La forza, la competenza e la serendipità
I risultati dell’azione politico-amministrativa della Giunta dei competenti sono davanti agli occhi di tutti e quella percentuale “bulgara” del 72,22% di No al Referendum espressa dai sardi rappresenta anche la bocciatura senza appello di una classe politica dirigente incapace di apportare beneficio alla disastrata situazione socio-economica dell’isola.
di Raffaele Deidda
“La serendipità è cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del contadino”. Così Julius Comroe negli anni ’70 spiegava, con ironia, il significato del neologismo serendipity. Coniato dallo scrittore inglese Horace Walpole, che nel 1754 utilizzò il termine ispirato dalla spiritosa fiaba I principi di Serendip: “Facevano sempre nuove scoperte, per caso e per intelligenza, di cose che non andavano minimamente cercando”. Il termine ha così assunto, nel tempo, il significato di “trovare una cosa non cercata o imprevista mentre se ne cerca un’altra”, diventando patrimonio delle cognizioni di umanisti, filosofi, economisti, scienziati. Andando ad occupare un posto importante nella storia di scoperte come la penicillina, il viagra, internet.
Alcuni studiosi hanno anche fatto coincidere il concetto di serendipità con quello dello Stato, visto come un problema di fronte alle nuove aperture e istanze che nascono nella società solo apparentemente a caso e che generano il libero correlarsi di situazioni e uomini. Altri si sono interrogati sulla possibile esistenza di una relazione fra serendipità e politica. L’uomo inteso come “animale politico”, cittadino della polis, è probabilmente scomparso e sopravvive nei luoghi comuni. L’uomo politico attuale è concepito come colui che fa o che dovrebbe fare politica, che spende parte del proprio tempo nella sfera pubblica al servizio delle istituzioni. Si osserva però come la politica si comporti come se tutto fosse demandato alla perenne ricerca di un atto di fede, di un evento rivelatore che possa determinare un cambiamento.
Lo dimostra il recente sondaggio Demos, che ha rilevato come il declino della politica abbia fatto crescere negli ultimi anni la voglia dell’Uomo forte, con il leader solo al comando che piace a otto italiani su dieci. Eppure la politica, come la scienza, dovrebbe prendere spunto dalla massima di Pasteur: “La fortuna favorisce le menti preparate”. Quelle, cioè, disponibili ad affrontare situazioni inconsuete e a rivisitare in termini innovativi le proprie visioni della realtà. Che non sono le visioni riconducibili all’autorevolezza e/o all’autorità dell’uomo forte di turno. Se ad osservare gli eventi non c’è una mente preparata, anche l’incontro fortuito con interessanti contributi di idee di cui s’ignorava l’esistenza è improbabile che venga colto nella sua importante novità. Se si dovesse rilevare quante menti politiche realmente preparate operino oggi in Italia, a tempo pieno o a tempo parziale “al servizio delle istituzioni”, ci troveremmo molto avvantaggiati dalla semplicità del calcolo e coltiveremmo ancora di più il gramsciano pessimismo della ragione sui possibili risultati positivi di un processo casuale in cui sono fondamentali l’intelligenza e la conoscenza.
Era sembrato a molti che Matteo Renzi, esempio di “uomo forte al comando”, potesse avere le giuste energie e le risorse per interpretare quel processo “serendipitoso” e virtuoso capace di generare non solo positività ricercate ma anche benefici indotti non attesi nel corso delle azioni di governo. E’ stato invece sconfessato, con il No al referendum costituzionale, da quegli stessi italiani che poi si sono espressi per l’avvento di un leader forte. Questo evidentemente perché non è risultato sufficientemente chiaro al rottamatore e ai sui supporters che non è sulla leva autoritaria che si consolida una leadership forte, ma sulla capacità di confermare le promesse elettorali con gli atti concreti di governo. La narrazione della promessa, che appariva efficace, non ha riscontrato l’efficienza dell’azione concreta.
Se il fenomeno del “renzismo” lo si guarda riflesso nell’azione della Giunta regionale sarda, il fallimento appare ancora più drammaticamente evidente. In Sardegna non c’è forse stata la stessa narrazione “guascona” di Renzi, ma i sette professori universitari presenti in Giunta hanno prosaicamente rappresentato la loro competenza accademica come lo strumento mirabolante per gestire con efficienza ed efficacia i problemi dell’isola e portarli a soluzione. Contando sul sostegno del mentore uomo forte al comando e del suo governo “amico”, a cui offrire in cambio deferenza ed ubbidienza. I risultati dell’azione politico-amministrativa della Giunta dei competenti sono davanti agli occhi di tutti e quella percentuale “bulgara” del 72,22% di No al Referendum espressa dai sardi rappresenta anche la bocciatura senza appello di una classe politica dirigente incapace di apportare beneficio alla disastrata situazione socio-economica dell’isola.
Altro che generare in modo fortuito positività da idee e progetti formalizzati e finalizzati!
—————————————–
La magia incostituzionale del 40%
Gianni Ferrara
EDIZIONE DEL 27.01.2017
PUBBLICATO 26.1.2017, 23:59
Erano tre le incostituzionalità di immediata e sfacciata evidenza dell’Italicum.
Al ballottaggio che tale sistema elettorale prevedeva e che è stato soppresso, si aggiungevano (e si aggiungono) sia il premio (per di più esorbitante) del 14 per cento dei 630 seggi della Camera a quella lista che avesse ottenuto il 40 per cento dei voti, sia la nomina a deputati dei capilista (e dei secondi di lista) da parte dei capipartito delle liste che ottenevano seggi all’elezione della Camera dei deputati.
Questo terzo vizio è stato solo ridotto, ma non sanato. È stato invece conservato il cosiddetto premio di maggioranza. Non se ne comprende il perché (che è difficile che ci sia).
Leggeremo la sentenza ma, per ora, non ci convince affatto il rigetto dell’eccezione di incostituzionalità del “premio”.
Non ci convince proprio partendo dalla incostituzionalità, accertata dalla Corte, del ballottaggio per i 340 seggi tra liste che avessero ottenuto anche una bassissima percentuale di voti al primo scrutinio ed anche al secondo, incostituzionalità clamorosamente evidente. Ma lo è perché un meccanismo di tal tipo contraddice la misura del consenso. La misura cioè di quanto è necessario, indefettibile, inalienabile ed incomprimibile in democrazia per l’esercizio del potere. Tanto più se potere normativo, che riguarda quindi lo status di cittadino, i suoi diritti, le sue pretese, i suoi doveri, i suoi obblighi, i suoi oneri.
Non va mai dimenticato, eluso, rimosso, taciuto, sminuito il nucleo duro dei sistemi elettorali, che è quello del consenso numerico certo, da cui deriva la maggioranza reale da accertare a sua volta in modo incontrovertibile, non manipolandola, non falsificandola sostituendo numeri e gonfiando somme.
Se si qualifica negativamente la quantità del consenso espresso col voto in caso di ballottaggio tra liste con ridotto numero di voti sia al primo che al secondo turno ad ogni fine giuridicamente rilevante, deve non diversamente rilevare la quantità del consenso, se si tratta di voti ottenuti da una lista che consegua il 40 per cento dei voti all’elezione della Camera dei deputati. Quale magia espande nell’ordinamento costituzionale italiano, nei rapporti interpersonali, nel futuro dell’italica gente, quel 40 per cento, resta un arcano.
Forse no. Fu del 40 per cento il numero dei voti conseguiti, alle ultime elezioni al Parlamento europeo, dalla lista del Pd. Il 40 per cento dei voti si attribuì in quell’occasione l’ex Presidente del Consiglio Renzi. Che ritenne, con ogni probabilità, che fosse fatale quel numero per lui e ineluttabile per i suoi luminosi successi. Non aveva, invece, e non poteva aver altro ruolo, quel numero, che quello di rivelare la distanza che lo separava e lo separa da quella metà più uno che segna, da sempre, la maggioranza numerica dei voti di ogni aggregata pluralità umana.
Conseguire un numero di voti che si avvicina a quella metà, significa solo che la maggioranza reale, quella vera ha negato a quella più ambiziosa minoranza il potere della metà più uno.
Sovviene un raffronto cui segue una riflessione.
È del 40,89 per cento il numero dei sì al referendum del 4 dicembre contro il 59,11 dei no. Con questo risultato il corpo elettorale ha respinto la legge costituzionale che sconvolgeva l’ordinamento parlamentare della Repubblica, una legge della massima rilevanza costituzionale, certo, ma comunque una legge, una sola legge.
E ora una domanda: un risultato di tal tipo può essere rovesciato, quanto ad effetti, per legittimare una maggioranza parlamentare, un legislatore per cinque anni ? Il 40 per cento di una lista sola o anche di più liste collegate può legittimare l’acquisizione di 340 seggi parlamentari? Tanti quanti necessari – si pretende – per assicurare la governabilità secondo i suoi pasdaran?
A quanto ammonta, di grazia, il costo della governabilità imposto alla democrazia? A quanto ammonta inoltre il prezzo della personalizzazione del potere per la nomina a deputato dei capilista anche se lasciano alla sorte di optare per il collegio di derivazione?
Or son pochi mesi, riconobbi alla Corte costituzionale il merito esclusivo di garante della Costituzione. La legittimazione del premio di maggioranza mi induce ora a riflettere su quel giudizio.
Lascia un Commento