La comunità “La Collina” deve vivere: lì i carcerati affidati sono realmente rieducati
Cagliari, la comunità ‘La Collina’ deve vivere: lì i carcerati affidati sono realmente rieducati
di Paolo Farinella | 2 febbraio 2017, su Il Fatto quotidiano.
Lo sapevamo anche prima del 4 dicembre 2016 che la prima parte della Carta Costituzionale del 1948 sarebbe stata lo spartiacque tra due mondi: di chi vede nella Carta, garante di diritti e del lavoro, un impedimento al mercato e di chi vede nella Carta un baluardo di civiltà invalicabile, pena il ritorno alla preistoria e al sopruso del più forte.
In Italia, nell’estremo sud della Regione Sardegna, nel Comune cagliaritano di Serdiana, conosco un posto che da 22 anni attua l’articolo 27 della Carta costituzionale – la responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, ndr) come risultato dello spirito e della lettera di tutti i primi 52 articoli della prima parte dove il lavoro e i diritti personali sono non solo proclamati, ma anche definiti e difesi. È questa Costituzione che abbiamo difeso con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
È anche avendo negli occhi e nel cuore La Collina di don Ettore Cannavera e la loro esperienza pluridecennale che siamo stati “costretti” a difendere l’orizzonte di civiltà contenuto per l’appunto nell’art. 27 quando, con parole semplici e solenni, si legge che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato“.
La Collina è un luogo alternativo al carcere, dove minori che incidentalmente sono stati coinvolti da adulti in delitti e atti delinquenziali, vittime essi stessi, hanno la possibilità di passare il tempo della pena non nell’ozio che li educa a delinquere sempre di più, ma a guadagnarsi la vita con le loro mani e la condivisione di una esperienza comunitaria con educatori specializzati per imparare a lavorare, a vivere in società e ad assumersi le responsabilità della convivenza civile.
La Collina è divisa in Tre Colline, in base ai delitti e alle pene comminate da un tribunale italiano con sette ospiti per ogni unità. Nessuno vive in ozio, ma tutti lavorano i 10 ettari di vigneti e uliveti, eredità che don Ettore e i suoi fratelli hanno donato alla Comunità per realizzare il mandato costituzionale di rieducare chi è rimasto coinvolto in delitti anche gravi. Oltre al lavoro, a turno gli ospiti gestiscono la quotidianità della casa (mangiare, pulire, lavanderia, ecc.), accompagnati 24 ore su 24 da adulti specialisti che condividono la loro stessa vita, gli stessi orari e le stesse incombenze.
Se questi ragazzi oziassero nelle carceri costerebbero allo Stato due milioni di euro, mentre alla Collina costano appena 200mila euro: lo Stato, cioè, risparmia l’80% dei costi. Su 100 ragazzi che escono dal carcere, 70 vi ritornano e qualcuno, appena girato l’angolo, perché il carcere genera al delinquenza, mentre dalla Collina solo quattro. Qui sta la prova che se lo Stato vuole vincere la delinquenza deve moltiplicare il modello de La Collina ed esportarla in tutta Italia. Ipotizzando 50mila carcerati, lo Stato risparmierebbe 800 milioni. Poiché questo denaro provengono dalla fiscalità generale, la rieducazione civile dei carcerati, specialmente minori, conviene ai cittadini perché pagherebbero meno tasse.
Per 21 anni la Regione Sardegna ha sostenuto economicamente La Collina di don Ettore Cannavera con un contributo che ultimamente era di € 200mila, quanto basta per pagare lo stipendio dei sette educatori specializzati con uno stipendio di € 1.200/1.300 mensili più gli oneri fiscali e contributivi. Per tutto il resto La Collina si mantiene con il proprio lavoro e la vendita dei prodotti, vino e olio (che possono anche essere ordinati online).
Dal 2016, non solo la Regione è in ritardo nell’approvazione del proprio bilancio, ma è in ritardo paradossale nei pagamenti, per altro già impegnati, costringendo di fatto La Collina a chiudere, smarrendo un patrimonio acquisito e costato denaro pubblico. Da oltre 9 mesi non ricevono lo stipendio educatori ed educatrici, padri e madri di famiglia, sono stati messi in cassa integrazione, ma ricevono offerte di lavoro da altre comunità in ragione della loro alta specializzazione. Per La Collina sarebbe la fine.
Sembra impossibile che la regione Sardegna non sia capace di fare una delibera urgente, dichiarandosi garante per iscritto presso la Banca al fine permettere la normale vita della Comunità e salvare un patrimonio di persone, di cultura, di specializzazioni e di civiltà che sta per essere seppellito ignominiosamente.
Invito coloro che hanno difeso la Costituzione ad ascoltare/vedere i 29 minuti di video su Youtube postato dall’instancabile amico Dino Biggio, in cui don Ettore Cannavera fa una magistrale lezione di civiltà costituzionale che dovrebbe essere insegnata nei parlamenti del mondo, nelle sacrestie di tutte le chiese e nelle scuole di ogni ordine e grado: una perla.
Non dovrebbe essere difficile per il Presidente della Regione Sardegna, Francesco Pigliaru, e all’assessore Luigi Arru capire il tesoro che hanno nella loro terra e l’importanza di realizzare un piano non solo di salvataggio momentaneo sull’onda dell’indignazione popolare che sale da ogni parte d’Italia, ma un programma futuro per la vita serena della Comunità, magari coinvolgendo il ministero della Giustizia, attualmente guidato dal democratico Andrea Orlando, che dovrebbe essere interessato per dovere politico e per il ruolo suo proprio.
Noi continueremo a vegliare e non permetteremo che La Collina muoia. La struttura di don Ettore Cannavera, che prende sul serio la Costituzione italiana salvata dal referendum del 4 dicembre 2016, deve vivere oggi e domani. Per la Sardegna, per l’Italia, per la civiltà garantita dalla nostra Costituzione.
di Paolo Farinella | 2 febbraio 2017/ Il Fatto quotidiano.
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