi ancora pendenti. Ricordiamole alcune delle vicende che hanno caratterizzato la devastazione della pubblica amministrazione, non sono episodi da archiviare facilmente. Utilizzo non corretto dei fondi destinati ai gruppi politici regionali. Venti condanne penali eseguite e più di ottanta consiglieri ed ex consiglieri regionali tra imputati e indagati, alcuni già condannati a risarcire la pubblica amministrazione. Casi di assenteismo, illecita fruizione di permessi sindacali, alterazione dei cartellini di presenza, dirigenti medici che hanno esercitato abusivamente attività professionali private. Ed ancora indennizzi a finti pescatori nelle zone gravate da servitù militari, le sovvenzioni agricole ottenute con la fraudolenta attestazione di possesso di terreni per ottenere sovvenzioni. E l’elenco potrebbe continuare. Richiamerei però l’affermazione emersa nell’analisi dei giudici. Il cittadino si indigna quando apprende l’esistenza di comportamenti a dir poco illegali ma tutto finisce sepolto da quella: “certa tendenza a considerare mere leggerezze e a tollerare le deviazioni” come fatto ineluttabile. Le considerazioni più ricorrenti vanno dal “lo fanno dappertutto” al rassegnato: ”è sempre stato cosi”, fino al consolatorio: “si sa, siamo in Italia”. Ci sono poi le difese d’ufficio dei diretti interessati, degli appartenenti ai diversi gruppi di potere che gestiscono o hanno gestito in un passato recente la cosa pubblica che, come è naturale, tendono a minimizzare l’entità dei fenomeni denunciati dalla Corte. Originale una dichiarazione del Presidente del Consiglio regionale Ganau. Secondo l’esponente politico, nonostante le tredici condanne inflitte ad altrettanti politici regionali per la gestione “disinvolta” dei fondi destinati ai gruppi politici, “ la fiducia dei cittadini nelle istituzioni è salda”. Se lo dice lui! Magari se ci dicesse pure da quali elementi concreti trae tale convinzione gliene saremmo grati. Il dato di fatto è che, dopo una indagine che va avanti da oltre sette anni, i consiglieri regionali indagati potrebbero raggiungere il centinaio con rappresentanti di tutte le forze politiche presenti in Consiglio. L’accusa è di peculato. Gli atti giudiziari documentano una serie di spese pazze realizzate con i fondi per i gruppi consiliari al limite della decenza. Si documentano pranzi e cene in ristoranti di lusso, permanenze in albergo, gite, spese di lavanderia, acquisti di oggetti vari, acquisto di 4795 francobolli, presenze contemporanee del politico in due alberghi diversi e distanti nella medesima giornata e tanto altro ancora. Recentemente sono stati condannati per peculato, con pene dai due anni ai cinque anni e mezzo 13 consiglieri regionali di diverse formazioni politiche. Tre di loro dovranno lasciare il Consiglio regionale. Un primo risultato, attendiamo gli altri atti. Come non ricordare, per concludere, la “giustificazione“ dell’operato di molti politici fornita al procuratore capo Mauro Mura da Giacomo Spissu (presidente del Consiglio negli anni dell’inizio dell’inchiesta). Spissu ha affermato che la specialità dello statuto sarda avrebbe dato agli onorevoli regionali l’autonomia più totale nell’uso di quei fondi, al di là del codice penale. Quale conclusione trarre? E’ evidente che è in crisi il principio della legalità nella gestione della pubblica amministrazione. E’ urgente e necessario richiamare le condotte individuali e collettive e i valori etici essenziali per ricostruire un nuovo rapporto di fiducia tra i corpi sociali e i rappresentanti nelle istituzioni.
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Nelle illustrazioni: Allegoria degli effetti del buono e del cattivo governo di Ambrogio Lorenzetti (particolare degli affreschi, Palazzo pubblico di Siena)
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