Sardegna

pablo-e-amiche SardegnaPer una legge elettorale di tipo proporzionale
di Fernando Codonesu

Cinquanta anni di proporzionale puro in Italia hanno prodotto un’instabilità politica permanente, al punto che a partire dal primo governo repubblicano del 1946 guidato da De Gasperi fino al 1992 si sono alternati ben 49 governi, con una durata media inferiore ad un anno.
Nel 1992 nasce l’XI Legislatura che dura appena due anni. E’ presieduta da Amato a cui succede dopo appena 10 mesi Ciampi.
In Italia nello stesso anno scoppia il caso Tangentopoli ed ha inizio la stagione di Mani Pulite che evidenziò con forza una corruzione così diffusa da essere diventata sistemica, con tangenti in ogni ganglio decisionale dell’apparato pubblico, e con una capillare occupazione dello Stato da parte dei partiti politici, già denunciata fin dal 1976 da Berlinguer in una ben nota intervista a La Repubblica, ancorché riferita principalmente al partito di governo e ai sui alleati nel corso del tempo.
A partire dal 1992 viviamo in Italia un periodo di riforme e cambiamenti dal punto di vista istituzionale e della scelta dei propri rappresentanti negli organi elettivi, un periodo di lunga transizione che ha come traguardo un sistema elettorale di tipo maggioritario scopiazzato maldestramente da paesi come gli USA e la Gran Bretagna caratterizzati da un sistema bipartitico per cui tale metodo elettivo andava bene e non declinati, se non opportunisticamente, sulla struttura e sul sistema di rappresentanza italiano.
E’ in quel periodo, caratterizzato da una forte richiesta popolare di cambiamento del sistema paese e dei suoi meccanismi di selezione della classe dirigente, a partire dall’espressione della sovranità elettorale mediante il voto, che ha inizio il percorso del maggioritario in Italia, prima su base nazionale e poi su base regionale.
Nascono la legge per l’elezione diretta del Sindaco , il Mattarellum per l’elezione di deputati e senatori e il Tatarellum , per l’elezione diretta del presidente della regione e del consiglio regionale.
Le due ultime leggi, essendo lo specchio del tempo contengono una componente maggioritaria e una proporzionale; la prima prevede un 75% di eletti con il sistema maggioritario e un 25% di proporzionale; la seconda contiene un 80% di maggioritario e un 20% di proporzionale.
Con il referendum del 1999 il popolo italiano cancella il residuo 25% di proporzionale dalla legge Mattarella e si ha il completamento del sistema maggioritario in Italia, mentre per l’elezione del Consiglio e del Presidente delle regioni tale processo ha temine nel 2001 con la modifica del titolo V della Costituzione.
Che succede intanto ai governi nazionali, si ha veramente stabilità e governabilità come da richiesta popolare e intenzioni delle leggi elettorali?
Nel mese di maggio del 1994 ha inizio la XII legislatura con il primo governo Berlusconi e si chiude nel 1996 con il governo Dini. Anche in questo caso si registra il copione della legislatura precedente con una durata di due anni, una crisi e un cambio di governo.
La XIII legislatura ha inizio nel maggio del 1996 con il governo Prodi e ha termine con il secondo governo Amato, dopo due ulteriori governi D’Alema: qui si riscontrano ben tre crisi.
La XIV legislatura ha inizio nel mese di giugno del 2001 con il secondo governo Berlusconi e termina regolarmente nel 2006, ma consuma comunque una crisi di governo nel 2005 con la formazione del terzo governo Berlusconi.
La XV legislatura inizia nel mese di maggio del 2006 con il secondo governo Prodi e dura anche questa volta appena due anni per contrasti in seno alla maggioranza.
Nel mese di maggio 2008 nasce la XVI legislatura con il quarto governo Berlusconi che ha termine anticipatamente nel 2011, con lo spread oltre i 700 punti base, fortissime pressioni dell’Unione europea e della BCE e la nascita del governo Monti incaricato dal Presidente della Repubblica Napolitano. Si osserva che Monti ottiene una fiducia di tipo “plebiscitario” e viene acclamato da tutti i partiti come “il salvatore” della patria. Dopo appena 18 mesi il parlamento nega la fiducia a Monti e si va alle elezioni del 2013 con la nascita della XVII legislatura.
Questa legislatura appare subito problematica perché dalle urne non esce una maggioranza riconosciuta. Il M5S prende più voti del PD, ma il meccanismo elettorale maggioritario è tale che è il PD a prendere la maggioranza dei seggi per cui viene dato un primo incarico a Bersani, leader di tale partito. Dopo il suo tentativo andato a vuoto, nasce il governo Letta che viene sostituito dopo appena 10 mesi, per ragioni esclusivamente interne agli equilibri e giochi di corrente interni al partito di maggioranza relativa, da Renzi, diventato nel frattempo leader e dominus incontrastato del PD, con incarico affidato dal Presidente della Repubblica Napolitano.
In definitiva, se il proporzionale puro della prima Repubblica aveva evidenziato instabilità politica permanente, un debito pubblico fuori controllo e corruzione possiamo dire che il decennio transitorio del sistema misto maggioritario-proporzionale e il successivo decennio del sistema maggioritario abbiano prodotto stabilità e governabilità?
La domanda è sicuramente retorica perché la risposta è decisamente no, per tutto ciò che è stato evidenziato nelle pagine precedenti: tre legislature chiuse anticipatamente, continui cambi di governo che non hanno mai garantito la governabilità pur avendo la maggioranza di seggi attribuiti dal sistema elettorale, cambi di schieramento da parte di parlamentari. Insomma il tratto saliente del maggioritario non si discosta da ciò che ha caratterizzato la prima Repubblica: instabilità politica permanente derivante da crisi interne alle maggioranze di turno, continuo depauperamento degli istituti di democrazia e, dal punto di vista economico, ulteriore dismissione di asset dello Stato e saccheggio dei beni comuni a vantaggio di gruppi privati nazionali e internazionali.
Uno degli aspetti politici più rilevanti è che mentre si pensava che l’avvio del sistema maggioritario avrebbe portato ad una maggiore partecipazione popolare, si è prodotto il risultato contrario arrivando a percentuali di astensione dal voto progressivamente maggiori nel tempo, fino a sfiorare il 50% del corpo elettorale.
Ciò è derivato soprattutto dalla consapevolezza che in quanto cittadini elettori si veniva chiamati alle urne esclusivamente per ratificare le scelte compiute dalle segreteria dei partiti.
L’ultimo governo guidato da Renzi ha portato avanti provvedimenti, leggi e riforme mirate a scardinare i fondamenti della Costituzione, come il Jobs Act, l’eliminazione dell’art. 18, la cosiddetta Buona scuola, facendo un uso spregiudicato dei voti di fiducia che di fatto hanno posto il potere esecutivo al di sopra del potere legislativo. Meccanismi e decisioni di governo che hanno portato a compimento il processo di precarizzazione dell’esistenza dei giovani, con abnorme utilizzazione dei voucher in tutti i settori produttivi e del terziario, compreso lo Stato e anche alcune organizzazioni sindacali.
Il referendum del 4 dicembre
L’esito del referendum del 4 dicembre ha riacceso la speranza. Quando il voto conta l’elettorato torna alle urne. E’ tornato alle urne e con un’ampia maggioranza ha detto No alla riforma voluta da Renzi e dalle forze di governo. In Sardegna, come già osservato autorevolmente in diversi articoli e contesti, si è riscontrato un risultato di voti favorevoli al No più alto del 10% rispetto alla media nazionale, con una altrettanto maggiore partecipazione popolare al voto.
Il No è stato sia per la specifica riforma che, più in generale, per le politiche del Governo nazionale e in Sardegna per quelle portate avanti dalla Giunta regionale guidata da Pigliaru.
Da questo risultato può partire una nuova speranza e prospettiva di partecipazione politica costruendo percorsi e proposte a partire dai diritti, quei diritti sanciti dalla Costituzione e dallo Statuto che non sono stati ancora attuati e troppo spesso sono stati calpestati.

La via maestra, la Costituzione
Da più parti si propone la riscrittura della legge statutaria e alcuni gruppi e movimenti stanno già lavorando in tal senso. In questo contesto pare più condivisibile e unificante concentrare le nostre energie su una proposta di legge elettorale regionale di tipo proporzionale.
Sappiamo che lo Statuto è per certi versi altro, ma è altrettanto vero che nella specialità della Sardegna, la legge elettorale ne è specifica centrale, non a caso viene denominata Legge elettorale statutaria. Non si tratta perciò di un obiettivo minore, ma è un traguardo ambizioso con una doppia valenza. Da un lato costituisce la caratterizzazione più forte dello Statuto e dall’altro va visto come una proposta che può unire a partire dal lavoro sul campo, con assemblee e una raccolta di firme, tutte quelle forze, movimenti, gruppi e associazioni che nelle elezioni del 2014 non hanno avuto rappresentanza.
Una buona legge elettorale deve obbligatoriamente ripartire dalla Costituzione che per noi è via maestra.
Ancora una volta giova ricordare l’articolo 1 della nostra carta che riporta “ L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Sulla sovranità ogni cittadino deve poter intervenire e anche quando la si delega a qualcuno, compresi coloro che vengono eletti in parlamento o nei consigli regionali e degli enti locali, va intesa come data “a tempo” e va osservata, controllata e verificata in qualunque momento.
La sovranità va esercitata giorno per giorno e ciò comporta coerenza, fatica e sacrificio. Quando si verifica che alcuni, molti o troppi partiti agiscano contro la sovranità popolare, è il popolo in tutte le sue componenti che può e deve esercitarla in ogni luogo, in ogni ambito di lavoro, in ogni ambiente, mediante iniziative in prima persona.
Ancora si riporta dalla Carta l’articolo 48. che recita “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.
In questi principi c’è tutto ciò che serve per scrivere una buona legge elettorale, una legge che sia in grado di garantire la “sovranità del popolo”, che è tanto più reale quanto più si ha una larga partecipazione popolare al voto.
Una legge che garantisca “uguaglianza” nel voto, sia che si voti per la maggioranza che per un partito o movimento di opposizione, senza gli stravolgimenti generati dal sistema maggioritario nel corso del tempo perché qualunque premio di maggioranza, che di fatto attribuisce una maggior peso relativo ad un voto dato a chi governa piuttosto che a chi sta all’opposizione, è sempre elemento di “distorsione” del principio di uguaglianza del voto sancita dalla Costituzione.
Una legge che garantisca la “rappresentanza” perché ad una supposta governabilità che non può mai essere garantita da una legge elettorale, si preferisce la rappresentanza, questa sì possibile attraverso una buona legge, anche di partiti e movimenti minori perché la democrazia è fatta di pluralità di opinioni che devono trovare sintesi nel parlamento come nei consigli regionali, ovvero negli organi elettivi di governo.
Una legge che garantisca la parità di rappresentanza di uomini e donne, perché la società è composta di uomini e donne, e non vi può essere discriminazione di genere nell’accesso agli organi elettivi, sarà l’elettorato a scegliere chi eleggere senza discriminazioni in partenza.
Per questi motivi preferiamo un sistema elettorale di tipo proporzionale, non intendendo con questo un semplice ritorno ai meccanismi elettorali della prima Repubblica .
Questi principi sono validi per ogni espressione del voto sia di tipo nazionale che regionale e locale. Ma noi abbiamo anche un’altra bussola che ci indica la via da seguire e questa è il nostro Statuto che con la legge costituzionale n. 2 del 31/01/2001, all’art. 15 riporta “ …In armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con l’osservanza di quanto disposto dal presente Titolo, la legge regionale, approvata dal Consiglio regionale con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, determina la forma di governo della Regione e, specificatamente, le modalità di elezione, sulla base dei principi di rappresentatività e di stabilità, del Consiglio regionale, del Presidente della Regione e dei componenti della Giunta regionale, i rapporti tra gli organi della Regione, la presentazione e l’approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione, …, nonché l’esercizio del diritto di iniziativa legislativa del popolo sardo e la disciplina del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo. Al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi, la medesima legge promuove condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali. Le dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio regionale comportano lo scioglimento del Consiglio stesso e l’elezione contestuale del nuovo Consiglio e del Presidente della Regione se eletto a suffragio universale e diretto. Nel caso in cui il Presidente della Regione sia eletto dal Consiglio regionale, il Consiglio è sciolto quando non sia in grado di funzionare per l’impossibilità di formare una maggioranza entro sessanta giorni dalle elezioni o dalle dimissioni del Presidente stesso. …”
Ancora una volta se ci riferiamo alla costituzione del popolo sardo troviamo i principi ispiratori di una buona legge: rappresentatività e stabilità, presentazione e approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione, esercizio del diritto di iniziativa legislativa del popolo sardo e referendum propositivo, abrogativo e consultivo, condizioni di parità di accesso per uomini e donne.
Per quanto attiene alla rappresentatività è evidente che il sistema proporzionale è l’unico che la può garantire anche per i partiti e movimenti minori, mentre per la stabilità, se è vero che non può essere garantita da nessuna legge, è altrettanto evidente che la mozione di sfiducia può positivamente concorrervi quale elemento di equilibrio sistemico.
La possibilità del referendum propositivo è un altro grande diritto da far valere, specialmente in un periodo caratterizzato da partiti impegnati esclusivamente nella gestione del potere mirata alla propria sopravvivenza e conservazione di privilegi personali.
L’altro principio irrinunciabile è la parità di accesso di uomini e donne agli organi elettivi e vanno trovati gli opportuni strumenti strumenti per garantirla senza far ricorso alle cosiddette “quote rosa” dedicate, perché appaiono, anche al di là delle migliori intenzioni, come concessioni e non come diritti.
E’ ispirandosi a questi principi che può essere scritta una Legge elettorale statutaria per la Regione Sardegna che potrà permettere al popolo sardo di tornare massicciamente alle urne e scegliere i propri rappresentanti.
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1. Legge n. 81 del 1993
2. 1993, dal nome del proponente Sergio Mattarella, attuale presidente della Repubblica
3. 1995, dal nome del proponente Pinuccio Tatarella, esponente di spicco del gruppo di Alleanza Nazionale
4. Al riguardo, per esempio, pur riconoscendo che questo è un aspetto puramente tecnico che per certi versi esula da queste considerazioni, per evitare la polverizzazione del voto è comprensibile una soglia per ottenere seggi che sia valida tutti, senza distinzioni tra partiti e coalizioni, che per la nostra regione potrebbe attestarsi tra il tre e il quattro per cento.

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